06/08/10

La Renault 4 blu oltremare

di Cristina Taliento

A mio nonno
La Renault 4 del nonno non era per niente blu e basta. Avevo appena imparato dalle piccole scritte sui pastelli Giotto che quella tonalità di blu si chiamava Oltremare ed era da scemi pisciasotto confonderla con quella Cobalto o addirittura con il Turchese. In quegli anni mi bastava individuare il colore preciso delle cose e se quelle cose avevano un senso o no, non me ne fregava molto.
Così, ogni volta che passavo davanti alla Renault del nonno mi dicevo a bassa voce: "Oltremare". E poi proseguivo a testa bassa con la testa impegnata in chissà quali diavolerie.
Quel nome, però- oltremare- mi sembrava più grosso di me e di tutto il mondo. Mi faceva pensare a quell'acqua che vedi un poco prima della linea dell'orizzonte. Qualcosa che non afferrerai mai, nemmeno ad avere un braccio di gomma allungabile come Rubber. Accidenti, aveva l'oltremare nelle vene, quell' ubriacona di una Renault! Quando il nonno mi faceva salire sul sedile davanti rimanevo immobile a sentire l'odore che c'era dentro. Mi dicevo che non l'avrei mai dimenticato, poteva anche cascare il mondo. Era un misto di concime e sali e foglie e terra. Anche il nonno aveva quell'odore. Si, era lo stesso. Era l'odore del nonno. Forse è per questo che quando è morto facevo certe scene di pianto e rotolamenti sul tappeto di casa per convincere i miei a non demolire la vecchia Renault. Loro dicevano che non valeva un accidente benedetto e che erano solo spese inutili e che ormai serviva solo alla polvere. Io tra le lacrime ed i singhiozzi dicevo "non è vero" e poi una volta mio zio mi ha preso in braccio e di piangere non ne potevo più e allora a mezza voce ho detto "ma odora del nonno. Vi prego, lasciatela". Accade che nessuno sta mai a sentire una bambinetta di sette anni. Ed un giorno tornai da scuola e sotto l'albero non c'era niente di abbastanza oltremare. Se l'erano portata via. Mi ricordo che mi sedetti sulla terra battuta, proprio dove stava parcheggiata la vecchia Renault e guardai in alto, tra la chioma del pero selvatico. Mi aspettavo di piangere ancora o di sbattere i pugni per terra come facevano in televisione. Invece restai seduta a gambe incrociate al posto della vecchia Renault e non mi volevo alzare più e se le gambe, dopo un po', mi formicolavano io le stendevo sempre da seduta e, poi, le incrociavo di nuovo. Restai tutto il pomeriggio così e con la coda dell'occhio vedevo mia madre che si affacciava dalla finestra e mi fissava. E vedevo anche che mio padre prendeva un braccio a mia madre e la portava dentro come per lasciarmi sola. Rientrai soltanto quando il sole tramontò e nel cielo esplose quel blu oltremare che riuscì a consolarmi perchè era bello ed infinito allo stesso tempo.

3 commenti:

Il rospo dalla bocca larga ha detto...

Tenerezza assoluta. Ricordi nitidi, vividi ed indelebili. Bravissima anche questa volta.

Il Ballo dei Flamenchi ha detto...

Grazie :) si, ricordi di una bambina che non esiste (più).

il monticiano ha detto...

Talento nato sei cara liceale.
Un racconto così va pubblicato te lo dice un nonno che aveva una 1100 celestina molti anni fa.