28/09/12

La metamorfosi idiota (XXVII)

di Cristina Taliento

(Le lit, Henri de Toulouse Lautrec, 1893, olio su cartone, Paris, Musée d'Orsay)

Sebbene mi vantassi di non essere troppo coinvolta nella storia, di avere la giusta indifferenza per mandare a morte tutti i personaggi nel giro di un capitolo, di sentirmi svincolata da ogni sorta di lieto fine e tragico finale, sebbene tutte queste cose, ogni volta, ogni santa volta, certi personaggi, indovinate quali, mi accorciavano ancora di più le attese e brevi ore di sonno che dividevano, come reti di pescatori, le lunghe ore di studio e di pensiero. Irrompevano nel buio con le loro proteste e chiedevano un nome, autentica personalità, un cane, più visibilità all'interno del romanzo, coperte per l'inverno, una casa al mare. Spesso per farli smettere assicuravo di più di quanto chiedessero realmente. Se volevano, per esempio, un paio di scarpe, eccovene una collezione, rispondevo, basta che ve ne andate e mi lasciate dormire in pace. Ma un giorno, sera tardi,  l'Adolescente, il Fantasma e Livia marciarono così forte che ruppero il cellophane dei sogni della mia mente e, a gran voce, con le vanghe in mano e lenzuoli scritti di nero, urlarono: "Diritti! Vogliamo i diritti!". E ancora più forte: "Rights! Rights!". Mi incolparono di incapacità, egoismo, negligenza e per argomentare le accuse nominarono le piante seccate sotto la mia responsabilità, i gatti scappati, i pesci rimasti morti, le innumerevoli storie lasciate incomplete, gli ombrelli persi, il disordine della scrivania, gli appuntamenti dimenticati e per ultimo, il malessere, così lo chiamarono, si, il malessere dei personaggi che, di mia spontanea volontà, avevo inventato. Allora dissi:
"Basta. Avanti, quali crimini ho commesso?"
L'Adolescente emise un risolino isterico e, d'un tratto, mi fu chiara la sua rabbia. Così la smisi e lo ascoltai.
"Questa storia! Io! Lei!" sbottò indicando Livia. "E l'ambientazione, poi!"
"Che vuoi dire?" chiesi mentre mi sedevo.
"Bene! Nemmeno te ne rendi conto! Questa storia... è assurda. Voglio dire, lo sai che si svolge per intero in una camera da letto, no?" disse enfatizzando le parole con rapidi gesti delle mani.
"Va bè, dai, detto così la fai sembrare una storia di serie b... ma che ne so".
E poi, proprio mentre si stava calmando, dissi:  "Senti, la colpa è anche tua!"
"Mia?" strinse gli occhi e ci fu il  silenzio di tutti.
"Tua, si. Perchè se fossi stato un Vero personaggio, la storia l'avresti fatta tu e il romanzo sarebbe filato liscio, ma siccome sei un Bambino che si lamenta e si contraddice e che usa l'adolescenza come scusa, io devo inventarmi tutto da sola e non ho tempo. Ho-impegni."
"Ma che bel comportamento da adulta, questo. Molto saggio e altruista e maturo e giudizioso..." si intromise il fantasma indignato unendosi alle critiche dell'Adolescente.
"Infatti- esclamò l'Adolescente- dici a me e, invece, sei tu che non sai prenderti le tue responsabilità"
"Voi sareste una mia responsabilità?" risi.
"Si, lo siamo. Devi darci un posto e una vita, delle opinioni rispettabili. Noi, non è vero che non siamo niente. Non siamo i giocattoli che decidi di tirare fuori nel tempo libero, in alternativa alla corsa e alle riviste scientifiche".
L'Adolescente era contento che il fantasma mi stesse parlando così. Sentivo la sua soddisfazione e anche Livia, in piedi nell'angolo con le braccia incrociate, anche lei era soddisfatta. Poi pensai ai capitoli che avevo scritto e mai riletto e sbuffai.
"Molto bene. Andrete a pescare" conclusi e mi alzai dalla sedia battendo le mani come faceva David Letterman in quel suo show.
"Pescare?" chiesero e ci fu ancora silenzio.
"La pesca! Pesca! Pescare! Non l'avete mai sentito? Farò in modo di trovarvi tre canne da pesca e tre secchi, anzi uno basterà" dissi mentre aprivo la libreria per cercare nell'Enciclopedia la voce "pesca" e mostrarla ai personaggi.
L'Adolescente guardò il fantasma e Livia si avvicinò con una teatrale espressione di dubbio.
"Che vuoi, Livia? Guarda che ore sono: è tardi. Devo dormire. Avete detto che l'ambientazione di una stanza da letto vi ha stancato e nel prossimo capitolo troverete il mare. Buonanotte".
"Voglio un cane" osò l'Adolescente con un coraggio tradito da un veloce movimento della guancia.
"Scegli quale" risposi stanca.
"Un beagle"
"Prendi un pastore tedesco- suggerì il fantasma del medico inglese morto durante la Prima guerra mondiale- ne avevo uno sul fronte. Quando i tedeschi ci attaccarono scappò e nessuno lo rivide, ma io, quel cane, lo ricordo ancora..."
"No, aspetta, zitti tutti, voglio un cane lupo"
"Collare o senza"
"Senza".
"D'accordo. Buonanotte". E finalmente spensi la luce.

