09/01/10

2° Capitolo- Nella tela del Ragno

di Cristina Taliento


a Paola Gatto.

Gocce d'acqua scivolavano sulla superficie metallica e brillavano nell'oscurità. Il pavimento della stanza era bianco; gelido marmo bianco e pareti grigie circondavano un letto. Non c'era nient'altro. Solo un piccolo letto simile a quelli che si trovano negli ospedali. In lontananza si udiva "Guns" dei Greenday. Le note della canzone rimbalzavano sulla porta chiusa e ritornavano confuse da dove erano venute, come smarrite e ignare della loro destinazione.
Sotto il lenzuolo bianco cadeva abbandonato un braccio pallido e sopra il cuscino si intravedevano ciocche sparse di capelli. Il volto era coperto.
Nella musica triste e silenziosa si udì un rumore di passi rassegnati che si fecero sempre più incerti fino a bloccarsi del tutto davanti la stanza semivuota. Kyle esitò un momento, accarezzò cn la punta dell'indice il freddo della porta, poi infilò la mano in tasca e, dopo aver scelto la chiave giusta, aprì lentamente con la testa piena di pensieri. Attese qualche secondo prima di alzare lo sguardo e spingerlo sotto il lenzuolo; il tempo di raccogliere tutte quelle briciole di coraggio disseminate durante la sua vita. Si chiedeva se sarebbero bastate per sopportare... Una ciocca di capelli marrone spezzava in due metà il suo volto squadrato fino al labbro inferiore, che aveva preso a vibrare incontrollato. Poi di scatto i suoi occhi azzurri si spalancarono come attraversati da un lampo e rivelarono una sofferenza profonda, insopportabile. Due passi soltanto e sarebbe arrivato vicino al letto, ma ogni forza di resistenza del suo corpo lo immobilizzava e lo supplicava di non avvicinarsi. Rimase gelido a fissare quel braccio che pendeva da sotto il lenzuolo; la mano bellissima senza nessuna forza vitale si specchiava nel candore del pavimento e lo smalto celeste sulle unghie entrò nei ricordi di Kyle come un dardo infuocato. Una lacrima scese silenziosa lungo la sua mascella . Solo i Greenday in sottofondo in quel luogo ai limiti del tempo e dello spazio, pieno di dubbi e frasi non dette; pieno di rimorsi e rancori che si scioglievano come candele di cera all'inevitabile arrivo della fiamma.
La canzone finì e nell'attimo muto prima dell'inizio della successiva egli credette di sentire la sua voce da sotto il lenzuolo. Debole e delicata come un tempo; si avvicinò mentre il suo cuore dissanguato cercava di non cedere all'insopportabile dolore e lentamente protese il braccio verso l'estremità del lenzuolo, ma le dita i chiusero in un pugno e ritornarono sconfitte lungo i fianchi. Si sedette sul marmo e affondò il viso nella disperazione delle sue mani. Iniziò a piangere sommessamente mentre gli sopraggiungevano alla memoria spine appuntite di ricorsi e di rimpianti. Avrebbe dovuto dirle che la sua decisione l'aveva presa soltanto per proteggerla, lui non aveva previsto quello scempio; avrebbe dovuto dirle, trovare il coraggio, di guardarla negli occhi verde bosco e dirle quanto l'amava. Tra le lacrime uscì un rantolo di rabbia mista alla sofferenza. Doveva vederla per l'ultima volta. Si alzò animato da quella convinzione e questa volta la sua mano non tornò indietro; si mosse risoluta e sollevò il lenzuolo. Quando vide il suo volto pallido si sentì come se all'improvviso fosse stato immerso negli abissi più profondi.
Lei era distesa sul letto, il volto leggermente piegato di lato, era avvolto in una luce angelica, le sue labbra ricordavano il rosso dei papaveri di sera, quando i petali perdono la vitalità del loro colore sanguigno e si colorano di tinte più scure, ma comunque non smettono di essere i principi della campagna. Le sue palpebre fragili come ali di farfalle bianche.
Sembrava che stesse dormendo e anche lui, per un momento, perso nell'illusione di quella confortante ipotesi, lo pensò. Ma quando prese delicatamente la sua mano e sentì quanto era gelida e lontana, chiuse gli occhi e le lacrime si divincolarono tra le lunghe ciglia per poi cadere come piccoli cristalli sul pavimento. Doveva essere morta. Si chiese quanto aveva sofferto, se quei bastardi l'avevano toccata, se aveva implorato, se aveva avuto paura... tirò un pugno alla parete.
Poi capì che doveva andare per non destare sospetti. Gli sembrò stupido preoccuparsi ancora del Capo, adesso che lei era morta niente avrebbe avuto più un significato. Serrò le labbra bagnate dalle lacrime salate e, richiuso il lenzuolo, si diresse verso la porta pensando a cosa avrebbe fatto nei giorni, nei lenti mesi e negli anni che sarebbero venuti dopo. Si girò e fissò per l'ultimo straziante istante quel celeste dello smalto di lei. Con il polso si scostò le ciocche di capelli dalla fronte, poi abbassò lo sguardo e, cercando di trattenere le lacrime, rigirò la chiave nella serratura. Quando la porta fu chiusa rimase fermo a guardarla per un attimo, poi il suo sguardo sconvolto venne trascinato dai piedi che volevano fuggire per sempre. Iniziò a correre per il lungo corridoio non badando al fiato, che stava per finire, o al cuore, incapace di sostenere altro sforzo.

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