29/06/10

Effetti collaterali (anche gravi)

di C.T.

"Posso aiutarla, signore?". Esercizi addominali trenta per tre. Non c'è campo, non prende. "Ma corre corre corre corre la locom...". L'Unione Europea, dal 2007, comprende 27 Paesi. Evitare cibi ad alto contenuto calorico. Studiare da pag, 76 a 85, secondo paragrafo. Il saldo primario è -0,6% del Pil, il deficit -5,3%. Dormire almeno otto ore a notte. Abbassa la musica!! Esperto: migliora da metà prossima settimana, ma poi altro freddo. (Ripetere chimica). Protezione solare 50. Il buco nell'ozono non fa più paura. Ora possibile spegnere il computer. L'articolo 240 del codice di procedura penale è sostituito dal seguente: Art. 240 (Documenti anonimi ed atti relativi ad intercettazioni illegali). "Mayday, mayday, mayday, l'aereo sta precipitando". 126 morti. "Al mio segnale scatenate...". Certi bastardi, figli di puttana. "Prego? Non la sento... Gridi più forte!".
Guardare le stelle dalle 20:10 alle 20:15. Fogli bianchi formato A4. Da consumare preferibil... Avvisiamo i signori passeggeri che il treno subirà un ritard... Mi fai un favor... Le morti bianche sul lavoro. Golfo del Messico. Il fumo nuoce gravemente alla salute. Trigonometria. Troppo stretching fa venire i crampi. Mi senti? Chiude gli occhi... EHI EHI EHI!!!

Le mani sono piccole e maledettamente fragili per prendere a pugni i muri e le porte. Ed anche se tu usassi i guanti finiresti sempre a terra, con i polsi al soffitto e una canzone che parte all'improvviso. Forse è un'illusione o c'è davvero. Il fatto è che non ci scappi. Non ci scappi neanche a pagare. E picchiare un muro è come picchiare se stessi. Non puoi lottare contro le nuove lacrime che stanno per arrivare, sono troppe e scioglieranno la cera che non facevano scendere le precedenti. E non conta quello che hai fatto per arrivare a quel punto. Ti sembra come se all'improvviso non contasse un accidente di niente. E vorresti essere stordito o svenuto o morto. Invece sei perfettamente vigile: sconfitto, a terra, abbattuto, ma vigile. E senti quella stupida canzone degli Oasis che parte quando avresti voluto sentire la voce di qualcun'altro. Ma quando mai sei stato tu a scegliere?

La verità è che non c'è tempo e ti devi alzare da quel pavimento freddo che non riscalderai mai abbastanza. Ci saranno colpi di tosse, starnuti convulsi e mal di testa, ma poi sarà ora di svegliarsi del tutto. Perché non c'è tempo. Non c'è un maledettissimo secondo da perdere.

28/06/10

Al poeta

di Cristina Taliento





Mi giro e ti vedo al bar della stazione
139 anni passati e una rivelazione.
Non sei ancora morto, vecchio veggente
ora ti ho fatto avere 17 anni, come me, ovviamente.
Perché, vedi, io posso decidere
se farti vivere o, indovina, uccidere.
Ma, figurati, se hai paura della morte
tu, dannato poeta, dalle idee distorte.
All'inizio cercavi alla vita un significato convenzionale
improntato sull’educazione dei figli e la rispettabilità sociale.
Seguivi gli studi nell'istituto Rossà
dove emergevi con una prodigiosa precocità.
Un curriculum eccellente, chi lo nega
ma di questo pezzo della tua vita, senza offesa, non mi frega.
Avevi genitori, fratelli e, alle tue spalle, acclamazione
eppure tendevi ad una violenta ribellione.
Che diavolo stava accadendo al ragazzo francese
che la domenica andava in chiesa vestito da borghese?
Letteratura, latino, componimenti da preparare
ma, ragazzo, la tua anima cominciava a spuntare.
Eri un genio e, ahimè, dovevi scegliere
quale via- del Bene o del Male- prendere.
Puntasti alla sregolatezza di tutti i sensi
e mica stavi a badare a tutti quei dissensi.
Ti facevi trasportare dalle Illuminazioni,
reinventavi l'amore e camminavi sui carboni.
Non hai fatto altro che viaggiare assiduamente
e poi morire giovane terribilmente.
Adesso ti libero poeta maledetto
perché continuerei all'infinito e quindi smetto.
Ma una cosa, l'ultima, lo giuro, lasciamela domandare
e poi, prometto, che ti lascerò stare:
che colore hanno i pensieri sul pendolo la sera
quando la fiamma accorcia la candela?