25/09/12

Descrizioni del suono per non udenti

SECONDO: ARMONICA A BOCCA

di Cristina Taliento


(The adventure of Hum  by Alexander Jansson)


Forse... forse questo suono è come quando un cervo ti investe per sbaglio e mentre cerchi di tamponare le ferite sulle ginocchia con la mano, vedi camminare sul muretto di fronte una linea di insetti di un verde metallico seguiti da una specie di funambolo ballerino che chiude la fila. Una scena insolita, non l'avevi mai vista, però non smetti di pensare al cervo, se si è fatto male pure lui o se l'hai spaventato con quel grido, e allora ti alzi per rincorrerlo trascinando la caviglia ferita e stringi gli occhi per vedere meglio tra gli alberi e non vedi bene, no, perché sei molto miope e nella caduta gli occhiali sono finiti nell'erba e che cosa pazza pensare di trovarli. Quasi inciampi in un ramo ricurvo, barcolli, ti fermi, sbuffi, continui. E' una foresta di betulle e saranno foglie quelle oppure farfalle, ma il cervo dove sta... dove sta... Non lo sai, forse è laggiù. Vai a controllare e intanto il sangue ha macchiato i jeans. Per questa macchia tua madre ti uccide, ma adesso non fa niente. Potresti rimanere ucciso per sempre in quel bosco o morire per un ginocchio sbucciato e non sentire dolore, perché è così triste, in fondo, essersi scontrati con un cervo scomparso. Così ti siedi sul primo masso che trovi, però il masso si muove. Oh caspita, ma è il cervo questo! Eh si, il cervo è il ritornello e quando vedi che sta bene, gli chiedi scusa per non aver mantenuto la destra. Stupido, stupido pedone sono, dici. Non ti preoccupare, colpa mia, ero distratto, risponde il cervo con fare sportivo. Forse questo suono è come quando ti accerti che il cervo sta bene e puoi tornare a fare le cose che stavi facendo, anche se, tornando a casa, ti accorgi di alcuni graffi sulle braccia che prima non avevi notato. E sospiri.

