di Cristina Taliento
(Le lit, Henri de Toulouse Lautrec, 1893, olio su cartone, Paris, Musée d'Orsay)
Sebbene mi vantassi di non essere troppo coinvolta nella storia, di avere la giusta indifferenza per mandare a morte tutti i personaggi nel giro di un capitolo, di sentirmi svincolata da ogni sorta di lieto fine e tragico finale, sebbene tutte queste cose, ogni volta, ogni santa volta, certi personaggi, indovinate quali, mi accorciavano ancora di più le attese e brevi ore di sonno che dividevano, come reti di pescatori, le lunghe ore di studio e di pensiero. Irrompevano nel buio con le loro proteste e chiedevano un nome, autentica personalità, un cane, più visibilità all'interno del romanzo, coperte per l'inverno, una casa al mare. Spesso per farli smettere assicuravo di più di quanto chiedessero realmente. Se volevano, per esempio, un paio di scarpe, eccovene una collezione, rispondevo, basta che ve ne andate e mi lasciate dormire in pace. Ma un giorno, sera tardi, l'Adolescente, il Fantasma e Livia marciarono così forte che ruppero il cellophane dei sogni della mia mente e, a gran voce, con le vanghe in mano e lenzuoli scritti di nero, urlarono: "Diritti! Vogliamo i diritti!". E ancora più forte: "Rights! Rights!". Mi incolparono di incapacità, egoismo, negligenza e per argomentare le accuse nominarono le piante seccate sotto la mia responsabilità, i gatti scappati, i pesci rimasti morti, le innumerevoli storie lasciate incomplete, gli ombrelli persi, il disordine della scrivania, gli appuntamenti dimenticati e per ultimo, il malessere, così lo chiamarono, si, il malessere dei personaggi che, di mia spontanea volontà, avevo inventato. Allora dissi:
"Basta. Avanti, quali crimini ho commesso?"
L'Adolescente emise un risolino isterico e, d'un tratto, mi fu chiara la sua rabbia. Così la smisi e lo ascoltai.
"Questa storia! Io! Lei!" sbottò indicando Livia. "E l'ambientazione, poi!"
"Che vuoi dire?" chiesi mentre mi sedevo.
"Bene! Nemmeno te ne rendi conto! Questa storia... è assurda. Voglio dire, lo sai che si svolge per intero in una camera da letto, no?" disse enfatizzando le parole con rapidi gesti delle mani.
"Va bè, dai, detto così la fai sembrare una storia di serie b... ma che ne so".
E poi, proprio mentre si stava calmando, dissi: "Senti, la colpa è anche tua!"
"Mia?" strinse gli occhi e ci fu il silenzio di tutti.
"Tua, si. Perchè se fossi stato un Vero personaggio, la storia l'avresti fatta tu e il romanzo sarebbe filato liscio, ma siccome sei un Bambino che si lamenta e si contraddice e che usa l'adolescenza come scusa, io devo inventarmi tutto da sola e non ho tempo. Ho-impegni."
"Ma che bel comportamento da adulta, questo. Molto saggio e altruista e maturo e giudizioso..." si intromise il fantasma indignato unendosi alle critiche dell'Adolescente.
"Infatti- esclamò l'Adolescente- dici a me e, invece, sei tu che non sai prenderti le tue responsabilità"
"Voi sareste una mia responsabilità?" risi.
"Si, lo siamo. Devi darci un posto e una vita, delle opinioni rispettabili. Noi, non è vero che non siamo niente. Non siamo i giocattoli che decidi di tirare fuori nel tempo libero, in alternativa alla corsa e alle riviste scientifiche".
L'Adolescente era contento che il fantasma mi stesse parlando così. Sentivo la sua soddisfazione e anche Livia, in piedi nell'angolo con le braccia incrociate, anche lei era soddisfatta. Poi pensai ai capitoli che avevo scritto e mai riletto e sbuffai.
"Molto bene. Andrete a pescare" conclusi e mi alzai dalla sedia battendo le mani come faceva David Letterman in quel suo show.
"Pescare?" chiesero e ci fu ancora silenzio.
"La pesca! Pesca! Pescare! Non l'avete mai sentito? Farò in modo di trovarvi tre canne da pesca e tre secchi, anzi uno basterà" dissi mentre aprivo la libreria per cercare nell'Enciclopedia la voce "pesca" e mostrarla ai personaggi.