27/06/10

Il Guardiano nella Segale

OVVERO, IL GIOVANE HOLDEN

di Cristina Taliento



Il titolo originale "The catcher in the Rye" (1951, J.D. Salinger) è stato tradotto in italiano con "Il giovane Holden". Caulfield ne avrebbe riso. Potrei scommetterci entrambe le mani se non fossi certa che lui non solo lo avrebbe trovato divertente, ma si sarebbe anche indignato. "Il giovane Holden" è un titolo figlio di quella stessa ipocrisia adulta che Caulfield detestava. Il giovane Holden, come per dire: "è giovane, perdonatelo. Aspettatevi, dunque, qualcosa di distaccato dal mondo adulto." Il grande, enorme, spaventevole mondo adulto dove si fa largo uso della ragione, dove non sono le risposte a mancare, ma le domande. Lo stesso mondo adulto che anche Antoine de Saint-Exupéry condanna con sottile ingenuità ne Le Petit Prince (1943).
Il titolo italiano accarezza con un velo di tenera commiserazione tutto quello che c'è scritto nel libro. La traduttrice Adriana Motti in una nota spiega l'intraducibilità del titolo, proponendo due versioni poco orecchiabili come "Il terzino nella grappa" o "L'acchiappatore nella segale". Il pubblico italiano non avrebbe capito. Concordo. Eppure bastava andare a scavare nel senso del "The Catcher in the Rye". Il titolo, infatti, si riferisce ad un passo esatto del libro dove Caulfield dice di voler fare colui che prende al volo i bambini un istante prima che essi cadano nel burrone.
Gli spagnoli hanno tradotto con "El Guardiàn entre el Centeno", dando la giusta idea di colui che sorveglia i bambini nella segale. Un titolo, quello spagnolo, che si sarebbe ben adattato anche alla lingua italiana: Il Guardiano nella Segale. Meglio di "Il giovane Holden", decisamente. Perchè, se avete capito bene l'anima di questo delicato libro, vi accorgerete che non è tanto nella giovinezza che sta la curiosa saggezza di Caulfield, ma nel suo modo atemporale di vedere il mondo.
Mi sembra quasi di sentirlo: "Ragazzi! Che diavolo di titolo... roba da restarci secco."

25/06/10

La Prima Guerra Mediatica

di Cristina Taliento







Ore 13:44 del giorno 25 giugno- Anno 2039.
Italia, Europa, Pianeta Terra, Sistema Solare, Via Lattea, Universo.

I sistemi internazionali, con la Legge 3,14 promulgata dal Parlamento europeo in data 22 dicembre 2026, proibiscono ogni forma di diffusione di notizie e, per assicurare che la violazione di tale legge non rimanga impunita, ordinano la costruzione di strutture speciali destinate ad ospitare tutti i giornalisti ed i cacciatori di notizie che si oppongono all'ignoranza.
Il 13 giugno 2027, dopo ripetuti scontri con il Sistema, le schiere di spiriti eletti del nuovo trentennio decidono di ribellarsi coinvolgendo le masse di cittadini con cittadinanza europea. Si scambiano informazioni segrete ricorrendo al Codice Morse, inventato nel 1835 dallo statunitense Samuel Morse, e preparano numerose strategie d'attacco. Essi destano le coscienze da tempo assopite contaminando i cibi e le bevande con speciali antidoti che, entrando in contatto con il sistema nervoso dell'individuo, provocano il risveglio da un coma non vegetativo, non farmacologico, bensì sociale. Il 27 luglio scoppia la Prima Guerra Mediatica.
Le masse, guidate dagli spiriti eletti, attaccano la sede centrale dell'ANSA che da tempo era stata blindata dal Governo. Fabbricano bombe con le carte dei giornali censurati e le scagliano contro le finestre dell'edificio. La risposta del Governo è tardiva a causa dell'azione tempestiva della parte avversaria, ma dopo pochi giorni le forze dell'ordine, su comando del generale Fiorenzo Maria Bareno, sparano cannonate sulla folla. Il bilancio dei morti è pari a: 80 morti, 450 i feriti.
Il Paese, però, è deciso a riappropriarsi della libertà di stampa e il 7 agosto 2027 la presa delle carceri da parte delle masse, rende liberi centinaia di giornalisti pronti al combattimento. Nessun risparmio o riguardo nello sperpero delle forze. Il Governo ritira le truppe dal fronte orientale e le scaglia sul territori italiano. Ma le migliaia di soldati italiani si rifiutano di aprire il fuoco dei fucili contro i loro familiari, così mirano altrove: al Governo.