21/09/12

Scrittura sempreverde

Esperimento #345 pubblicato

di Cristina Taliento


(The-Bearded-Baumann-Brothers by Alexander Jansson)


Esperimento di una scrittura non pensata, ma, per lo più, scritta. Si. Ecco. Non sto pensando, tac tac tac, sto scrivendo e basta. Rumore di tasti su e giù per tutto l'orecchio, una cosa divertente, come sentire la pioggia battere. Allora impara: tra poco sentirai la Voce, una volta sedimentata. Stop! Fermati! Stai, per caso, pensando? Mi stai prendendo in giro, lo stai facendo? No, non sto ragionando, se è questo che chiedi, ma per onestà intellettuale (e questo ricordati di metterlo in corsivo, babie), per onesta intellettuale, dicevo... mi sono dimenticata. Ah! Per onest. intell. è bene affermare che non è tanto questione di pensiero, bensì di ragionamento. Tu, cioè io. Io, è vero, adesso sto annerendo pagine a vanvera, però non ti sognare di dire che non stai pensando perchè sarebbe ascientifico, ipocrita e falso, falso, falso. Un uomo pensa sempre, mi hanno detto. Ehi! Lo sai perchè si dice parlare a vanvera (anche qui corsivo, per piacere). Si dice così perchè c'era una signora di nome Vanda o Vanna o Vera, qualcosa del genere. Lo sapete che sono così brava da poter scrivere senza guardare i tasti? Ah, come sono veloce. Insomma questa signora Vanda o Vera o Vanna parlava sempre a casaccio, tanto per parlare, e i bambini che le facevano visita... Ecco! Sto ragionando. Ma quello lo fai dopo! Non è un problema. E io non so scrivere. Basta non ci scrivo più. Questo esercizio non lo so e non lo voglio fare. Se mi vuoi far passare come la prima deficiente che ci mette tre ore prima di scrivere una frase, va bene. Dai, dimmelo. Però sarebbe una grande incertezza perchè... non lo sai, hai detto che non devo ragionare e allora non lo faccio quindi smettila (smettila!) di esigere una risposta, una qualche spiegazione. Primo. Secondo e terzo. No, non potrei enumerare le ragioni, mi dispiace. Dovrei pensare per questo. Rumori di tasti. Tac, tac, tac. E' davvero questa la tua Voce? Are you kidding me? Are you fucking kidding me? Basta, smettila con questi toni, stai spaventando i folletti dei boschi. Perchè hai scritto folletti dei boschi? Non era sul binario del tuo pensiero. No, ebbene? La fantasia, l'immaginazione è anche questo. Dici la cosa che mai, mai, avresti pensato di dire. Tu stai camminando, facciamo, per un sentiero e ti aspetti di vedere che cosa... Ecco, brava, fai una lista: sassolini, radici che si snodano tra le foglie, piccoli insetti e ortiche. No! mentre stai per scrivere ortiche, badabam! e scrivi, non so: uova di struzzo. Ora, questo è un bosco di pini, piuttosto vicino al mare, un bosco dove mai nessuno ha osato imbattersi in simili oggetti. Però tu lo puoi fare e puoi costruire le storie. Parti dallo struzzo: è orfano? Prima di tutto, è un vero animale oppure una gigantesca caramella zuccherosa dalle sembianze uccelline? Un vero animale. E quanti anni ha? Boh. Un numero da uno a dieci, forza. Sei. Benissimo, sei anni. E poi inizi a parlare di questo qui che se ne va gironzolando (che buffa parola) da un bosco all'altro parapì parapò e vola, vola, vola. Dove va? Non so. Come non lo sai? Non so, potrebbe andare in cerca di un compagno. Okay, ferma lì! Okay, mi fermo. STAI PENSANDO! Non lo devi fare, adesso no. Allora non so scrivere. Tanto non mi interessa saperlo fare bene, come vuoi tu. Tu, tu, tu, chi? Con chi stai parlando? Con me, con lui, con tutto il mondo, non fare finta di niente e, soprattutto, non cambiare discorso. Mi sono stancata, voglio alzarmi da qui, voglio smettere di scrivere. Che risate! E perchè ti sei seduta allora, cosa pensavi di fare? Niente, creare una cosa bella, ma è EVIDENTE che non sei capace, che sei debole, che ti arrendi facilmente e soprattutto questa Voce appare semplice, scontata, banale, isterica, guidata. Posso dire? Dì, avanti. Esercitati di più. Ahhahaha, te lo scordi. Questa pagliacciata mi toglie abbastanza tempo. Perchè non vuoi addomesticare questo grezzo egocentrismo psichico chiamato scrittura? ( Mettimi il corsivo qui Bob, grazie amico). Ah, quindi è così che lo chiami. Si, è questo che mi sembra. La scrittura è vanità, e questa non me la toglie nessuno dalla mente. Le persone umili non fanno tante storie per ogni riflessione o osservazione, loro vanno dritto e non seguono le farfalle. Tu segui le farfalle? Che cosa. Le farfalle? No. Si. Boh, forse, le farfalle, hai detto? Ma così non va. Questo pezzo non è per nulla drammatico o comico, per niente surreale, zero tecnica. Bocciata. Mi stai bocciando? Ti. Sto. Bocciando. Va bene, okay, va bene. Studia. E leggi molto. Va bene, leggo molto. No, si dice, leggerò molto. Okay, leggerò molto. Anzi no, a ben pensarci! Non darò a mangiare a questo hobby o come lo vogliamo chiamare. Mi rifiuto di leggere e imparare la tecnica. Fai come vuoi, tanto non mi importa. Bene, addio! Muori! Crepa, tu, idiota! Come ti permetti, stupida scribacchina di serie D! Mi permetto e basta, con il vostro permesso.

