27/02/10

Memorie di un cane sentimentale - VI cap.

di Cristina Taliento


(Schizzo a penna, Dinnerc 11/2/08)
1952.Maryland, Baltimore- Lisa non era come tutte le altre femmine del quartiere e questo fu una delle tante constatazioni che mi vennero in testa, tutte in una volta, quando la vidi in Federal Hill Park. Lei era diversa, i suoi occhi erano diversi... liberi, come volevo che fossero i miei. Fin dai tempi del Vicolo mi ero ritrovato a lottare contro i pregiudizi degli altri cani di razza, ma ciò che mi tormentava di più era il mio stesso sguardo critico e scrutatore. Sapevo di essere un gran cane coraggioso, onesto, coerente eccetera eccetera, ma mi sentivo comunque un maledetto cane bastardo, un figlio di nessuno, uno scherzo della natura. Eppure anche se una parte di me pensava questo, c'era un'altra parte, quella più lucida, che mi diceva di camminare sempre a testa alta perché quello che contava veramente non stava tanto nell' essere catalogati in un inutile libro di zoologia animale con una razza pura di appartenenza, ma nel continuare a vivere il mondo come a cavallo di una stella. E Lisa, sola contro tutti, aveva scelto di vivere così. Si faceva spazio tra le schiere di rottweiler famelici e, che ci crediate o no, quei cagnacci da galera avevano paura di lei e della sua diversità. Ogni cane al mondo ha paura del diverso, che il diverso sia un altro cane con altre idee o una nuova scatola di croccantini. Questa, amici, è, nel bene e nel male, una santa verità. Discutibile, ma reale. E Lisa, anche se conosceva questo strano andare delle cose del mondo, si opponeva con tutte le sue forze a rinnegare la sua diversità perché, come diceva sempre, "gli altri, se li lasci fare, ti mangiano tutto quello che hai dentro e di te non rimane altro che una carcassa da dare in pasto gli avvoltoi". Ripeteva sempre questo concetto con gli avvoltoi e gli altri che ti mangiano dentro.


Si dava continuamente arie da dura e ciò suscitava i commenti più volgari degli altri cani, abituati a vedere le cagnette come piccoli batuffoli di pelo pulito con cui accoppiarsi ogni volta che faceva loro comodo. Lisa non tollerò mai che qualcuno potesse disporre di lei e questo, principalmente, fu la causa dei suoi problemi.

Inizia a frequentarla poco tempo dopo e sembrava che anche a lei piacesse la mia compagnia. Con lei a fianco non mi sentivo poi così tanto il mondo contro, stava diventando la mia migliore amica. Lei aveva la testa più alzata della mia e gli occhi-mi pare di averlo già detto-gli occhi, erano in continua sfida con il mondo e questo mi portava ad ammirarla, prima di volerle bene. Ma lei non era come me... anzi, io non riuscivo ad essere come lei e capii che non ero alla sua altezza nei giorni che seguirono.

La sera andavamo sul Baltimore River a guardare le piccole onde arrivare e mi capitava di raccattare qualche bottiglia di birra non ancora finita. Lisa mi guardava mentre addentavo il collo della bottiglia e mi buttavo in gola l'intero contenuto tutto in una volta. Lei non beveva, diceva che "era libera da ogni genere di dipendenza, politica e fisica." Poi accadde tutto velocemente, come succedeva sempre quando c'era lei... velocemente. Non appena lanciai la bottiglia del fiume si avvicinò e mi baciò. Per me la faccenda fu talmente inaspettata, che le morsi il muso. Mi arrabbiai come un ubriaco a cui è stata tolta la bottiglia. Le dissi che non si sarebbe dovuta permettere e che non volevo vederla mai più. La chiamai "stupida cagna malata dalle tendenze ambigue".

La lasciai sulla riva del fiume e mi misi a correre come un dannato verso i vicoli della periferia. Ero infuriato con lei e con me stesso perché avevo capito che avevo paura di compromettermi. Un vigliacco, per dirla tutta.

Il giorno successivo stavo camminando per le vie del centro quando vidi un cerchio di cani con i denti puntati verso il centro. Mi avvicinai per vedere chi fosse la vittima e tra le gambe dei rottweil distinsi il pelo fulvo di Lisa. Lei mi vide, ma non riuscii a fare niente. Mi comportai come se non la conoscessi. Sotto i miei occhi indifferenti i cani iniziarono a picchiarla mentre gridavano "adesso ti comporterai come una femmina" e altre frasi di questo genere. Ero immobilizzato nella grettezza del mio animo e mai, negli anni a venire, mi schifai tanto di me stesso come quella volta.

Me ne andai.

Era come se uno di quei grossi treni di ferro che venivano dal Sud fosse passato sul mio cuore. E un po' il mio dolore mi compiaceva perché alleviava i sensi di colpa che mi dilaniavano. Mi ritrovai da solo nel Vicolo e lasciai che il buio mi inghiotisse per sempre. E nel buio piangevo e, di tanto in tanto, abbaiavo un forte e disperato "Lisa".

Nessun commento: