07/01/24

The Emperor of All Maladies: A Biography of Cancer - Siddhartha Mukherjee

 di Cristina Taliento 


Imber On Biography Of 'Genius' Surgeon Halsted : NPR

Dr. William Halsted (holding a mallet) operates on a patient at Johns Hopkins in 1904.


Leggendo il libro "L'imperatore del male" di Siddhartha Mukherjee, la sensazione è che la storia della ricerca di una cura contro il cancro sia una storia di pochi, quasi una storia di famiglia. Almeno fino alla metà del ventesimo secolo. Da quando Galeno definì il cancro con il termine "bile nera" -capace di diffondersi negli organi del corpo e, se ostruita nel decorso, accumularsi in tumori- ad oggi, quasi tutto è cambiato. 

Si è evoluto il nostro linguaggio, i microscopi, le tecniche di analisi, si sono evolute le nostre sale operatorie e i farmaci. Abbiamo addomesticato sostanze tossiche e mezzi fisici -come veleni e radiazioni - per aggredire un processo che ha inizio dall'unità di cui siamo composti - la cellula- che impazzisce e inizia a proliferare in maniera incontrollata. Abbiamo iniziato a contare e a misurare i giorni di sopravvivenza dopo il trattamento, i giorni di sopravvivenza prima di una recidiva. Un muto contare che durava anni, decenni, per poi abbattere e ricostruire, a volte perseguire, a volte perseverare, a volte lasciare andare sconfitti. 

Diversamente da altre storie in medicina che hanno cambiato per sempre l'umanità, come la storia del vaiolo, della polio, della tubercolosi, quella del cancro ha tanti punti di luce sparsi, punti su cui qualcuno ha fatto chiarezza, ma altrettanti punti neri, fuori fuoco che, nonostante tutte le cure scoperte, ci riportano al punto di partenza, ovvero all'immagine di un granchio (dal termine greco usato da Ippocrate, karkìnos) che oltre ogni nostro controllo, con le sue chele, si ramifica e si diffonde in un paziente che muore davanti al suo medico impotente. 

La storia che racconta Mukherjee, ematologo oncologo della Columbia University's Herbert Irving Comprehensive Cancer Center, è una storia di prove, lunghi tentativi, finanziati o, il più delle volte, condotti in vecchi scantinati adibiti a laboratori. Invero, non una, ma l'insieme di storie in cui qualcuno ha messo in dubbio la parola "inoperabile",  un altro ha somministrato un veleno e poi il suo anti-veleno a dei pazienti affetti da leucemia; o ancora, la storia di un ristretto gruppo di coraggiosi altri che ha iniziato a mettere in discussione un intervento di mastectomia radicale, gravato da numerose complicazioni, proponendo un nuovo intervento, meno demolitivo ma non meno efficace. 

Non è sempre una storia triste, perché c'è molta speranza dietro ogni scoperta, ma è di sicuro una storia lontana dall'essere compiuta. Per qualcuno forse finirà a pagina 700, ma non per quelli che sono caduti, che hanno fallito e si sono alzati, che continuano ad andare. (L'imperatore del Male: una biografia del cancro di Siddhartha Mukherjee, edito Mondadori, 2010)

02/09/23

Stai un po' fuori dal mio sole

 di Cristina Taliento, liberamente tratto da Plutarco, "Vite parallele"


Il sole brillava su lande polverose e deserte di un'epoca a me, tutto sommato, sconosciuta. Alessandro Magno e gli altri soldati avevano passato il pomeriggio a programmare quella che l'indomani si sarebbe rivelata una fantastica battaglia. Io ero estranea a quelle macchinazioni e, in un certo senso, era buon costume che me ne tenessi fuori dal momento che ero lì principalmente come medico di campo. Per di più, l'odio mi era indifferente. Mi bastava fare in pace e in maniera tranquilla e organizzata il mio duro, faticoso, lavoro. 

Alessandro venne a chiedermi se fosse, secondo me , giusto,  dal momento che ci trovavamo a Corinto, andare a far visita a Diogene di Sinope, detto il Cinico o il Cane, a seconda dei casi.