23/06/10

Racconto surreale- Parte Terza

di Cristina Taliento


(Urban Sketchers, Laura Genz- Paris, France - 26/11/08, The Homeless)

Rimasi a guardare il punto nell'oscurità dove si era dissolto l'uomo a cavallo. Poi, ripresi a camminare con le spalle strette per il freddo e le mani nelle tasche della felpa. Mi stavo avvicinando ai vicoli occupati dai barboni e me ne accorgevo dai piccoli fuochi che intravedevo in lontananza. Il vociferare si fece più intenso quando passai accanto ai loro posti pieni di coperte, fagotti e bottiglie. C'erano tre uomini che parlavano sotto la luce di un lampione e un altro gruppo di sagome indistinte si riscaldava vicino al fuoco che era stato acceso in un bidone di ferro. Una di quelle figure mi venne incontro. Mentre si avvicinava distinguevo la forma di un ragazzetto magro, con un cappello a punta. Tolsi le mani dalle tasche.
"Ciao" mi disse.
"Ciao".
"Hai freddo?" chiese, con una voce che rivelava la giovane età.
"No, io...? No, no." risposi, ripetendomi
"Ah, meglio! Così mi puoi aiutare!" esclamò prima di sorridermi.
"Aiutare? Anche tu?" chiesi, sorpresa.
"Certo! Ho perso la mia ombra- rispose- ho bisogno che qualcuno la distragga così io la possa acciuffare all'improvviso. Allora, guarda, è semplice. Ti devi mettere dietro quella macchina rossa... la vedi?"
Feci segno di sì con la testa, ma non capivo niente di quella richiesta strana.
"Bene, ti devi mettere dietro la macchina, io lo so che si è nascosta lì sotto... non va mai troppo lontano... "
Stava parlando troppo velocemente e lo bloccai con la mano.
"Io ti conosco- dissi a bassa voce- conosco solo un ragazzo che perde l'ombra da queste parti." Una luce si era accesa nei miei ricordi infantili. Scoppiò in una risata sonora. Si curvò con le mani che coprivano la bocca aperta.
Poi esclamò: "Sono piccolo, ho 108 anni, sono il re delle fiabe... chi son?"
"Peter-pan" sussurai perchè non sentissero.
"E chi altri? Avanti, mi aiuti?"
Senza rispondere mi posizionai dove aveva detto e mi appoggiai sulle ginocchia per guardare sotto la macchina e non vidi niente. Solo l' ombra della macchina sulla luce fioca del lampione. Ma dalla fessura di luce potevo vedere quello che stava accadendo dall'altra parte della strada. Peter Pan era saltato addosso alla sua ombra e l'aveva legata stretta alla sua caviglia.
Non feci in tempo ad alzarmi che lui mi era già davanti, soddisfatto e sorridente.
"Grazie mille!" disse.
Feci un mezzo sorriso. Poi, all'improvviso, dissi:
"Io non sono d'accordo con quello che fai"
"Dovrei dare più libertà alla mia ombra, secondo te?"
"No, non sto parlando di questo. Dovresti piantarla con questa storia scema dell'adolescente eterno."
"Ah... - sembrava deluso, poi si riprese- Io posso fare quello che voglio."
"Si, ma sbagli. Tutti non fanno altro che inneggiare l'adolescenza. La rimpiangono, la innalzano come l'età più bella dell'uomo. Sai che penso? Tutti imbecilli." dissi.
"I vecchi sono tristi e soli" rispose, sicuro della sua scelta.
"I giovani lo sono di più" ribattei seccata.
"Fandonie" mormorò, diventando di colpo serio.
"Allora, dimmi, Peter Pan- parlai, scandendo le parole - che ci fai in un vicolo, senza casa, con gente che non vive di fiabe? Con gente che invecchia ogni giorno?"
Mi guardò per un attimo e poi rispose a bassa voce:
"Volevo vedere com'è fatta la vita... Questi barboni vivono ogni giorno in modo diverso."
"Loro invecchiano" dissi.
"Si... lo fanno. "
Lo guardai negli occhi e vi intravidi una scintilla bagnata. Decisi di non insistere.
"Devo rimettermi in cammino. La notte non è poi così lunga. Vado." dissi, ma rimasi ferma.
"Ci vediamo." balbettò Peter Pan, confuso.
Forse faceva bene, forse avevo fatto bene io a sostenere quelle idee che mi parevano giuste. Ma ho sempre un sacco di dubbi sulle cose che penso.
Mi girai e ripresi a camminare veloce nella direzione opposta alla sua in questo mondo troppo grande.

22/06/10

Racconto surreale- Parte Seconda

di C.T.

