Lo schermo del televisore è invaso da ignote celebrità che cantano nel nome del lavoro. Qualcuno si prenota il primo articolo della Costituzione per urlarlo e applauderlo, acutizzando ancor di più la voce sulle parole "democratica" e "lavoro". Io sento, non ascolto. In realtà sto ascoltando il rumore della mia fantasia che graffia sulla realtà. Poi sorrido, mi giro di scatto e mi rivolgo a mio fratello: "Ma te lo immagini l'uomo ragno, seduto con le braccia incrociate sul petto e lo sguardo fisso sul pavimento, con il costume e la maschera ancora addosso dalla sera prima, mentre aspetta il suo turno all'ufficio di collacamento?"
Mio fratello sgrana gli occhi e fa: "Che cos'è l'ufficio di collocamento?" Poi, nell'istante in cui apro la bocca per rispodergli, mi stoppa e dubbioso aggiunge: "E che cosa deve fare l'uomo ragno all'ufficio di collocamento?"
Aspettate un attimo, non crediate che Peter Parker si sia alzato una mattina e abbia pensato di lavorare, nè che, mentre cambiava le cartucce di ragnatele, si sia deciso di abbandonare la sua caccia al crimine. Non lo avrebbe potuto fare perchè: a) lui un lavoro ce l'aveva già ; b) non avrebbe mai pensato di abbandonarlo.
Le ragioni, che lo avevano fatto saltare da un palazzo all'altro con una fretta repentina tale da impedirgli anche di cambiare gli abiti di supereroe ricercato, erano più semplici di quanto si possa credere. Il nostro amico si era stancato di vendere le proprie foto al signor Jameson e siccome i superpoteri non alleviano, se non peggiorano, i morsi della fame si era risoluto di cercare lavoro, qualcosa di non troppo impegnativo, qualcosa che gli avrebbe permesso di saltare sui binari paralleli di quell'altra vita.
Ed eccolo lì, l'uomo ragno, con il broncio visibile dalla maschera, attento a non incrociare lo sguardo di nessuno, le braccia intrecciate, dicevo, e quattro fogli stroppicciati di curriculum sulle ginocchia. Quando una voce lo chiama per nome gira tempestivamente la testa, troppi nemici l'avevano preso alle spalle, ma questa volta si tratta di una donna dalla postura rassicurante, che non nasconderebbe mai un coltello dietro la schiena, ma negli occhi le sfolgora una luce... il riflesso di una lama affilata da più tempo: l'astuzia.
L'uomo ragno, un po' invecchiato e saggio, le porge la mano blu e, per imbarazzo non per arroganza, non pronuncia il noto nome. La donna prende a far domande, legge il curriculum avidamente, gira le pagine con dita affilate appesantite dall'oro di tre anelli , modella la sua bocca ad una smorfia concepita come un sorriso, guarda gli occhi dell'uomo ragno circondati dal rosso della maschera. Sovrappone i fogli sparsi, li impila in verticale e li ripone in un cassetto.
"Le faremo sapere, signor... si, le faremo sapere." Mostra i denti bianchi macchiati dal rossetto rosso sangue, non si alza dalla sua sedia.
L'uomo ragno borbotta qualcosa, esce dalla stanza a testa bassa e rimpiange che il suo costume non abbia tasche perchè ora non sa dove mettere le mani e quando passa dalla sala d'attesa tutti lo guardano in quella sua versione imbarazzata, con le braccia ciondoloni. Una volta fuori, libera dal suo polso una corda di ragnatele e la sua figura vola nera davanti all'arancia infuocata del tramonto.
Nessun commento:
Posta un commento