"Perché no" risposi, distogliendo per un attimo lo sguardo dalla ferita che stavo medicando.

"Sono dibattuto, sai, perché quel Diogene ha un caratteraccio. Non vorrei incorrere in situazioni che possano mettermi a disagio". 

"Non temere- dissi- lo fa solo perché si annoia". 

"E per darsi delle arie- aggiunse Alessandro - Davvero non capisco il senso di questo "ascetismo"- disse mimando le virgolette in aria con le dita.  

Toccai appena la ferita, il soldato urlò.

"... di questo non averne mai abbastanza di fare a meno e a meno e a meno di tutto".  

Gli rivolsi un'occhiata veloce, mentre tamponavo il sangue che aveva ripreso a fuoriuscire dai lembi di cute aperti. Egli vaneggiava: "Qual è il senso di una vita trascorsa a svuotare con avarizia tutti i contenitori possibili, per trarre la più alta soddisfazione da una mano vuota. Quanta avidità devi avere in corpo per desiderare che nulla ti serva, che nulla ti sazi, che nulla, nulla ti scalfisca mai?"

Contrariamente a quanto diceva Ippocrate che sosteneva la necessità di mantenere la ferita asciutta per favorire la guarigione, circa trecento anni dopo un certo Galeno di Pergamo consigliava, invece, di applicarvi sopra un panno per mantenerla umida. 

Dopo un lavaggio con vino e aceto, feci cenno al soldato di lasciare immobile il braccio, poi mi diressi verso la seconda tenda dell'accampamento per tagliare un metro di benda. 

Alessandro mi seguì. "Da quando siamo qui, nel bel mezzo di questo nulla animato da corpi e cavalli, da quando sto vincendo una ad una tutte queste battaglie, stuoli e dico stu-o-li di statisti e filosofi sono venuti qui a congratularsi con me. Beh, pensavo, dal momento che siamo a Corinto, verrà anche lui, prima o poi! Ebbene, quel maledetto cane, non si è scomodato". 

Avvolta la benda attorno al braccio del soldato, provai a tagliare con una forbice cinque centimetri di quella fasciatura affinché non fosse troppo stretta. Ma le forbici non tagliavano. Non tagliavano mai. 

"Queste forbici non tagliano" dissi. 

"Sai cosa penso? Penso che...- stava dicendo Alessandro- penso che, in definitiva... dovremmo andare noi a portare i nostri omaggi a lui". 

Chiesi: "Perché vuoi a tutti i costi i complimenti di un uomo che non ha mai servito nessuno e che mai lo farà?". 

Alessandro non rispose. Era fatto così. Stava pensando già al tragitto che dovevamo fare per arrivare a Craneion. Sbuffai. 

Dunque, il giorno dopo, giungemmo nel sobborgo di Craneion, dove il Filosofo si godeva il suo tempo libero. Alessandro avanzò con ampio passo verso Diogene, il quale era disteso al sole. 

Diogene sollevò un po' lo sguardo, quando vide tanta gente venire verso di lui. Io mi tenevo in disparte, curiosa di assistere a quel duello di due diversi Daimon, due personalità. Ethos Anthropoi Daimon. ("Il carattere di uomo è il suo destino"). Scartai una caramella alla fragola. 

Quando furono vicini abbastanza, Diogene fissò negli occhi Alessandro. 

"Carissimo!"- esclamò Alessandro allargando le braccia quasi a voler contenere il mondo. 

"Alessandro Magno..." mormorò Diogene rivolgendo nuovamente il volto verso il cielo. 

"Si direbbe che quasi non ti importi di me! Beh... a me invece -ti dirò- di te mi importa! Non so se ti hanno detto che sto vincendo innumerevoli battaglie! Non le riesco più a contare!". Rise con l'euforia di un cocker spaniel che non si capacita del perché il padrone sia un po' troppo sulle sue. 

"Mi fa piacere, Alessandro..". 

"Ebbene, sono giunto sin qui..." fece una pausa per aspettare un cenno da Diogene, un qualsiasi cenno che lo incoraggiasse nel continuare il discorso. Il pubblico presente si protese impercettibilmente in avanti. 

