31/10/10

Ritratto di un musico assorto

di Cristina Taliento (Suonatore di Liuto, Caravaggio; cm 94x119; olio su tela; San Pietroburgo, Museo dell'Eremitage)
Cupo e assorto fu il musicista e potei dir di lui chi fu senz'altro pallido si non fosse che potria corrère il rischio d'imitar il Montale Eugenio che con cotal parole descrisse il meriggio. Allor mi limiterò ad attribuirgli cupezza e pensieri; mai dunquè mi azzarderò ad arrecare pallido ardore alla suo viso d'angelico demonio. Or vi dirò di lui non già la verità, nè la menzogna. Dirò soltanto quello ch'io vidi e pensai sanza esercitare il pregiudizio o men che mai il diniego, giacchè fui colpita solamente dal suo sguardo basso e da come le sue dita solletico facean a quel mansueto liuto.

Vedete, io son persona che non cerca l'avventura, ma sa allettarsi con quel che trova in giro, dietro un angolo o un ulivo. Così io vidi, facendo dell'esempio, questo giovine che suonava il suo instrumento e seppur il desiderio debole non fosse, non seguitai a porgere domande.

Costui più che seduto, stava adagiato su lo sedile di un treno e io stavo di fronte ad egli con l'aria imbronciata di chi attende l'arrivo di panorami familiari.

Egli teneva appoggiato il liuto sulla sua gamba più alzata e con la mano opposta stringea una stilografica con la qual deliziava lo foglio della sua giovenil scrittura. Or io pensai ch'egli iscrivesse note o musicate parol e mi chiesi chi fosse l'amata alla qual quegli destinava l'amor suo. Avvenne ch'io divenni sempre più curiosa e per questo feci per alzarmi e inzuppai volontariamente l'occhio negli affari di quel musico troppo assorto. "Amai trite parole che non uno osava. M'incantò la rima fiore/amore, la più antica difficile del mondo."

24/10/10

Volevamo

di Cristina Taliento

Volevamo spostare il vento con le nostre braccia
o un aquilone col pensiero
e guardavamo i gatti che miagolavano sulle macerie
e non avevamo cura delle sirene lontane
o del vago sentire per non tornare.
Volevamo violare le leggi del vuoto
e strappare le pagine della Filosofia
o stringere tra i denti i mozziconi del futuro
e masticarli fino a farli diventare polvere
e poi ingoiarli come belve troppo sazie e troppo morte.
Volevamo scrivere per giorni interi
o dare pezzi di pane alle anatre
o rincorrere i treni fino a sera
e urlare come uomini che hanno perso i figli
e farlo per rompere il bicchiere del silenzio
o per la rabbia di non riuscire a capire.

Maledetto capire, maledetto volare.
Volare... volevamo volare;
capire è morire.

19/10/10

Discorso del matto Genda agli allievi

di Cristina Taliento

Il matto Genda si mise il cappello rosa di sua madre e, in piedi, sulla scrivania, sembrava un re. I bambini lo guardavano dal basso e si sentirono orgogliosi di essere lì in quel momento.
E il matto Genda, sbloccata la voce, così disse:
"Lasciate che le mosche volino, ragazzi. Lasciate che esse si riproducano e che svolazzino sotto i lampadari. Non preoccupatevi delle mosche, dei loro atterraggi, dei loro voli, poichè esse sanno dove andare, anche se voi credete di no. Lasciate che vostra madre uccida le mosche senza cercare di ostacolarla e se lo fate, lasciate che vi rimproveri dato che è nel suo ruolo rimproverare un figlio che impedisce l'uccisione delle mosche.
Lasciate che vostra madre vi giudichi pazzi, stupidi, viziati. Lasciate che vi enumeri le inutilità delle mosche. Lasciate che la vostra bocca si apra per lo stupore mentre sentirete quelle parole ciniche e fuori luogo. Lasciate che le vostre gambe corrano via, sotto le pioggia, tremando di rabbia e lasciate anche, ragazzi, che vi venga il raffreddore del secolo. Lasciate da parte l'orgoglio e permettete a vostra madre di misurarvi la febbre, senza opporre resistenza poichè il termometro è di vetro e se fate gesti inconsueti, potreste farlo cadere a terra, rompendolo. Lasciate che lei vi enumeri i punti deboli del vostro ragionamento e lasciate che parli senza risponderle, chiederle scusa. Lasciate che se ne vada con il suo rumore lontano di tacchi e lasciate che la vostra testa pensi alle mosche e a tutto quello in cui avete creduto e non vi è stato concesso. Lasciate crescere ogni vostra convinzione, ma soprattutto, lasciate ad ogni cosa di esistere poichè voi non sapete cosa deve essere e cosa no. Non avete la minima idea, nè le prove per contrastare con certezza il volo di una mosca, nè le ragioni di vostra madre, nè le vostre credenze. Voi, dovete credere fermamente che ogni cosa sia liberamente. Toglietevi dalle palle, allievi. Almeno voi, smettetela di voler trattenere il fiume sbarrandolo con le vostre mani."
Gli allievi avevano capito e in silenzio uscirono con gli occhi bassi e pieni di vergogna.

15/10/10

1993

di Cristina Taliento


Pioveva ed io nascevo. Si, quel giorno Dio la buttava giù alla grande e non era perchè "il cielo piangeva visto che aveva perso la sua stella migliore". Tutte quelle frasettine da diario mi hanno sempre dato il voltastomaco, che schifo. Voglio dire, che posso sapere io del cielo, della terra e di tutto il resto? Abbastanza niente, grazie. E poi era una pioggia assassina che stava mandando tutti in collera e poco ci è mancato che qualche parente non facesse un bell'incidente per venire a vedermi in ospedale. Ma non è successo un bel niente, a parte il fatto che erano tutti bagnati come bestie nel fango e sai che scocciatura per le infermiere del reparto pulire le impronte sudicie di tutti quei curiosi. Fatto stà che io all'epoca non mi facevo problemi di questo tipo: mica stavo a pensare alle infermiere o ai parenti e, per dire la verità, manco al fatto che fossi nata. All'epoca, mo ci vuole, non me ne fregava niente. Però che bello, io dico, stare con le gambe e le braccia all'aria con un sorriso ebete sulla faccia e non pensare a niente, solo vedere e manco quello alla fine, perchè una volta ho sentito mia zia che gridava nell'orecchio di mio nonno che i neonati non ci vedono poi così bene. "Che hai detto?" ha detto il nonno quasi gridando. "Che i neonati non ci vedono bene". "Cooosa?". Che fortuna che ho avuto allora a non vedere, nè sentire, nè parlare. Completamente innefficiente, che emozione. Voglio dire, è come quando entri a far parte di un gruppo dove i componenti sono in continua lotta fra loro e si accusano a vicenda, si picchiano a vicenda e questo e quello... e tu, sei nuova, immune da quelle lotte, nessuno ti può dire un accidente di niente perchè sei nuova. Poi passano i giorni, i mesi, e tu inizi a far parte del gruppo senza accorgertene e ne diventi consapevole quando qualcuno un bel giorno punta il dito contro di te e dice: "sei stato tu". Allora inizia il gioco, anzi era già iniziato e non te ne accorgevi, ma da quel momento, puoi starne certo, tu fai proprio parte del sistema, del quartier generale degli imbroglioni e non ci scappi, non ci scappi manco a fingerti matto. Però devo dire che a tornarci indietro sarei nata comunque. Quella pioggia trucida-fessi non me la sarei persa per un bel fico secco.

10/10/10

I vecchi

di Cristina Taliento

Quel pomeriggio d’autunno eravamo tutta la comitiva al completo: un gruppo di idioti che si rubavano le scarpe a vicenda e facevano finta di gettarle nel mare. Ricordo un sacco di sorrisi bianchi e tanta luce che entrava nei nostri capelli ribelli. Non dovevi battere il cinque quando Lisa ti piazzava la mano davanti la faccia perché poi succedeva che mentre alzavi la tua, lei ritirava la sua e faceva come per lisciarsi i capelli e poi si metteva a correre, gridando che stavolta te l’aveva fatta. Allora io, ogni volta che mi gridava “ Ehi batti cinque, Cris”, gli alzavo il dito medio con un’aria da innocente e lei rideva un sacco, ridevano tutti. E le nostre risate, i nostri strilli, i nostri “lasciami, mettimi giù”, brillavano così tanto sulle creste argentate delle onde da sembrare rumori lontani portati dal mare, come le alghe o il petrolio. C’erano poi dei vecchi pescatori che ci guardavano tristi dalla loro barchetta di assi rossastri e quello con con il berretto di lana sembrava fischiare un motivetto che mi ricordava “Let it be”, ma nessuno di noi ci aveva fatto caso, nessuno di noi aveva notato i pescatori e quella melodia tranne io ed era come se all’improvviso le sagome dei miei amici si fossero dissolte tra la sabbia alzata dal vento e dalla luce. Guardavo i pescatori, le loro rughe rassegnate, le loro braccia piene di ematomi e macchie e mi venne da piangere. Sentivo la loro vita sulle mia braccia e mi volevo sedere, ma non ci riuscivo.

I vecchi mi fanno piangere perché quando incontri i loro occhi puoi scorgere la soluzione della vita, come quella di un gioco e via dicendo. I vecchi non fanno lunghi discorsi, ma poi dicono una frase che ti toglie il fiato e capisci che tutte quelle inutili parole con cui cercavi di intrattenerli non valevano nulla. I vecchi si alzano presto la mattina e fanno le loro cose in silenzio senza disturbare nessuno e poi passano un sacco di mesi sotto una veranda e tengono la testa dritta e puoi capire che stanno pensando dal colore dei loro occhi che da grigio diventa verde o azzurro e non è il riflesso del cielo, non sono gli alberi, ma sono i ricordi o i sogni oppure un misto di ricordi e sogni che non hanno passato né futuro. I vecchi soffrono per il ticchettare delle lancette, per l’indifferenza con cui vengono trattati, ma non ci riescono a farne una colpa a nessuno perché trovare il colpevole è cosa superata per loro.