(Urban Sketchers, Kumi Matsukawa, Franklin Park Night)
Avanzavo nella penombra calciando un pacchetto di sigarette accartocciato mentre Dylan cantava in qualche parte nella mia mente. Incrociai le mani dietro la nuca e sbadigliai.
"Altolà caballero!" mi gridò qualcuno alle spalle.
Mi girai lentamente e vidi la sagoma di un uomo a cavallo. "Eccone un altro" pensai.
"Manos al aire! La licenza de cavalleria, prego! Ràpido, ràpido!" disse, con il mento alto e la voce imperiosa.
"Non ce l'ho. Ma chi è lei?" chiesi, annoiata.
"Yo soy Don Quijote de la Mancha, enemigo de los criminales e ingenioso hidalgo..."
la sua figura austera si sovrapponeva sulla luna piena.
"Ah si, si... ho capito! Hola Don Quijote! Io non sono una criminale."
Mi sentivo imbarazzata da quell'individuo che si ostinava a credere di essere un cavaliere. Non lo era mai stato, quel povero diavolo, ma continuava le sue battaglie. Pensai di spezzargli il cuore sbattendo sulla sua ossuta faccia tutta verità.
"Sai, -dissi all'improvviso, mentre scendeva da cavallo- tu non sei un cavaliere. Credi di esserlo, ma non lo sei".
"Còmo dice usted?" chiese, alzando il sopracciglio in modo teatrale.
"Sono sicura che lo sai, nel profondo... amigo" sbadigliai di nuovo.
"Yo soy Don Quijote de la Mancha, fièl caballero del rey y heroe..."
"Questo è ciò che crede di essere. Quello che crediamo di essere è diverso da quello che siamo" dissi compiaciuta di quelle mie parole. Sorrisi.
Lui si fermò un attimo, si avvicinò a me. Il rumore dei suoi stivali di ferro rimbombava sull'asfalto umido. Mi guardò dritta negli occhi e mi disse in perfetto italiano, con una voce diversa:
"Vedi ragazzina, tu credi di sapere. Quello che crediamo di sapere è diverso da quello che sappiamo davvero. Tu non sai un bel niente."
Il labbro inferiore mi stava scendendo lentamente e pensai che se mi fosse caduto, con quel buio, non lo avrei più ritrovato e mi sarebbe toccato andare in giro con i denti inferiori completamente scoperti. Mi affrettai a chiudere la bocca e per un istante sembrai un pesce.
Poi iniziai a balbettare:
"E...e... va b-b-bene"
"Noi siamo quello che scegliamo. Io ho un amico idiota che fa l'insegnante. Non fa mica l'idiota."
sentenziò, guardandosi le unghie della mano sinistra.
"Si... ma..." avevo ragione io, ma non capivo sotto quale letto si era andata a nascondere tutta la mia abilità nel parlare.
"Io sono un cavaliere errante per l'esaltamento del mio onore e per il servigio della repubblica. Tu cosa sei? Avanti, dimmelo!"
"Sono un' idiota" fu tutto quello che riuscii a dire.
"E di quanto esattamente ne sei convinta?"
"Pienamente convinta, cavaliere".
Don Chisciotte si allontanò come un vincitore. Forse ero stata la sua battaglia contro i mulini che non aveva mai vinto e ora la vinceva ed io rimasi lì come una che, però, non ha perso un bel niente, anzi ha guadagnato qualcosa di grande e invisibile agli occhi o alle parole.
Quella notte stavo perdendo tutte le mie certezze... le stavo sfogliando come petali di un fiore notturno. Mi proposi di continuare quell'avventura con atteggiamento più umile e predisposto all'apprendimento. Mi convinsi di essere appena nata, senza nessun modello di educazione attaccato alla fronte.

21/06/10

Racconto surreale- Parte prima

di C.T.

