13/07/10

I nipoti di Bob


di Cristina Taliento

Se Woody Guthry cantava degli scioperi dei ferrovieri e dei diritti della classe operaia americana, Bob Dylan prende a martellate quel gigantesco palazzo di cristallo che tutti chiamano American Dream. Lo attacca da ogni parte, in ogni breve frase. Lui mischia le carte e poi grida una specie di: "Pescate, qui c'è il mondo".
Le sue canzoni sono fiumi d'acqua gelata che tolgono il respiro, pezzi di vita tradita e pezzi di una gioia che si perde nella corrente della vita. Lui spostava il limite continuamente e credo che il suo non fosse solo puro talento musicale. In lui c'era la sensibilità dei poeti, la fantasia degli inventori, il coraggio del soldato che scende in campo con la chitarra carica su una spalla. Il ragazzo del Minnesota ha liberato la mente degli artisti, si è messo al centro di un palco occupato ai lati da chansonnier francesi, suonatori del Be Bop, gente che cantava solo l'amore e nient'altro. Si, i tempi stavano cambiando, ma lui se n'è accorto per primo. Ha preso il cambiamento, l'ha sbattuto sulla faccia di giudici, critici, giornalisti e nel folk ci ha messo tutti gli interessati e i non interessati. Molti hanno voluto vedere nella sua musica un atteggiamento strafottente nei confronti della realtà, come un giudizio critico e, allo stesso tempo, disinteressato di uno che fuma l'erba ogni volta che può. Ma che altro poteva fare uno come lui? Dylan era un artista, lui non dava suggerimenti su come cambiare le cose. Per quello c'erano gli studiosi, gli scienziati, lo Stato. Chi ha mai sentito di un artista che fa lo stratega?
Quando la sua musica è arrivata in Italia c'è stata la rivoluzione degli animi più sensibili. Mentre Mina riempiva le prime Tv con la sua voce e Modugno cantava Nel Blu dipinto di Blu, nuovi artisti fanno uscire la loro testa dal sipario. Si tratta di musicisti come Guccini, de Gregori, Dalla. Nei loro testi si legge la stessa amara poesia di Dylan, l'accenno all'audace protesta che il cantautore statunitense usava gridare nei concerti e nelle piazze.
In un' intervista di Vincenzo Mollica, Francesco de Gregori dice: "ho preso tanto da Dylan in tutti i sensi". Le somiglianze nei testi le ritrovo molto spesso. Come Bob, in The Ballad of a Thin Man, parla di un personaggio reale senza mai svelarne il nome così de Gregori fa lo stesso in Dr. Doberman.
Dalla dichiarerà: "Dylan? Qualcosa simile ad uno choc, una rivelazione. Tutto mi sembrava nuovo, coraggioso, addirittura di sinistra."
La sua influenza, insieme a quella di Joan Baez, entrò anche in Fabrizio de Andrè negli anni Sessanta, quando lui si era già fatto strada con La guerra di Piero ed altri brani, ma lo stile viene assimilato anche da grandi musicisti americani come Leonard Cohen, Patti Smith e Neil Young.
Dylan è stato l'inizio e lo sviluppo di una musica nuova, scomoda, poco commerciale perchè difficile da capire. Il grande Bob...

2 commenti:

Stefania248 ha detto...

Forse proprio perché la sua musica è poco commerciale, e molto particolare, non ho mai approfondito il tema BD.
Bella recensione, complimenti!
:)

Il Ballo dei Flamenchi ha detto...

grazie! Grazie per aver deciso di seguire il blog! :) :) :)