L'Adolescente guardò il fantasma e Livia si avvicinò con una teatrale espressione di dubbio.
"Che vuoi, Livia? Guarda che ore sono: è tardi. Devo dormire. Avete detto che l'ambientazione di una stanza da letto vi ha stancato e nel prossimo capitolo troverete il mare. Buonanotte".
"Voglio un cane" osò l'Adolescente con un coraggio tradito da un veloce movimento della guancia.
"Scegli quale" risposi stanca.
"Un beagle"
"Prendi un pastore tedesco- suggerì il fantasma del medico inglese morto durante la Prima guerra mondiale- ne avevo uno sul fronte. Quando i tedeschi ci attaccarono scappò e nessuno lo rivide, ma io, quel cane, lo ricordo ancora..."
"No, aspetta, zitti tutti, voglio un cane lupo"
"Collare o senza"
"Senza".
"D'accordo. Buonanotte". E finalmente spensi la luce.
"Questa storia! Io! Lei!" sbottò indicando Livia. "E l'ambientazione, poi!"
"Che vuoi dire?" chiesi mentre mi sedevo.
"Bene! Nemmeno te ne rendi conto! Questa storia... è assurda. Voglio dire, lo sai che si svolge per intero in una camera da letto, no?" disse enfatizzando le parole con rapidi gesti delle mani.
"Va bè, dai, detto così la fai sembrare una storia di serie b... ma che ne so".
E poi, proprio mentre si stava calmando, dissi: "Senti, la colpa è anche tua!"
"Mia?" strinse gli occhi e ci fu il silenzio di tutti.
"Tua, si. Perchè se fossi stato un Vero personaggio, la storia l'avresti fatta tu e il romanzo sarebbe filato liscio, ma siccome sei un Bambino che si lamenta e si contraddice e che usa l'adolescenza come scusa, io devo inventarmi tutto da sola e non ho tempo. Ho-impegni."
"Ma che bel comportamento da adulta, questo. Molto saggio e altruista e maturo e giudizioso..." si intromise il fantasma indignato unendosi alle critiche dell'Adolescente.
"Infatti- esclamò l'Adolescente- dici a me e, invece, sei tu che non sai prenderti le tue responsabilità"
"Voi sareste una mia responsabilità?" risi.
"Si, lo siamo. Devi darci un posto e una vita, delle opinioni rispettabili. Noi, non è vero che non siamo niente. Non siamo i giocattoli che decidi di tirare fuori nel tempo libero, in alternativa alla corsa e alle riviste scientifiche".
L'Adolescente era contento che il fantasma mi stesse parlando così. Sentivo la sua soddisfazione e anche Livia, in piedi nell'angolo con le braccia incrociate, anche lei era soddisfatta. Poi pensai ai capitoli che avevo scritto e mai riletto e sbuffai.
"Molto bene. Andrete a pescare" conclusi e mi alzai dalla sedia battendo le mani come faceva David Letterman in quel suo show.
"Pescare?" chiesero e ci fu ancora silenzio.
"La pesca! Pesca! Pescare! Non l'avete mai sentito? Farò in modo di trovarvi tre canne da pesca e tre secchi, anzi uno basterà" dissi mentre aprivo la libreria per cercare nell'Enciclopedia la voce "pesca" e mostrarla ai personaggi.
L'Adolescente guardò il fantasma e Livia si avvicinò con una teatrale espressione di dubbio.
"Che vuoi, Livia? Guarda che ore sono: è tardi. Devo dormire. Avete detto che l'ambientazione di una stanza da letto vi ha stancato e nel prossimo capitolo troverete il mare. Buonanotte".
"Voglio un cane" osò l'Adolescente con un coraggio tradito da un veloce movimento della guancia.
"Scegli quale" risposi stanca.
"Un beagle"
"Prendi un pastore tedesco- suggerì il fantasma del medico inglese morto durante la Prima guerra mondiale- ne avevo uno sul fronte. Quando i tedeschi ci attaccarono scappò e nessuno lo rivide, ma io, quel cane, lo ricordo ancora..."
"No, aspetta, zitti tutti, voglio un cane lupo"
"Collare o senza"
"Senza".
"D'accordo. Buonanotte". E finalmente spensi la luce.