Eravamo seduti una di fronte all'altra, ma stavo attenta a non guardarla negli occhi. Fissavo la scacchiera anche quando era il suo turno e, per non sembrare una marionetta abbandonata, ogni tanto, mi versavo nel bicchiere un po' di quel brodo infernale che lei chiamava "rum".
"Tocca a te" disse all'improvviso e la sua voce mi fece mandare giù l'alcol prima del previsto. Iniziai a tossire con gli occhi lacrimanti, mentre facevo gesti con la mano per dire che stavo bene.
"Guardami negli occhi, idiota" mi gridò, alzandosi in piedi.
"Te lo scordi, Medusa, io non ti guardo. " risposi, puntando l'alfiere in BF.
"Ah, ma perchè? Perchè!". Aveva iniziato a rotolarsi a terra con le mani sulla fronte. I serpenti nei suoi capelli strisciavano sul tappeto rosso.
"Smettila, me ne vado." Presi le chiavi sul tavolo e mi diressi verso la porta.
"No! Non andartene... Sei la mia migliore amica- mi disse ed io mi fermai- se mi guarderai non ti trasformerò in pietra. Servirà solo a dirti che... ti voglio bene."
Esitai, guardando in basso. Studiavo il pavimento come se stessi guardando un'opera d'arte.
"Medusa... io..."
"Fidati di me. Fidati di qualcuno per una dannatissima volta."
Quando corri da sola da troppo tempo, poi è difficile andarsi ad iscrivere ad una maratona .
"Non posso. Tu mi ucciderai". Scappai da quella stanza e mi misi a correre sulla strada buia e deserta. I semafori erano fuori uso e l'umidità si era depositata sulle auto e sui miei occhiali. Sentii una sirena in lontananza, delle grida, uno sparo. Chiusi gli occhi per qualche secondo mentre maledicevo l'inizio di quell'avventura. Quando li riaprii, c'era una macchina ferma al semaforo spento. Fred Flintstone, sulla sua automobile di pietra ferma davanti al semaforo, con il gomito fuori il finestrino, premeva il pugno sul mento rassegnato.
Mi avvicinai non appena lo vidi.
"Salve, signore. Il semaforo non funziona. Dopo le ventiquattro iniziano a lampeggiare come scimmie."
"Non capisco... scimmie?" Fred mi guardava con occhi stanchi.
"Lasci perdere, io neanche lo so cosa dico" risposi, alzando gli occhi alle stelle.
"Il problema, ragazzina, è che non ce la faccio più a guidare quest'auto... le mie gambe sono stanche." abbassò la testa.
"Ah... io... " sorrisi, imbarazzata per quello che stava per chiedermi.
"Puoi aiutarmi?" nei suoi occhi una luce d'entusiasmo.
"Oh...ecco, io... è tardi, non ci riuscirei... ahia" guardai l'orologio in preda all'ansia.
"Egoismo, non è così? Gli uomini ne sono affetti e tu come loro. Mia moglie Wilma lo ripete sempre"
"Ascolta, Fred... io..."
Quando conti solo sulle tue forze, dopo che tutti ti hanno sbattuto le loro stupide porte, poi è difficile aiutare. Ma lui era stanco e mi guardava come un bambino.
"Ok, Fred, azioniamo questi quadricipidi" dissi, entrando nella macchina dei Flintstones.
Lui pregò per darmi un passaggio, ma io dissi che avrei fatto la strada a piedi. Mi regalò un osso. Lo ringraziai.
Camminavo battendo l'osso sul ginocchio destro e pensavo che quella notte non era ancora finita.

19/06/10

Sulla libertà dell'essere

di Cristina Taliento

"IL FRATELLO DI MIO NONNO HA DETTO CHE I PENSIERI DISTRUGGONO GLI IDIOTI, MA A QUESTO NON CI CREDO, PERCHé CI HO GIOCATO TANTE VOLTE, COI PENSIERI, E NON MI HANNO MAI DISTRUTTO." ( la vecchia mocciosa me, dal Diario della prima media)

Dire sempre quello che pensi anche a costo di risultare volgare, ridicola, banale, comica, ribelle.
Nessuno può farti cambiare idea su qualcosa. L'unica verità è essere se stessi e urlare contro chi cerca di cambiarti.
Non c'è proprio nessuno su cui contare veramente: gli altri sono solo di passaggio, ti demoliscono l'anima e tu li lasci fare aggrappandoti all'idea che stiano facendo bene a modellarti secondo i loro gusti. Ma poi "gli altri" spariscono, risucchiati dalle loro vite frenetiche e rimani tu che non sei più quello che eri prima e nemmeno quello che volevano loro: sei una via di mezzo, uno scarto di fabbrica mal riuscito. Ciò che resta di te è solo una mente e un corpo plasmati dai pareri della gente. Sei plastica, polvere, un inutile corpo di materia che occupa lo spazio che trova. Non ritornerai mai come prima perché quando lasci violentare il tuo essere dal mondo, il mondo non perdona, non restituisce niente.
Mangiare, ridere, correre, capire, pensare, ballare, guardare le stelle, dormire, parlare solo secondo quel tribunale interiore che sentenzia scelte, alle volte, oscure anche a noi stessi. Non ci conosceremo mai per quello che siamo veramente e, sebbene capiti continuamente di veder sfilare sui marciapiedi della vita persone sicure, è bene rendersi conto che mai nessuno ha la perfetta percezione del suo essere: tutti sanno come reprimerlo, distruggerlo, farlo assomigliare ad un ibrido, ma non sanno ancora come studiarlo fino a comprenderne le vere cause. Non ci sono colpevoli o uomini pigri che non hanno voglia di scoprirsi, di rivelarsi. Ci sono tuttavia uomini che ingannano la loro fragilità credendo di migliorarsi secondo la scienza, la ragione, la filosofia.
Eppure essi ignorano la piccolezza di tutto ciò e si credono padroni della verità solo perché stringono nello loro fragili mani una zolla del reale. Ma niente è reale se non si ha la percezione di e gli uomini controllano i loro sentimenti come il marinaio, solitario, ansimante, cerca di domare una tempesta al di sopra della sua barchetta. Loro non conoscono la loro mente, l'universo o il tempo, il dolore, il vuoto: parole prive di significato che non sappia di convenzionale. Gli uomini non sanno, solo questo, e se essi sono tutti uguali non c'è ragione, modello, stereotipo in base al quale essi devono uniformarsi. Non c'è verità assoluta da seguire o comportamento valido per cui vale la pena cambiare. Nessuna certezza, nessun faro che lampeggia tra i flutti. Non ci sono, dunque, persone sicure, ma persone ingenue che si lasciano dominare dalle poche scoperte scientifiche, dalle etiche comportamentali, dalle convenzioni, dalle fiabe che partoriscono i signori imbellettati che ridono, in ugual modo, di altre fiabe giudicate da loro meno credibili. Non potremo scoprire forse mai ciò che siamo, se c'è uno scopo alla nostra esistenza, ma per qualche ragione noi siamo qualcosa che non abbiamo scelto di essere. Noi possiamo soltanto lottare per quello che siamo, mai per il risultato, mai per la soluzione. Solo per quello che siamo.

