29/08/10

Diciassette per la vita- ovvero, la patetica storia di Novembro

di Cristina Taliento




(The Rose, Salvador Dali 1958)

Vorrei fermare il tempo. Proprio adesso. Vorrei prolungare questo mio respiro e farmelo bastare per tutta la vita. Le mani, le labbra, la pelle vorrei che non cambiassero. Mute. Immobili. Perfette.

Quello era il pomeriggio di sole più caldo dell’estate 1918, i quarantaquattro gradi più famosi della storia di Freno. La signora Caviglie Ullalà –come la chiamava Cesco- attraversava la strada ansimando con le buste della spesa e con le sue caviglie più grosse d’Italia. Sotto gli alberi si erano radunati gruppi di ragazzini in canottiera che si giocavano ai dadi Leopardi e Pascoli.
“ Riconosci che Pascoli è un poco di buono” diceva uno.
“No” rispondeva un altro ragazzino con gli occhiali.
“Riconoscilo”
“No”
“Riconoscilo”
“No. No.”
Il ragazzino con gli occhiali iniziò a correre e due altri lo inseguirono, ma vedendo che era lontano lo lasciarono stare e iniziarono a ridere schernendolo.
Giuseppina la Svampita fumava una sigaretta sul suo balcone di gerani.
Io me ne stavo seduto sul secondo gradino di casa e pensavo che non volevo invecchiare. Lo pensavo intensamente come se avessi dovuto succhiare una caramella col cervello.

Vorrei rubare la bellezza del mio volto e nasconderla affinché nessuno possa portarmela via. Vorrei avere per sempre quest’attimo. Vorrei vivere e morire con l’aspetto di un diciasettenne.

Ricordo che la figlia del sindaco, Maria Sole , saltava la corda. Quel suono della corda che batteva sull’asfalto non potrò dimenticarlo perché fu allora che accadde davvero e lo sentii fin dall’inizio che il mio desiderio era stato esaudito.

Mi ritrovai dieci anni dopo senza essere cambiato e nei dieci anni successivi a quei dieci, la mia pelle era quella di un diciasettenne.

Me ne andai da Freno, dal secondo gradino di casa, dai quarantadue gradi all'ombra. Via, dovevo scappare dal tempo in un luogo che non avesse tempo.


La mia valigia, queste scarpe rotte, le dite strette intorno al polso. Non posso invecchiare. Morirò da diciassettenne con il sorriso angelico. E se hai desiderato e ciò che volevi ti è stato concesso, vivi, danza, corri.


Trovai un lavoro alle corse dei cavalli. Dieci lire a settimana, ma di specchi ne avevo comprati tanti. E mentre mi specchiavo vidi nel riflesso una ragazza di bellezza maggiore alla mia.

Non sapevo il suo nome, ma la sposai con la valigia in mano. Fu il più grande amore della mia vita. Eppure lei invecchiava. La sua pelle divenne rugosa e si chiedeva perché la mia, invece, rimaneva liscia e diafana.

"Sembri un diciasettenne" mi disse un giorno.

"Per tutta la vita".


E lei sedeva sulla poltrona accanto alla finestra aperta ed il vento muoveva i suoi capelli bianchi ed i merletti del vestito. La invidiai come quell'estate in cui avevo invidiato me stesso.


Mi accorsi di colpo che volevo invecchiare. Volevo vedermi vecchio e poi morire. E quella perfezione dei diciassette anni mi sembrava una trappola sanguinosa. Provai paura.

Sette anni dopo, la mia sposa morì. Ne restarono i suoi cappelli e gli orecchini di perla. Piansi.

Tornai a Freno che erano tutti morti: mia madre, Cesco, il sindaco, i ragazzini, Pascoli, Leopardi. Non mi guardavo più allo specchio.


Narciso, piangi la tua fine

chè le tue lacrime son di fiele.

La natura difficile è a contrastar

e lo capirai se, a tentativo fallito,

mesto ci riproverai.


Ed il patetico Novembro, come io mi chiamo, arrivò nella sua perfezione finale. Sciocco, meschino, imbroglione.


E giacciono i suoi diciassette anni

sul fardello di una vita intera.


1 commento:

amanda ha detto...

parere di lettrice ma per nulla autorevole:

mi permetti di segnalarti due piccole ingenuità in un racconto molto bello? nel 1918 le caviglie delle donne a malapena si percepivano sotto la gonna, non sarebbero mai state oggetto di soprannome

i bimbi che sapevano di Pascoli e Leopardi erano di famiglia ricca e non sarebbero stati in giro in canottiera (per altro con 44 gradi!)

ma sono una precisina RB