"Sono giunto sin qui - ripetè avvicinandosi e facendogli ombra- per chiederti se ti servisse qualcosa. C'è qualcosa che posso fare per te?". 

Allora Diogene senza aprire né gli occhi, né muovere le spalle rispose: "Si. Stai un po' fuori dal mio sole". 

In molti corrugarono le labbra, dispiaciuti per quell'affermazione che presupponevano potesse aver ferito l'ego di Alessandro. Tuttavia, questi ne fu divertito. E la sua reazione causò l'ilarità collettiva verso quel filosofo, famoso per essere un randagio senza catene. 

Mentre ci allontanavamo, tra le battute e gli schiamazzi dei soldati, Alessandro mi disse: "Davvero, se non fossi Alessandro vorrei essere Diogene!". 

Mi sembrò abbastanza coerente, alla fine erano due Prime Donne. Ma non glielo dissi. 

Dissi soltanto: "Le forbici che mi hai dato non tagliano. Non tagliano mai". 

05/08/23

Amnion

by Cristina Taliento  


Art for Kitchensalt Ansd Pepper Shaker Still Life by John - Etsy


It started raining heavily

while I was sitting in a soulless café

lost in conversations in which I did not recognize myself

turning the salt shaker in my hands over and over

but really distracted by the thought

I was wasting my time.


And I said I had to go to the toilet,

but I went out in the street

in shorts and T-shirt,

without even putting on my sweater 

or any other forms of prudence

and I stuck my head in that torrential rain of June, 

called by the need to

return to being The Nothing

or, if not that,

the child,

the fetus in the amniotic fluid.


And I stayed there

like someone who is lost,

or as someone who has found himself,

with my long hair soaking wet,

in the middle of the stopped cars with the hazard lights

and the windshield wipers at the speed of

my beating heart.


Then I came back,

magically I was dry.

However as an apology I said:

"It's just

At night I dream of the sea,

I don't want the rain to stop."

I was pretty amazed by your answer

which I expected cold 

even artificial,

instead you said:

“Don't worry, I know your oceans”.

12/03/23

Di alci, di case, di eroi

 di Cristina Taliento 


In un periodo molto lungo della mia Formazione, dei miei giorni, delle mie ore indaffarate in cui corro tra il mare e le stelle, ci sarà sempre 

quella domenica in cui non lavoro 

dove porto fuori il cane e mi fermo a prendere un cappuccino da asporto nell'unico bar aperto di questa città medievale in cui sembra che tutto sia fermo al 1943, come in quadro di Giorgio De Chirico, tipo le "Muse Inquietanti". Quella domenica in cui non lavoro e nemmeno studio e nemmeno ascolto e nemmeno parlo, dove persino l'ultima edicola dell'ultima strada è miracolosamente chiusa. Chiuse sono anche le scuole, le chiese, le stazioni e le mura della città.

dove il cameriere aspetta sull'uscio che qualcuno entri per mangiare, ma non c'è nessuno sebbene sia mezzogiorno e, così, inizia a fumare. 

dove le idee sono solo potenziali e io non ho nessuna voglia di rincorrerle, al più le guardo sorridendo senza la pretesa che su di esse ci metterò mai il mio nome. 

quella domenica stile Lockdown 2020 per i single in case situate in strade poco trafficate con molto verde, discreto silenzio e staticità,

dove un alce americano, vista l'assenza dei presenti, decide di scendere a valle, continuare verso la pianura e poi addentrarsi nella città, quella città medievale, sempre quella e lì, poi, decidere di andare per quell'ultima strada alla fine della quale si trova quell'ultima edicola e lì, poi, trovare me che sono seduta sull'ultima panchina dell'ultima strada e bevo l'ultimo cappuccino dell'unico bar aperto della città. 

allora, l'alce mi guarda e il mio cane non abbaia nemmeno, si mette seduto e aspetta e io, con fare composto smetto di bere e gli faccio un cenno del capo. L'alce ricambia. 

il cameriere ci guarda e continua a fumare.  

e io non so nemmeno più dove sia casa mia e l'unica casa che mi resta è quella che ho in testa.