15/09/12

La metamorfosi idiota (XXVI)

di Cristina Taliento




Tutta quella pioggia buttata su strade già allagate e su lucci alligatori a spasso tra i pali dei semafori e marciapiedi. Antichi velieri tagliavano le onde di Via Ludovico Ariosto; sull'albero maestro il marinaio spezzava a colpi di spada i fili della luce per permettere il passaggio della nave Moby Dick. Si, così si chiamava. E i lampioni appesi cadevano all'improvviso come liane, dove, a quel punto, si potevano arrampicare le urlanti scimmie vestite d'oro.

Pensava...

Molti ragazzi nati anni e anni dopo la morte di Lennon ascoltavano soltanto i Beatles e quelle canzoni sul Vietnam, alcuni ripetevano all'infinito vecchi motti fascisti e alle assemblee d'istituto si alzavano in piedi per gridare i discorsi della Prima Repubblica; c'era chi imitava ancora Marylin o un'altra volta Giulio Cesare e non volevano saperne per niente delle varie Britney Spears, Brittany Murphy, Britney questo, Brittany quello. Si, erano in molti.

Anche secondo il fantasma si trattava di un atteggiamento diffuso tra i giovani e per via di questa moda la accusavano di essere come quei suoi coetanei, troppo distante dalla realtà presente, ammaliata dai sortilegi sbiaditi del passato. No, avete capito male: io volevo tutto, passato, presente, tutto, futuro, tutto. Io non lo rinnego questo mondo di social networks ed esaltati del lavoro, ma non mi basta.

Allora individuarono in lei un senso di possessione morbosa e iperattiva per la storia e per l'umanità intera. Me ne infischio di come la volete chiamare, io non sopporto di non aver visto i mondiali di calcio dell' 82, il crollo del muro di Berlino, l'estinzione delle tigri di Giava, l'assassinio di Aldo Moro. Volevo combattere le dodici battaglie dell'Isonzo, assistere allo sbarco sulla Luna, all'alluvione di Firenze, alla scoperta della struttura del Dna. Odio sapere che queste cose sono accadute senza la mia santissima presenza.

"Hai solo un forte desiderio di eternità e onnipotenza. Tuttavia, poca misericordia" sentenziò il fantasma ascoltando i suoi pensieri.
Poi appoggiò gli occhiali sulla scrivania e premette i polpastrelli sugli occhi stanchi. Livia si alzò per guardare la pioggia che da un minuto o due aveva preso a cadere ancora più forte di prima.