09/10/10

Va bene

di Cristina Taliento
Camminavo per le strade con gli occhi bassi e guardavo, sentivo, tossivo, non dicevo.
I palazzi sventolavano bandiere che il vento attorcigliava e nessuno le sbrogliava, perchè nessuno le vedeva e il corvo sul cornicione tornava indietro sui suoi passi, ma non per gioco, non per noia. "Stai lontana dai corvi". Va bene.
Un ragazzo e una ragazza guardano il tramonto con la mano sporca di gelato sciolto e mica parlano, mica ridono. Un bambino gioca a palla e un fratello non ce l'ha, ma ha la palla e dice che gli basta. Poi arriva un vecchio scorbutico e gliela buca con un ago.
"Non si fa rumore in strada!". Va bene.
Una donna di cinquant'anni vende la fede d'oro e si fa stirare la faccia con punture e ferri da stiro.
Al cane piacevano le sue rughe, ma le riviste dicevano che non era cosa conveniente invecchiare e loro dicevano così e allora se dicevano così...
"Tocca la mia pelle e senti com' è liscia". Va bene.
Uno scrittore inventa frasi per stupire e poi le incarta in foglietti colorati e sembrano tante caramelle con molto zucchero saporito. Poi quello scrittore gira un film e poi fa l'attore e la sua penna si chiede se egli voglia ancora altra popolarità.
"L'amore è come la morte: non sai mai quando ti colpirà." Va bene.
Una famiglia composta di padre, madre, tre figli, nonno e zio, lascia raffreddare il brodo mentre il tg lancia notizie come fossero semini che germogliano nella pioggia e tutti parlano del delitto e tutti vogliono indagare perchè mai nessuno aveva proposto loro un gioco così interessante e così vero.
"Secondo me lo zio sta coprendo qualcuno". Va bene.

05/10/10

I Disillusi et Signorie loro

di Cristina Taliento

Avvertenza: E' bene che il lettore venga informato che le seguenti riflessioni NON sono state scritte in uno stato di ubriachezza. L'autrice ostenta sobrietà. Il seguente lavoro, dunque, è frutto di una scrupolosa ricerca stilistica e deve essere letto con attenzione, interesse e massima serietà. Grazie.




Avvertenza 2: Diffidate dalle avvertenze scritte da soggetti poco affidabili




[…]Al lato del Bar della Grangente fu la Baracca dei Disillusi, un’ accozzaglia di polvere et cemento intra la qual si riunivan coloro che o per il troppo pensar o per la troppa noia, eran diventati disillusi di fama et libera scelta. Si facean chiamar Disillusi poiché l’illusione, a dire il vero, non solo sapean di che trattasse, ma ci avevan vorticato dentro fin quando non si eran trovati un muro ritto negli occhi et un silenzio scassato da un lontano abbaiare. Grande effetto mi fecer quando li conobbi et mai più, io credo, vederli potrò, sebbene lo mondo sì grandi pianure possiede. Eppur voi mi direte con mano sbattente che facil’è incontrare un disilluso di questi tempi ed io con maggior forza la mano mia sbatterò, comprovando il fatto che, di disillusi veri e puri, pochi esemplari vi sono et, continuando la lettura, da soli vi accorgerete di quant’eran bugiardi et falsi quelli di vostra conoscenza al confronto di quelli che studiai io con la più profonda ammirazione. C’eran dunque tre Disillusi di età giusta che camminavan sulla strada et loro andatura non era veloce particolarmente, ma neppur lenta o irriverente. Loro andavan come se la loro vita sospesa fosse tra l’asfalto nero et il marciapiede, sopra lo qual tuttavia quelli non salivan siccome lor pensier’ era tale da scansar gli artefici del comune et della Signoria loro. Saper dovete che un disilluso mai amicizia stringe, ma se qualcuno gli dona un pomodoro, lui ringrazia come se ricevuto avesse l’intero cesto di arance et melanzane. Adesso io non so se vantaggioso sia, astenersi dal votar un certo partito, ma per certo posso dirvi che un disilluso la sua idea, nel vero, se la tiene in gola sicuro che un giorno fallirà anche quella. Ancora, un disilluso riconoscerlo potete se mai lo vedete mentre parla con un dottore dotto e un po’ arcignotto. Nel suo viso si forma un trio di rughe, tra le due guancie e la fronte, che la domanda in voi farà nascer spontanea se il disilluso è scemo o è la verità a non esser sovrana. Un disilluso mal di pancia sente quando gli si parla di sogni et scorciatoie. Egli fa il lavoro duro non tanto per l’avvenire, ma poiché nel lavoro duro lui trova la certezza et il risultato matematico del proprio sudore giacchè, egli pensa, che sol nella fatica sta la risposta. […]