( A little Nimrod, James Tissot, 1882, oil on canvas, Private Collection)
Arrivata all'età di tredici anni, Muriel s'interrogò sulle cause che l'avevano portata ad essere quella che, dopotutto, era. Incolpò il giardino, sopra ogni cosa. "Credo fermamente- scrisse su un quaderno- che la responsabilità di questo mio sproporzionato sentimento è da attribuire alla solennità degli alberi e al vociare delle foglie e, infine, alla solitudine dei lombrichi. Efrem, Nimrod, Amos e Ruth non avrebbero altrimenti mai abitato in un appartamento". Erano, questi, quattro nomi della Bibbia, scelti da Muriel per distinguere le forme che vedeva da tempo tra i cespugli di rose. All'inizio Efrem le era parso grandissimo, più grande di suo cugino Cesario, mentre Nimrod, Amos e Ruth, i tre gemelli, li aveva riconosciuti come suoi coetanei perché avevano la stessa altezza e facevano le sue stesse domande. Una mattina suo nonno aveva acceso la radio e si parlava di geografia, si descrivevano le coste della Francia del Nord. "Dov'è la Francia, nonno?" aveva chiesto Muriel a sei anni. "Sopra la tua testa, guarda" e aveva indicato la cartina. Per questo motivo aveva capito subito quando, al momento della presentazione, i fratellini avevano detto di venire dall'alto, di preciso dalla Francia del Nord. "Ah si- aveva detto- so dov'è". Però arrivati nel giardino si erano stabiliti dentro un albero d'ulivo, all'interno grande come un tavolo da cucina. E Muriel andava a trovarli dopo la scuola. "Vedrete, quest'estate passeremo ancora più tempo insieme". Tuttavia l'estate arrivava e con essa anche i cugini e gli zii. Il giardino si riempiva di nuovo e Muriel si dimenticava di quegli altri bambini riservati per poi ricordarsi solo quando arrivava la sera e si diceva: "Avranno giocato a carte oppure con le bambole di Ruth. Si, si saranno divertiti anche senza di me". Poi, quando l'estate finiva e i cugini riempivano le valigie, lei camminava fino all'ulivo e quasi aveva paura di scoprire il tronco vuoto. Per fortuna i bambini fratelli c'erano sempre, anno dopo anno. A nove anni i suoi capelli erano cresciuti molto e ne andava fiera. Anche Ruth li aveva ammirati. "Perché non li fai crescere pure tu così?". Ruth aveva annuito, ma i capelli non crescevano.
"Devi mangiare prezzemolo- aveva suggerito Muriel- il prezzemolo fa crescere i capelli".
"Balle" aveva esclamato Nimrod.
"E' la verità! Provaci, Ruth, provaci, dai".
L'anno successivo Ruth aveva sempre il caschetto, ma qualcosa era cambiato: la sua statura si era abbassata e anche quella di Amos, Efrem e Nimrod. Sembravano come rimpiccioliti, le spalle più piccole, le braccia più esili eppure i vestiti che indossavano, sempre gli stessi, calzavano ancora perfettamente.
Un giorno era riuscita a mormorare:
"Ogni fine estate mi sembrate più piccoli. Forse non mangiate abbastanza? Non sono buone le carote e il latte? Volete che vi porti io qualche merendina?"
"No Muriel, noi stiamo benissimo- aveva risposto Efrem mentre affilava le frecce- Sei tu quella che diventa sempre più alta, ogni giorno che passa".
I fratelli del nonno le dicevano meravigliati che dall'ultima volta era cresciuta, ma pensava che questo fosse un fenomeno comune, ordinario, come la pioggia che cade in autunno e il diffondersi delle erbacce. "Non è forse normale allungarsi?" rispondeva a quello stupore. Tuttavia quando si era accorta che i quattro bambini del giardino non crescevano, aveva pensato che crescere, allora, doveva essere un po' come l'immaginazione o l'essere uccelli, alcuni si, altri no.
Ad ogni modo gli anni passarono e s'insinuò il dubbio su molte cose. Come nascono davvero i bambini? Esiste il Paradiso? Se no, dov'è andato a finire il nonno? Quanto durano le guerre? Perché il cielo è blu? Che cosa voleva dire quella barzelletta? A che serve andare a scuola, a parte tutto?
Non erano domande gridate con sfida agli adulti, anzi, sapeva che doveva cercare le risposte in silenzio, forse nei libri, su Internet e né chiese ai quattro bambini del giardino: "Ma voi esistete o vi ho inventati io?". Eppure lo sapeva che Efrem, all'inizio tanto alto per lei, aveva finito per abbassarsi come gli altri; lo sapeva che i capelli di Ruth non crescevano e che le sue bambole non si rovinavano mai mentre le sue, da quando le aveva comprate, si erano strappate lungo le cuciture; lo sapeva che nessuno all'infuori di lei poteva certificare l'esistenza dei quattro fratelli. E allora perché li vedeva? Era stato in quel periodo che aveva dato la colpa al giardino. "Sono stati gli alberi a trasferirmi l'immaginazione" pensava.
Non erano domande gridate con sfida agli adulti, anzi, sapeva che doveva cercare le risposte in silenzio, forse nei libri, su Internet e né chiese ai quattro bambini del giardino: "Ma voi esistete o vi ho inventati io?". Eppure lo sapeva che Efrem, all'inizio tanto alto per lei, aveva finito per abbassarsi come gli altri; lo sapeva che i capelli di Ruth non crescevano e che le sue bambole non si rovinavano mai mentre le sue, da quando le aveva comprate, si erano strappate lungo le cuciture; lo sapeva che nessuno all'infuori di lei poteva certificare l'esistenza dei quattro fratelli. E allora perché li vedeva? Era stato in quel periodo che aveva dato la colpa al giardino. "Sono stati gli alberi a trasferirmi l'immaginazione" pensava.
Si disse che avrebbe fatto finta di niente, decise che non avrebbe allarmato i bambini spaventandoli con i dubbi dell'esistenza. Dopo molti pomeriggi trascorsi a meditare sui libri e sulle scale strette che portavano in cima al campanile, s'incamminò fino all'ulivo dove vivevano i fratelli e prima di giungervi prese a pronunciare i loro nomi. Non si meravigliò quando vide che se n'erano andati e, anche se a distanza di anni le sembrò un gesto privo di senso, in quel momento, sulle radici dell'ulivo, si mise a piangere.
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