divagazioni di Cristina Taliento
"Hello everybody". Il radiofonico dj saluta sempre così all'inizio del suo programma.
"Hello" bisbiglio automaticamente anch'io come quei sette milioni di ascoltatori in onda.
Il Radiofonico Dj stasera chissà che ha nella voce, mi sembra quasi malinconia. Sono tre volte che chiede "e allora come state" a noi very normal people che si sa come stiamo: fa caldo, ci lamentiamo. Per giunta, non possiamo rispondere. Alziamo le spalle, chi mentre studia, chi mentre lava i piatti. E tu che hai, signor Dj, cosa c'è che non va stasera?
Mette La Gatta di Gino Paoli. Mi sembra ieri che imparavo a suonare la chitarra seduta in giardino con le infradito e questa canzone in uno spartito.
C'era una volta una gatta che aveva una macchia nera sul muso e una vecchia soffitta vicino al mare con una finestra a un passo dal cielo blu.. tu tu tutu.
C'era una volta io, un giardino, la Gatta, estati infinite in cui perdersi e ritrovarsi, la menta da bere in silenzio ma con il ghiaccio, i bagni a mare in solitaria, nuotando un po' di qua e un po' di là, tra un sentimento e l'altro, una noia e un sogno. Eravamo noi quelli nella fotografia.
È che si, lo so, lo so che non ho ancora l'età per potermene lamentare, ma era solo ieri che avevo quindici anni e suonavo c'era una volta una gatta che aveva una macchia nera sul muso e una vecchia soffitta... Gino Paoli, la conosci vero?
Ed era ieri che le mie dita a mo' di Sol settima su una chitarra.
Una chitarra che ora chissà dove sarà finita. Mangiata dalla polvere di questi sette anni in cui siamo cambiati tutti, tutti nessuno escluso. Era bello. Era bello starmene lì in giardino a beccare l'accordo sulla finestra vicino al mare a un passo dal cielo blu.
"Soffitta vicino al mare" mi correggi.
Non ha importanza.
È che noi, noi inteso come persone, siamo tutti un po' smemorati, ci dimentichiamo chi eravamo, cosa provavamo soprattutto. Siamo degli svampiti con la testa fra le nuvole. Dovremmo avere più cura dei nostri sentimenti perduti nel tempo, sbiaditi dall'assuefazione. Ci preoccupiamo troppo di come cambia il nostro corpo, lottiamo per proteggerci dalle rughe, dal tessuto adiposo, dallo stress ossidativo. Ed è buffo perché arriviamo a quarant'anni che proviamo la metà di quello che provavamo quando eravamo giovani, ma nessuno muove un dito, nessuno fa qualcosa per palestrarsi i sensi e il cuore. Ovviamente, con cuore intendo quel concetto astratto con cui si designa l'anima fin dall'Ottocento.
"È tutto sbagliato, non trovi?" chiedo.
Ma tu mi dici di "non pensarci e stare calma" che il Tempo alla fine non deve essere qualcosa per cui mettere il broncio.
Non sto mettendo il broncio, ti dico.
Ma si- mi dici- hai anche gli occhiali sul naso come la mia professoressa.
Aspetta. Mi giro, ti guardo da sopra gli occhiali. Hai ragione.
Ed è lì, esattamente lì che ridiamo e invecchiamo e, chi se ne frega, accettiamo di essere umani e mortali, distratti e imprecisi in queste nostre divagazioni, in questi nostri pensieri che sono fragili poiché intuitivi e indimostrabili, assolutamente ascientifici e buffi, invero abbastanza patetici, pensieri che muoiono in una risata, in una tazza di thè.
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