16/06/10

Il Cantastorie

di Cristina Taliento


Buonasera a tutti, amici cari,
il vostro benestare non è nei miei affari
perché, vedete, ora ho altro a cui pensare
e se volete sapere cosa, statemi ad ascoltare.
Io conosco una persona che gira per le città
e un'identità, nossignore, non ce l'ha e mai l'avrà.
Lui vive di storie e di rum bollente
ed anche dei soldi che gli snocciola la gente,
però lui non vuole fare il vagabondo,
ma è così che lo chiamano gli imbecilli, in fondo.
Io credo che facesse il Cantastorie di professione
per riempire quegli stupidi vuoti d'emozione,
che gli spaccavano le orecchie fin da bambino
quando non sapeva ancora molto del suo destino,
però una cosa la immaginava,
lui sapeva che la sua vita stava nelle storie che narrava.
Vedete, amici, non è facile da spiegare
a chi non sa cosa vuol dire raccontare.
Quest'arte è stata il mio primo amore
ed è per questo che lo capisco bene il Cantastorie.
Molti lo chiamarono "artista politicizzato"
perché le sue trame facevano un gran bel boato.
Insomma, lui raccontava di gente inchiodata,
minacciata dalla mafia e poi assassinata.
Dunque, cosa vi aspettavate,
storie che parlavano di belle stron...ehm ehm... ragazzate?
Storie che sapevano della polvere di guerra,
di politici venduti, del sangue della terra:
ecco intorno a cosa gravitavano i suoi temi
niente a che vedere con il cinema e i suoi poveri scemi.
Non c'era finzione nelle sue crude parole
dolcemente sussurrate sulla luce del sole.
E chissà adesso dove sarà quel soldato
quel menestrello condannato.
Forse avrà cambiato anche l'aspetto
con una barba lunga o, pensate, un colletto!
Ma se vedete, tra la folla, un Cantastorie
non stateci a pensare per delle ore,
fatevi spazio e ascoltate quel che narra
la verità, anche se scomoda, non vi metterà alla sbarra.
Poi quando di narrar non ne avrà più
scorgerete una piccola lacrima, sulla sua guancia, scender giù.
Quello è il suo segno, il suo distintivo:
la tenera emozione sul volto del fuggitivo.

