10/06/11

La metamorfosi idiota (II)

di Cristina Taliento






(Les amants, René Magritte, 1928, oil on canvas, New York, Richard S. Zeisler Collection)



Le cornacchie arrivarono dopo dieci anni di assenza e infestarono il mio giardino con le loro grida di ghiaccio appuntito. Mi beccarono le ginocchia bianche sporcando i calzini di sangue. Io mi coprivo gli occhi con le braccia però erano le braccia di una bambina di otto anni. Mio padre mi disse: "Quello che ti è ostile, lo puoi rendere tuo amico". Io annuii con gli occhi ancora chiusi.


Il giorno dopo rimasi a casa seduta ai piedi del letto e pensavo alle cornacchie e mi sfioravo le crosticine delle ferite con i polpastrelli. Seduta a tavola, mi dimenticai di mangiare e mia madre disse: "Si raffredda". Ed io presi il cucchiaio con la mano tremante. Mi guardavo allo specchio con le spalle immobili, la bocca ferma, quasi non respiravo e stavo ferma per ore sussultando nel notare che le mie pupille erano diventate due piccoli corvi che nuotavano nel acqua sporca di una palude.
"Di che colore sono i miei occhi?" chiesi a mia sorella, bloccandole il passaggio.
"Gialli" disse ed io deglutii spaventata.
"Come l'acqua sporca del fiume?"
"Quella è marrone, fammi passare".


Ad ogni modo iniziai a passare sempre più tempo davanti allo specchio e mia nonna disse: "Lo specchio è il demonio" e premeva la voce sul verbo è. Il pomeriggio presi la cartellina ed andai al catechismo strisciando i piedi sul marciapiede ed i miei capelli volavano spettinati nel vento. Le cornacchie si libravano tra le nuvole nere.


I giorni passarono e le cornacchie non lasciarono i loro posti sui cornicioni delle case.


"Bestie! Uccellacci!" gridava il sagrestano gesticolando con il giornale.


"Badi che non entrino in chiesa" disse un vecchio in canottiera dall'altra parte della strada.


Un giorno una cornacchia si posò sulla mia spalla e in quell'attimo caddi a terra e iniziai a piagnucolare. Quella stava ferma e mi guardava come se volesse qualcosa. Che vuoi? Vattene, vattene via e non tornare. Ma la cornacchia non se ne andava e se mi muovevo, lei si avvicinava.


Poco dopo atterrarono altre cornacchie e mi incriminarono con occhi che sembravano chiodi ed io allora capii che quelli erano i Dubbi. Una di loro apriva il becco e gracchiava. Io mi tappavo le orecchie.


"Quello che ti è ostile lo puoi rendere tuo amico" sentivo la voce di mio padre.


"Non è vero!" mormoravo nel vento.


"CRAAAAC, CRAAAAC!"


Iniziai a leggere sugli alberi ed i corvi mi volavano intorno. Ogni tanto prendevo una pietra e ne colpivo uno fino ad ucciderlo, ma il più delle volte mancavo il bersaglio e stavo per qualche minuto a fissare il punto in cui era caduta la pietra. Il primo giorno i corvi rimasero a guardarmi dal vetro della finestra e in sogno mi vedevo invecchiata di cento anni e stavo seduta su una poltrona ad accarezzare la testa piumata di un uccello nero grande quanto un pastore tedesco.


Una notte d'estate, aprii la finestra, ma la cornacchia non entrò. Andai in cucina coi piedi scalzi e presi una mela rossa. Come quella di Biancaneve. Lo chiamai facendo schioccare la lingua sul palato.


"Specchio, specchio delle mie brame..." canticchiai allungando la mela verso il corvo.


2 commenti:

Adriano Maini ha detto...

Quasi una poesia, gotica, di cui i singoli versi presi alla lettera, ancor più che i reconditi significati, afferrano il lettore.

Il Ballo dei Flamenchi ha detto...

Questi scritti sono commentati solo da lei, signore. Ma giuro che mi basta!