25/02/17

Strade in febbraio verso Carnevale

di Cristina Taliento

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(Dunlop Street, Little India by PaulArtSG)

Strade. Strade sotto nuvole, coriandoli qua e là. Cammino per vie che allungano il percorso, come spesso accade in febbraio, come dicevo sotto più nuvole che sole, tra i coriandoli, in mezzo ai ragazzini dagli occhi grandi che tornano da scuola. Autobus, fruttivendoli, lattine di birra per terra, mentre l'Uomo del Kebab esce dal suo locale, con ancora il grembiule addosso, guarda a destra, a sinistra, sono le tre del pomeriggio, chi vuoi che abbia ancora fame a quest'ora. Smontano dal turno della mattina i volontari di Croce Rossa. Alcuni li conosco, faccio un cenno del capo. 
C'è una piazza più avanti - più avanti rispetto ad un posto indefinito- una piazza, dicevo, diversa dalle altre. Si ritrovano gli immigrati, ascoltano musica ad alto volume, appoggiati ad un muretto ridono, scherzano, mi chiamano 'bela ragaza'. Ma no, non è vero.  Sembrano felici, sollevati, come se stessero bene. La musica è una musica che non conosco, qualcosa di lontano, diverso dai miei gusti, ci sono troppi suoni, a stento riconosco la presenza di una chitarra. Alcune mamme spingono passeggini vuoti, i bambini corrono per la piazza. Non so, vorrei fermarmi un attimo, inventare una scusa per restare lì con loro. Così, rallento, respiro quel sound semplice, l'energia di un gruppo di persone che sta condividendo qualcosa, cosa non so, magari soltanto un'idea, un ricordo, il senso dell'appartenenza. Penso che, se rallento il passo, do il tempo alle parole di maturare, di capire cosa sta sentendo il cuore perchè, alla fine di quella piazza, ci saranno strisce pedonali e palazzi, altre strade e chissà che fine farà quella sensazione, il calore. Così mi appunto queste parole in testa, accanto alla definizione di linfangioleiomiomatosi: 

vi era una piazza, 
laddove nessuno poteva non ridere alle battute del vecchio Amad 
e dove i bambini correvano sulle punte dei piedi, 
del resto, la loro leggerezza lo permetteva. 
Per cui io mi toglievo il cappello,
temporeggiavo, volevo starci dentro,
altri trenta secondi soltanto.
  
E più o meno è sempre la musica a descrivere i colori, le strade. Il suonatore di fisarmonica dalle belle mani ha una visiera che gli copre metà del viso. Sbaglia una nota e poi un'altra ancora, ma è la strada, mica un teatro e chi se ne frega, è tutto un macello, un pomeriggio disordinato di gabbiani e corvi, clacson, tassisti in protesta, vecchi polemici che commentano ad alta voce le notizie sulle locandine all'esterno delle edicole e cani, tantissimi cani di tutte le razze, barboncini, rottweiler, pastori tedeschi, dalmata e jack russel. 
Il negozio di prodotti Bio ormai va alla grande. 
E tutto va,
come deve andare.

Per le vie del centro, poi, ogni volta, seduto, c'è il suonatore di xilofono. In realtà non è uno xilofono, ma una specie di strumento a corde che forse si è costruito da solo e che comunque si suona dall'alto, con entrambe le mani e non riesco mai a capire cosa stia afferrando. Si muove velocemente, scuotendo la testa come se fosse in un'altra dimensione, un posto lontano, in mezzo a chissà quante contraddizioni e pensieri strani. Me lo ricordo da sempre. E' anziano e forse schizofrenico. Una volta l'ho visto correre, in modo confuso, spaventato.  Si guardava alle spalle, ma non c'erano che persone, distratte, di fretta, maschere innocue. Quella è stata l'unica volta in cui l'ho visto in piedi, camminare. E chissà se ha mai freddo a stare lì a suonare tutto il tempo. 

C'era un uomo, un suonatore di strada
Pochi capelli, una giacca.
Il suo strumento l'aveva plasmato a immagine della sua anima.
Era completamente pazzo, 
ma tra tutti i passanti,
il più vero, il più naturale.






