(Ragazza con cane bianco, Lucian Freud, olio su tela, 1951-52)
Il vecchio Genda erano anni che non si arrabbiava. Si mormorava in giro che avesse un "male" al polmone. Un male talmente maligno da provocargli una disfonia organica da deficit espiratorio. Ma io lo conoscevo, sapevo che era tutta una copertura.
"Ehi signor
Codardo!" lo chiamai ridendo con le mani in tasca. Eravamo vicini di
scogliera. Lui aveva una casa di legno sulla roccia, una casa ancorata alla
pietra come un nido di rondine, invece io passavo il mio tempo sotto, sulla
spiaggia. Non lo andavo a trovare quasi mai perchè ero troppo concentrata sul
mio freddo, organizzato, tranquillo lavoro. Avevo un cane, un pastore tedesco a
cui davo da mangiare mentre pensavo ai cuori degli altri. Era una vita
silenziosa, solitaria e impegnativa. La sera però lavoravo la maglia oppure
suonavo il flauto traverso ai pesci che muovevano l'acqua illuminata dal fuoco.
Lo chiamai dal
basso. Quel giorno pioveva.
"Cos'è sta
storia che sei muto?".
Lui si affacciò
alla finestra, alzò le spalle. Non disse niente.
Aspettai.
Alla fine, sbuffò e
disse:
"Beh hai perso
l'educazione? Che diavolo, per quei quattro esami che hai fatto ti credi un
dottore?".
Continuai a ridere,
non sapendo che fare di diverso oltre che essere felice, per lui, i suoi
polmoni, per me e per tutti quanti.
Non aveva niente di
analcolico da offrirmi e allora bevemmo un bicchiere di sciroppo per la tosse,
io dissi che non chiedevo niente di meglio. Ma lui allungò il suo con tre dita
di rum.
"Dicono che
stai male"
"Mah, sai, io
a certe cose non ci credo" disse bevendo un sorso.
"Manco
io". Presi un libro di poesia dalla borsa. Raymond Carver. "Toh, era
quello che volevi, no?"
Lo guardò per un
attimo. "Grazie, ma non vorrei sottrartelo a lungo"
"No, vabbè, io
non mi occupo più di poesia. Devo lavorare, non ho tempo. Ho chiuso con i
sentimenti"
"Addirittura".
Mi guardava dubbioso. "E che lavoro è?"
"Un lavoro di
dedizione". Fece una smorfia. Sospirai.
"La dedizione
comporta un certo coinvolgimento emotivo, ragazza! Comporta un sentimento"
"Si, beh-
tentennai - diciamo che è un sentimento ben ponderato, abbastanza
ragionato".
"Addirittura"
"E tu, che ne
è stato della tua rabbia?". Il vecchio Genda abbassò gli occhi e si guardò
i palmi delle mani. Aveva ancora la fede. Per un attimo sentii il suo dolore,
come una corrente fredda sul cuore.
"Era bello
sentirti inveire contro questa società un po' incasinata" sorrisi.
"Era bello".
Tirò su con il naso
e mi guardò. Le sue rughe erano come la corteccia del vecchio ippocastano.
Scosse la testa.
"A volte penso
che la nostra rabbia sia solo spirito di conservazione. Forse è la paura di
qualcosa di rivoluzionario"
"Io per
esempio- dissi- non pensavo di essere così conservatrice. Vorrei tanto
tagliarmi i capelli e invece non ci riesco"
"Non è un caso
che questa rabbia è tipica dei vecchi come me, abituati a un mondo diverso.
Sai, io credo che noi siamo l'epoca in cui siamo stati giovani. Lo credo,
davvero. Io sono e sarò sempre il Sessantotto. Io sono e sarò sempre certi
ideali, certe spinte, energie silenziose che, a quell'epoca, mi crescevano
dentro come un fiore che germoglia tra le ossa. Se a quei tempi mi avessero sezionato
un polmone ci avrebbero trovato rose di innovazione. E' solo che un tempo si
parlava dei colori e tutti avevano dei colori diversi, uno era rosso, l'altro
era nero. Mentre ora io non lo so, è come se fosse tutto bianco, la gente se ne
sbatte completamente le balle di tutto. Io non lo so".
"Magari- dissi
io- è anche questo un ideale: vivere semplicemente senza pensare di conquistare
la Dalmazia !"
"Eh ragazzina,
la Dalmazia
n'è mica il Sessantotto eh!". Per la prima volta rise anche lui.