12/09/12

Storie narrate in Settembre

di Cristina Taliento

( A little Nimrod, James Tissot, 1882, oil on canvas, Private Collection)


Arrivata all'età di tredici anni, Muriel s'interrogò sulle cause che l'avevano portata ad essere quella che, dopotutto, era. Incolpò il giardino, sopra ogni cosa. "Credo fermamente- scrisse su un quaderno- che la responsabilità di questo mio sproporzionato sentimento è da attribuire alla solennità degli alberi e al vociare delle foglie e, infine,  alla solitudine dei lombrichi. Efrem, Nimrod, Amos e Ruth non avrebbero altrimenti mai abitato in un appartamento". Erano, questi, quattro nomi della Bibbia, scelti da Muriel per distinguere le forme che vedeva da tempo tra i cespugli di rose. All'inizio Efrem le era parso grandissimo, più grande di suo cugino Cesario, mentre Nimrod, Amos e Ruth, i tre gemelli, li aveva riconosciuti come suoi coetanei perché avevano la stessa altezza e facevano le sue stesse domande. Una mattina suo nonno aveva acceso la radio e si parlava di geografia, si descrivevano le coste della Francia del Nord. "Dov'è la Francia, nonno?" aveva chiesto Muriel a sei anni. "Sopra la tua testa, guarda" e aveva indicato la cartina. Per questo motivo aveva capito subito quando, al momento della presentazione, i fratellini avevano detto di venire dall'alto, di preciso dalla Francia del Nord. "Ah si- aveva detto- so dov'è". Però arrivati nel giardino si erano stabiliti dentro un albero d'ulivo, all'interno grande come un tavolo da cucina. E Muriel andava a trovarli dopo la scuola. "Vedrete, quest'estate passeremo ancora più tempo insieme". Tuttavia l'estate arrivava e con essa anche i cugini e gli zii. Il giardino si riempiva di nuovo e Muriel si dimenticava di quegli altri bambini riservati per poi ricordarsi solo quando arrivava la sera e si diceva: "Avranno giocato a carte oppure con le bambole di Ruth. Si, si saranno divertiti anche senza di me". Poi, quando l'estate finiva e i cugini riempivano le valigie, lei camminava fino all'ulivo e quasi aveva paura di scoprire il tronco vuoto. Per fortuna i bambini fratelli c'erano sempre, anno dopo anno. A nove anni i suoi capelli erano cresciuti molto e ne andava fiera. Anche Ruth li aveva ammirati. "Perché non li fai crescere pure tu così?". Ruth aveva annuito, ma i capelli non crescevano. 
"Devi mangiare prezzemolo- aveva suggerito Muriel- il prezzemolo fa crescere i capelli".
"Balle" aveva esclamato Nimrod.
"E' la verità! Provaci, Ruth, provaci, dai".
L'anno successivo Ruth aveva sempre il caschetto, ma qualcosa era cambiato: la sua statura si era abbassata e anche quella di Amos, Efrem e Nimrod. Sembravano come rimpiccioliti, le spalle più piccole, le braccia più esili eppure i vestiti che indossavano, sempre gli stessi, calzavano ancora perfettamente.
Un giorno era riuscita a mormorare:
"Ogni fine estate mi sembrate più piccoli. Forse non mangiate abbastanza? Non sono buone le carote e il latte? Volete che vi porti io qualche merendina?"
"No Muriel, noi stiamo benissimo- aveva risposto Efrem mentre affilava le frecce- Sei tu quella che diventa sempre più alta, ogni giorno che passa".
I fratelli del nonno le dicevano meravigliati che dall'ultima volta era cresciuta, ma pensava che questo fosse un fenomeno comune, ordinario, come la pioggia che cade in autunno e il diffondersi delle erbacce. "Non è forse normale allungarsi?" rispondeva a quello stupore. Tuttavia quando si era accorta che i quattro bambini del giardino non crescevano, aveva pensato che crescere, allora, doveva essere un po' come l'immaginazione o l'essere uccelli, alcuni si, altri no.
Ad ogni modo gli anni passarono e s'insinuò il dubbio su molte cose. Come nascono davvero i bambini? Esiste il Paradiso? Se no,  dov'è andato a finire il nonno? Quanto durano le guerre? Perché il cielo è blu? Che cosa voleva dire quella barzelletta? A che serve andare a scuola, a parte tutto?
Non erano domande gridate con sfida agli adulti, anzi, sapeva che doveva cercare le risposte in silenzio, forse nei libri, su Internet e né chiese ai quattro bambini del giardino: "Ma voi esistete o vi ho inventati io?". Eppure lo sapeva che Efrem, all'inizio tanto alto per lei, aveva finito per abbassarsi come gli altri; lo sapeva che i capelli di Ruth non crescevano e che le sue bambole non si rovinavano mai mentre le sue, da quando le aveva comprate, si erano strappate lungo le cuciture; lo sapeva che nessuno all'infuori di lei poteva certificare l'esistenza dei quattro fratelli. E allora perché li vedeva? Era stato in quel periodo che aveva dato la colpa al giardino. "Sono stati gli alberi a trasferirmi l'immaginazione" pensava.
Si disse che avrebbe fatto finta di niente, decise che non avrebbe allarmato i bambini spaventandoli con i dubbi dell'esistenza. Dopo molti pomeriggi trascorsi a meditare sui libri e sulle scale strette che portavano in cima al campanile, s'incamminò fino all'ulivo dove vivevano i fratelli e prima di giungervi prese a pronunciare i loro nomi. Non si meravigliò quando vide che se n'erano andati e, anche se a distanza di anni le sembrò un gesto privo di senso, in quel momento, sulle radici dell'ulivo, si mise a piangere.