24/02/17

Lo Studio e Le Onde

di Cristina Taliento

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(Tolido's Expresso Nook, Singapore)


Ansia quieta un mattino d'inverno,
il cielo celeste come la Medicina,
la mia scrivania è un'immensa pianura,
ho una camicia a quadri e grinze,
sempre
   la
 stessa,
e aereoplani di carta,
barchette bianche,
ricordi d'infanzia.
Gli appunti come sono belli,
che bella scrittura...
ma solo io non capisco
quello che leggo?
Nei miei capelli, farfalle.
Ripeto in piedi,
dov'è il mio letto.
Tre tazze vuote, sporche di caffè.
Dov'è la matita.
Dove sono le mie Norvegie psicosomatiche
di cui ora non vedo che orizzonti lontani
e limiti.

E se invece,
sabato
 andassi a respirare il mare
nel posto più vicino,
 da sola?
Quanto disapprendere dovrei,
quanti libri all' incontrario sfogliare,
per ritornare a sentire
le onde, il silenzio del faro,
quel pomeriggio?

19/02/17

Le cose che abbiamo da dirci

divagazioni di Cristina Taliento

Nessun testo alternativo automatico disponibile.
Vasilij Kandinskij - Zartes Gemüt (Delicate Soul), 1925. Watercolour and pen and ink on paper , 47 x 37.1 cm, Sotheby's Images, London


Le cose che abbiamo da dirci- io e il Mondo- a volte sono tante, a  volte sediamo di fronte, in un bar, io prendo in mano la saliera, inizio a giocarci, non so che dire. Il Mondo è chiunque, per esempio l'edicolante delle sette e dieci, l'edicolante che vedo una volta al mese quando esce il nuovo numero di Scienze; dice non appena mi vede cercando tra le riviste: "salve, ecco qui, l'ho messo da parte". Dico: "grazie mille". Che poi, perché mille
Dice: "Nessuno legge più il giornale ora che c'è l'Internet". Sorrido per l'articolo: l'Internet.
"Il mondo cambia" invento.

Le cose che abbiamo da dirci- io e il Mondo- sono più belle quando non ci penso, quando non so chi sono, il vento soffia sulle stelle che brillano, quando non mi importa di essere capita o mal interpretata. È allora che il Mondo ride, sorride, per qualcosa che ho detto, qualche strano collegamento della mia mente che a lui è sembrato divertente e che io, boh, davvero manco mi ricordo. Mi fermo, il Mondo mi guarda e restiamo in silenzio a respirare l'aria della sera. Così io gli chiedo quando è stata l'ultima volta che si è sentito davvero sé stesso. 
"Ehm- fa il Mondo alzando le sopracciglia - forse quando ho cucinato per mio zio malato. Di solito è mia nonna che se ne occupa, ma giovedì ci ho pensato io e ho sentito un bel calore nel petto, un essere me che mi piaceva".
"Giovedì della scorsa settimana? " domando.
"Si" risponde il Mondo.
"Okay- e aggiungo- non è passato molto tempo".

Le cose che abbiamo da dirci sono per di più le seguenti:
Mi scusi,  potrei, la prego, quanto dista, grazie, prego, potrei chiederle gentilmente, grazie, vorrei, potrebbe per favore, non le dispiace se, che maleducato, non parlo la sua lingua, yes I speak english, mi fa passare, ma perchè non metti la freccia, si figuri, thank you, si non c'è problema, prego vada avanti lei, ma certo, no non ho la tessera, si ho la tessera ecco, grazie, prego, buongiorno e buonasera, alza gli occhi da quel cellulare.

Le cose che abbiamo da dirci - io e il Mondo - dormono nei sogni irrequieti in cui vorrei alzare la voce e dire la mia con la stessa indignazione di quando ero bambina, con quella rabbia bella che a volte credo di aver perso e a volte sento di provare.
"Ma come Cristellina- fa il Mondo- arrabbiata te, che sei la più calma di Me?"
"E invece me le hai proprio rotte!" esclamo.

Le cose che abbiamo da dirci...già. La maggior parte delle volte cambiamo argomento. Io e il Mondo seduti su una panchina del parco a mangiare le caldarroste . Vorrei parlargli del cielo e invece gli chiedo se cortesemente può evitare di buttare le bucce per terra.