"Si, va beh,
io dico che nei tempi di pace le persone sono più rilassate, parlano di come
cuocere il filetto, coniano nuovi vocaboli, bevono nei weekend; sono cose
concrete, voglio dire che te ne fai di un discorso sulla Democrazia quando
l'importante al momento è farsi notare? Al più, il discorso sulla Democrazia,
al giorno d'oggi, lo fai per far colpo". Però, come per la maggior parte
delle volte, non ero mai del tutto convinta di quello che dicevo. Lo dicevo,
comunque, per infastidirlo.
"Vedi? Vedi?
E' questo modo di vedere le cose che non sopporto, questo addormentarsi
pensando che va tutto alla grande. Ascoltami bene, Caterina, Clarissa, non mi
viene il tuo nome, devi smetterla, cazzo, devi piantarla di ragionare così, di
scusare questa disattenzione collettiva. Internet è il più importante, potente,
mezzo che il popolo abbia avuto in suo possesso, ma pfff, è come se tutta la sua potenzialità fosse annullata. Da cosa?
Da cosa mi chiedi? Bene, da tutte questi diversivi, questi social network che
accentrano l'attenzione, la spostano, la indirizzano del tutto sulla cosa più
debole che esista: l'Ego"
"Non sono
d'accordo che l'Ego sia la cosa più debole che esista" dissi.
"Oh, fandonie,
è questo Ego sciocco e autoreferenziale che non sopporto, che mi ammutolisce,
che mi fa rassegnare. Gli ideali nascono in risposta a forze contrarie che noi
sentiamo di dover contrastare con lo spirito, con la parola, con tutta la forza
e il fiato che siamo in grado di soffiare, ma se è tutto un vociare soffuso, un
vivere veloce, impegnato, di corsa, se la questione non è più essere liberi, ma
di che colore tingere le pareti della propria prigione, io perdo il perchè del
mio parlare. Tu mi capisci?"
"Si".
Presi dalla tasca una caramella e la scartai lentamente, facendo meno rumore
possibile.
"Non si tratta
nemmeno di un disinteressamento alla politica, chi parla di questo, a mio
parere, ha sbagliato bersaglio. Si tratta di un'ipnosi collettiva, ecco. Ad
esempio tu, che diavolo di lavoro fai? Prima mi hai detto che non hai tempo
nemmeno di leggere un libro di poesie"
"Un lavoro di
dedizione, una cosa molto impegnativa” dissi togliendo il braccio da sotto il
mento e ritornando seduta composta.
“Ah-ah che ridere,
peccato che ieri sono caduto dal motorino, i medici mi hanno detto che ho la
paralisi del nervo facciale, quindi non te la prendere se ho questa faccia qua,
un po’ interdetta”.
Annuii, come si
fa quando si accetta un rimprovero. A lui non era mai andato a genio questo mio
fatto di abbandonare la
Scrittura per la Scienza.
Io gli avevo sempre detto che le due cose “mica
s’escludevano”. E lui, mi aveva sempre detto: “al diavolo”.
“Io sono
scettico. Tu lo capisci?”. Era uno dei suoi tic riperetere “tu lo capisci” in
continuazione.
“Sono scettico
perché ci sarebbero tante cose da dire e non riesco ad esprimerle perché a
volte mi sento io a esser sbagliato e non gli altri che vivono senza uno scopo.
Io pensavo di cambiare la prospettiva sulle cose, vedere il nostro mondo con
occhio più comprensivo e, invece, io a certe stronzate non mi abituo! Non mi
va, non mi va di vedere correre tutti da una parte all’altra come se si
trattasse soltanto di riempire il tempo, non mi va che la gente debba mostrarsi
sempre con questa aura di Vittoria e Sbruffoneria, non mi piace la parola sfigato, vorrei prendere a schiaffi
tutti quelli che la usano. Mi fa schifo il sushi.”
“Mmm buono” dissi
io.
“La vera salvezza
di questi tempi è avere una cazzo di vocazione, qualcosa che ti salvi e che ti
faccia amare il tempo. Qualcosa che ti spinga ad amare veramente anche un’altra
persona, un amore che non sia niente di tutte quelle baggianate sullo status,
sui canoni, una cosa raffinata, salva da tutta questa fanghiglia”.
“Fanghiglia”
ripetei piegando la testa di lato.
“Ti prego,
salvati” mi disse e mi guardò con gli occhi disperati.
Io allora dissi:
“Sono apposto così”
C'era una pioggia che sarei morta.
4 commenti:
Come sempre cara Cristina, i tuoi racconti ti tengono sospeso fino all'ultimo, però sono molto belli.
Ciao e buon fine settimana, sperando che sia sempre buon tempo.
Tomaso
Ciao Tom, buon fine settimana anche a lei :)
Cristina
io Genda l'ho sposato che ero bambina, e lui poco più, e lo amo ancora
Wow, davvero? :)
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