14/06/10

Il cuore spezzato del Bastardo

di Cristina Taliento




Questa è la triste storia del cane Bastardo
il cui cuore venne colpito da un dardo
scagliato da Cupido con cattiveria
affinché l'ira placasse la miseria.
Il Bastardo l'amor non conosceva affatto,
anzi si beffava di ogni stupido contatto
e alla sera beveva le lattine di birra dimezzate
che rotolavano sull'asfalto a seconda delle ventate.
La notte in cui accadde quell'attacco
vide una cagna spuntare dietro un sacco.
Era un sacco di salsicce rosse e profumate,
ma il Bastardo pensava al suo cuore in preda alla fiammate.
In quell'istante l'amore gli portò via il senso del reale,
tutto gli sembrava, al confronto, sciocco e banale.
Ma i suoi riflessi da randagio non lo fecero scappare
da quel sentimento bruto e infernale.
Lisa, la cagna, era la peggiore:
se la spassava con i cani del quartiere a tutte le ore,
cinque, sei, sette alla volta,
nel cuore del Bastardo era in atto una rivolta.
Nella sua carriera da ladro e figlio della gente
con la sconfitta non ci aveva condiviso niente,
ma questa volta, ahimè, il poveretto
sembrava un ammasso di carni da vendere all'etto.
Si lo so, che questa rima è patetica davvero
ma Bastardo stava così sul serio.
Lui decise di gettarsi in un fiume avvelenato
e lì il cane vestì il ruolo dell'annegato.
Niente lacrime per quel Bastardo innamorato
il macellaio disse: "Quel cliente non mi ha mai pagato".
Lisa, la cagna, abbaiò sul fiume per un po'
poi vide tre rottweiler e con essi se n'andò.
Ora io dico maledetto
a quel Cupido che lo punì con dispetto.
Ma non posso fare altro che tenere a mente
la fine del Bastardo che impazzì follemente.
E fine è la parola azzeccata
perchè qui finisce questa storia malamente narrata.

13/06/10

Sulla fantasia

AVVERTENZA: TEORIE SEMISERIE. Esse, pertanto, non intendono sostituirsi al parere medico e i loro riferimenti a persone o cose sono dannatamente casuali.

di Cristina Taliento

Una delle più grandi incombenze di certi adolescenti è che spesso sono vittime di pensieri invadenti, partoriti, se non abortiti, spontaneamente dalle loro curiose teste. Essi rimangono come folgorati da visioni fantastiche e sono del tutto incapaci di reagire, né possono chiedere aiuto, avendo essi perso ogni sensibilità del loro corpo. La bocca si apre senza nessun controllo, gli arti superiori cadono abbandonati al lato del busto e gli occhi si immobilizzato su un punto detto intersezione di questo Mondo con un altro qualsiasi. Conseguenti sintomi di tale morbo sono: battito cardiaco accelerato, mani sudate e successiva ansia nata dall'irrefrenabile smania di scrivere tutto quello che si è visto durante la visione. [...]
Testimonianze attendibili di giovani affetti narrano che le immagini sussurrate dal loro cervello non hanno collegamento alcuno con immagini realmente vissute nei loro giorni precedenti.
Sono da escludersi, dunque, analogie con altre espressioni del subconscio come i sogni ad occhi aperti, allucinazioni e paralisi ipnagogiche. Si tratta di vere esplorazioni di infinite dimensioni che vanno dal reale sino a giungere all'astratto.
L'analisi delle testimonianze è giunta alla conclusione che nei suddetti adolescenti è stata riscontrata una propensione alla fuga dal reale, come rifiuto di una razionalità beffarda e derisoria.
Di seguito verranno riportate le testimonianze di un adolescente che ha contratto il morbo De Inventionibus. [...]

"Me ne stavo nel letto e facevo finta di dormire perché altrimenti mi toccava andare a fare la spesa e con questo caldo non si può uscire allo scoperto... insomma mi avete capito. Stavo tutto preso a pensare alla pacchia, di quanto era bello starsene con le mani in mano come un re con le piume che si agitano per fare vento e via dicendo. Poi è successo che di colpo mi è venuto in mente di sprofondare nel materasso e di finire giù giù in Siberia in mezzo ai ghiacci, in una bufera di neve. E dai e dai arrivo ad una casina e ci trovo una vecchina che mi invita a bere un the. Io dico no grazie perché il the mi fa parecchio schifo però sto attento a fare l'educato. Insomma, 'sta vecchina si mette a chiedermi di chi sono figlio e io mi invento una storia bell'e buona. Manco nei film. Mi metto a raccontare che vivevo in una fattoria sul Volga però ero rimasto solo come un cane perché mia sorella Giuditta era scappata con un tale e chi l'aveva più vista, mio fratello Piero era andata a cercarla e chi l'aveva più vista, mio padre era caduto nel fiume e mia madre era morta di dolore senza pensare che c'ero ancora io, povero scemo. Poi non vi dico. Quando sono ritornato in me, ci sono rimasto secco."

Dunque è alquanto evidente che il ragazzo in questione non abbia niente a che vedere con la sua fantasticheria, ma si trovi, tutt'al più, nella situazione opposta. [...]

12/06/10

Ballata di una ragazza mai esistita

di Cristina Taliento


Sirene, sudore, alcool e zanzare, notte d'inizio estate senza luna.
Stavo dormendo, fanciulla di mille lune fa,
Quando ho sognato la tua storia. Tremavo
E ricordo che ho pianto quando è finita.

