di Cristina Taliento
(Album cover Bombay Bicycle Club)
Cercava ora il dentifricio. Lo cercava dappertutto. Poi lo trovò tra le pagine del mensile di Geomagazine, la geografia per i più piccoli. "Frutto di quella strana abitudine di cercare di spiegarti mentre ti lavi i denti" disse il fantasma che lo seguiva. Ma l'adolescente non lo ascoltava preso a un tratto da un'immotivata fretta. Aprì la porta del bagno spingendola con la spalla. Il fantasma del medico morto durante la Prima guerra mondiale si sedette sul bordo della vasca e prese a fissarlo. "Credo tutto sommato che quel modo di sfregare le setole sul dente abbia qualcosa di incontrovertibilmente inesatto" disse sapendo di essere ignorato. Era un fantasma di cinquant'anni, due proiettili nel braccio, uno dritto al cuore, una croce rosso sangue legata come una benda, gli stivali neri, l'accenno di una cifosi, una fede al dito. Si era sposato per scherzo in dieci giorni. Conosciuta il primo giorno e sposata il decimo. Il suo nome era... no, non lo ricordava. E poi la chiamavano tutti Maria. Questo santo nome sulla bocca di ogni sfiduciato, abbandonato, disoccupato che avesse bisogno e lei sempre pronta, sempre a correre di qua e di là. Quando lui era morto, però, non era rimasta mai sola; anche quando si tagliava le mani con i cocci della nuova, nuovissima, collezione di piatti fondi e piatti piani c'era sempre o sua madre o qualche suo silenzioso alunno della scuola elementare. L'adolescente si accorse del suo silenzio, sputò il dentifricio e disse: "Tanto mi cadranno comunque 'sti denti". Bagnò lo spazzolino e mise altro dentifricio senza mai guardarsi allo specchio. Il fantasma mormorò sorridendo: "Ti lavi le zanne che fra poco ti morderanno". L'adolescente non rispose e mantenne lo sguardo fisso sul braccialetto di fili di lana neri e bianchi che gli aveva regalato Livia. "E poi a che serve un secondo lavaggio? Tutte chiacchiere, ecco la verità". Mentre si alzava e gli si avvicinava recitò ad altissima voce: " Vanitas vanitatum et omnia vanitas". L'adolescente si risciacquò la bocca per l'ultima volta, lasciò lo spazzolino e sbatté la porta non curante del fantasma che, con la grazia di un danzatore, vi passò attraverso, sbiadito nella sua evanescente inconsistenza. Seguì l'adolescente con lo sguardo, lo vide stendersi sul letto, guardare il soffitto, annoiarsi, sbuffare, prendere Geomagazine, leggere e borbottare: "Australopithecus afarensis". Allora anche il fantasma si rigirò tra le mani un libro e poi lo buttò sull'adolescente che incassò indifferente il colpo girandosi sul fianco. Era la lunga estate del 1993, non un anno prima, non uno dopo. "E' quella la tua costosa educazione?" chiese il fantasma indicando la rivista. "Yep" fece l'adolescente per dire si, ma poi aggiunse: "Mille lire, duemila con l'inserto. L'università mi fa una pippa. E poi mica ci vado". "Come sssei prosssaico e materialissssta" si lamentò il fantasma facendo l'imitazione della sua professoressa di filosofia. L'adolescente rise per un po' così il fantasma continuò: "Allora Maniero da te voglio ssssapere SSSSpinoza!". Dopo quel momento l'adolescente si mise a sedere con i piedi incrociati e chiese al fantasma: "Va bene, adesso ti dico perché sono triste. Anzi, secondo te, perché Livia mi ha lasciato?". E il fantasma che aveva tenuto ben centoventidue cuori in mano prima di aver sentito sciogliere il suo, intrecciò le mani sulla pancia e disse.
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