09/09/12

Ketchup al tramonto

di Cristina Taliento

(Boarding on the River Epte, Claude Monet, 1060, oil on canvas, San Paolo, Brasil)


Soffi sparsi di nuvole salmone
dietro due pesci rossi che nuotano
in una damigiana,
scatole di patatine fritte
sopra pile di libri vecchi,
sigarette immaginarie
mentre la poesia muore
e io non sono niente,
mentre steli di lavanda si muovono
sui terrazzi di fronte
e David Bowie portato dal vento
più canti di messa:
è domenica.

07/09/12

Discorsi di un falco in volo

di Cristina Taliento

(Albrecht Durer, Wing of a Roller, Watercolor and gouache on vellum 20 x 20 cm. Graphische Sammlung Albertina, Vienna )


"Io lascio nei cieli che scopro un senso di magnifico infinito e invisibile solco, ombre delle mie ali sui meravigliati volti di chi mi guarda e correnti eterne, dovunque io voli. Maestose montagne si alzano nel sole come file di elefanti schierati alla battaglia, superbe mi guardano mentre le sorvolo; io più piccolo, è vero, ma più in alto e più giovane. Si irradiano lontano e ancora oltre pianure azzurre e oceani verdi, anfiteatri romani mai ritrovati perché nascosti dai rovi e dagli incantesimi degli alberi. Allora io penso durante questo destrogiro a Est delle Alpi  che noi, rapaci, montagne, uomini, siamo esattamente quello che vogliamo essere, come vogliamo essere, in ogni momento del giorno, in ogni spazio, sempre, e che tutte quelle storie d'insoddisfazione, in realtà, non contano niente, che io potrei sentirmi adulato nel veder gli occhi altrui così desiderosi posarsi sulle mie piume, ma so che ognuno è l'esatta espressione del suo essere e quando guardano me essi  imparano a volere; nel desiderio di imitarmi incontrano loro stessi. Per questo, non m'inganno e seguendo il sole, nel sole, mi allontano. "