La tua storia sembrava non avere protagonisti,
Perchè tu eri sempre all'angolo della tua vita,
Distesa a pensare sotto il tiglio verde,
Con gli occhi incantati tra le foglie e il cielo.
Quando un fiore ti è caduto sul cappello di perle
Ti sei girata e lui era lì,
Raggio che penetra nel bosco e trafigge le grida della tramontana.
Stupore, paura e odore di rum bollente mischiato all'oceano dei tuoi sogni.
Ma che hai fatto, fanciulla?
Perchè non sei scappata, ragazza, tra le lacrime e la seta del tuo vestito nuovo?
Lui ti ha baciata e tu hai aperto gli occhi spaventata,
prima di sparire nell'aria come la polvere di farfalla.
Dimmi a cosa pensavi nell'istante in cui i tuoi vestiti sono caduti sull'erba,
vuoti, senza la tua dolce consistenza.
Non ti fermare per la lacrima che scende muta sulla mia guancia,
Continua a parlarmi di quel bacio che ti sbriciolò l'anima.
Note di filo spinato ti graffiarono la pelle
il battito d'ali di una capinera
e tu eri vento. Mai più come prima.
Vita o morte, cos'eri diventata dopo quel bacio stregato?
Il tuo profumo veniva trasportato dagli stormi,
nel canto della comunità che ti cercava.
Entravi nei sogni senza bussare
ed eri nutrimento, dimora, neve e domande.
Né una discorso, nè un applauso al tuo funerale
solo vestiti bianchi come spose
e la voce del padre che chiede ai presenti il perchè.
Ma tu in questo mondo non hai mai saputo nuotare
e non ti sei ribellata a quella curiosa situazione,
Forse è per questo che non sei voluta tornare.
Hai preferito barattare i tuoi cinque sensi per essere il pieno e il vuoto.
Per essere ragione e fuga, paura e desiderio.
Mai vecchiaia, mai materia.
Inizio, mai fine.

06/06/10

Ridicolo

di Cristina Taliento

"Tu sei ridicola" mi ha detto mia sorella e mi ha guardata con le labbra arricciate.
"E che c'entra - faccio io - tutti sono ridicoli, ognuno come può" ho risposto, sorridendo.
"Bella minchiata"
"Mica tanto... mica tanto..."

Ridicolo.. ridicolo, sussurrava questa parola alla sua mente mentre accarezzava distratto il pomello del suo bastone. Il pendolo scandiva i minuti. Ridicolo, ridicolo...

Ahahaha, ma chi è? boh, un tale della mia immaginazione che mi salta in mente tutte le volte che un termine o un concetto mi suona strano e allora vedo lui, che si ripete questa parola tutto confuso e desideroso di arrivare alla soluzione. Quest'uomo si siede, mette una mano sul mento e l'altra sul ginocchio e pensa, pensa. Ridicolo, ma che vorrà dire mai?
Poi arrivo io, col vestito della domenica e l'aria da saputella dei miei stivali.

"Sta' tranquillo signore, non vuol dire un bel niente, se proprio lo vuole sapere" potrei rispondergli io.
"E perché mai?" chiederebbe
"Perché è uno di quei termini che già presuppone una già fondata identificazione della realtà, della serietà e di tutte quelle cose, insomma, che ridicole non sono."
"Aspetta un attimo, ragazza. Quanti anni hai? Mi stai confondendo, perbacco." bofonchierebbe il vecchio.
"Ma che confondendo e confondendo... Lei è parecchio più anziano di me! Dovrebbe capire! Avanti... mi dica cosa per lei è ridicolo" potrei rispondere io, magari mettendo le mani sui fianchi.
"Bah... guarda, forse sono ridicoli i pantaloni corti, quelli che lasciano scoperta la caviglia. Mi capisci?"
" E certo. Ma lo vede? Lei giudica ridicolo solo ciò che non è nella norma"
"Beh hai ragione" potrebbe ammettere il vecchio.
"L'essenziale è non farsi prendere dal, comesichiama, conformismo, ecco" sentenzierei io con l'aria da maestrina.
"Basta. Mi hai convinto. Lo sai che penso, ah? Che il mondo è tutto ridicolo e mi fa ridere come i pazzi e i pazzi, invece, ridicoli non sono."
"E lei è un pazzo!" sparerei io di botto.
"Ahahahah, mi fai ridere, ragazzina" direbbe il vecchio, strozzandosi con la sua saliva.
"Eh già, ma si calmi ora... Non mi vorrà diventare ridicolo così all'improvviso"
"E che cos'è ridicolo?" mi domanderebbe lui, con l'aria innocente e furba.
"Vedo che ha capito, signore"
E lui, allora, mi potrebbe fare un bell'occhiolino complice.