17/08/12

Descrizioni del suono per non udenti

PRIMO: IL SILENZIO


di Cristina Taliento

(Turnsole, Kenneth Noland, 1961, Moma)

Sospesi e ancora vivi per gioco a due metri dal sole. Si sente, lo senti? Il rumore segreto, il rumore del sole. Come un terrificante tuono continuo, una tempesta di idrogeno e tutt'intorno fuoco, esplosioni e scoppi violenti e grida, miliardi di bombe atomiche che scoppiano nello stesso istante e onde sonore come colpi di frusta rovente dappertutto. Allora questo gigantesco rumore sferico annega nel vuoto: silenzio. Eccoci precipitare  verso la Terra e cadere in un oceano qualunque. Giù giù, ancora più in basso. L'acqua non oppone resistenza, scivola sulla nostra pelle, sulle nostre branchie. Che cosa siamo? Squali, guarda in alto. Ci sono delle linee di luce sulla superficie, delle ragnatele lucenti che disegnano cerchi e talvolta un raggio ha le sembianze di una spada incandescente annebbiata dal tempo. Toccala. La pinna sfiora il raggio di luce, poi lo taglia senza spezzarlo. Ora guarda il movimento della pinna di quel pesce laggiù, quello rosso. Sembrano veli di seta mossi dal vento. Ma come lo spieghi, è questo il suono del silenzio? E' solenne come neve che cade attraverso l'aurora boreale, è una pianta che si allunga intorno alle colonne marmoree di un tempio pagano e non puoi dire che si stia muovendo finché non ne vedi gli effetti dopo mesi e anni. Il silenzio... è l'aria che lentamente condensa, l'albero più alto del giardino, la brezza che fa muovere il lenzuolo, un foglio di giornale che vola tra i palazzi come un gabbiano metropolitano, la mano dell'addio premuta contro il vetro del treno di mezzanotte. No, non è lava, ma una candela che ondeggia nel buio di una stanza e pare che si stia spegnendo, ondeggia, trema, si spegne. E che odore ha il silenzio, poi? L'odore che ha il cielo certi giorni al crepuscolo quando le nuvole si tingono del color del vino.

14/08/12

Joe Lemon e i falsi Beatles

in Gianni Lemmo fonda il gruppo

di Cristina Taliento

(Illustration by Maira Kalman)

Questa gigantesca farsa iniziò sul terrazzo di un condominio della provincia di Lecce quando Lecce era ancora una provincia. E comunque fossero andate le cose, sarebbe rimasta lo stesso, una provincia. Ma Gianni Lemmo e gli altri tre commedianti in quel momento giocavano a carte seduti a cavalcioni sul muretto di un terrazzo e siccome erano quattro avevano pensato di disporsi in fila indiana in modo che il mazziere fosse l'ultimo e le carte passassero di mano in mano.
Erano quattro diciottenni appena diplomati con nessun progetto in vista, salvo quello di non iscriversi all'univeristà. In realtà era stato Lemmo per primo a dire "non ci voglio andare" e poi gli altri l'avevano deciso il giorno dopo, così Lemmo aveva detto "copioni" e poi si era tuffato nel mare. 
"Che ore sono? Ho vinto" fece Marco detto Il Micco Gacco.
"Le six o' clock" rispose Gianni Lemmo schioccando la lingua. Aveva in mano una lattina rossa di Poca-Pola.
"Traduci" disse lanciando le carte in aria. Guardò in basso per veder precipitare giù il re di danari.
"Ma sei scemo?!- gridò Rosita due posti in avanti- Queste carte non sono tue! Sono mie e tu non puoi gettarle così come se fossero di Lemmo, va bene? Adesso me le ripigli".
"Calmati, Rorò- rise suo fratello Valerio Massimo che sedeva alle sue spalle - te le prendo io quando scendiamo!"
"No, deve andare lui, quest'ignorante qui!" esclamò tirandogli un pugno sulla scapola.
"Ahia, cretina" esplose Micco Gacco e non potendo ruotare la testa interamente ritirò la gamba penzoloni e atterrò con entrambi i piedi sul terrazzo.

Anche Lemmo era sceso e si era messo a saltare. Così gli altri si erano girati a guardarlo. Boing boing boing. Rosita e Valemax si guardarono con le sopracciglia alzate, ma dopo un minuto stavano saltando anche loro.
"Fondiamo un gruppo" disse con il fiatone Gianni Lemmo
"Un gruppo" ripeterono gli altri mentre continuavano a saltare.
"Che tipo di gruppo?" chiese Micco Gacco dopo averci pensato per qualche secondo.
"Come uno famoso, non so" rispose Lemmo. Boing boing.
"Allora, dobbiamo andare sul genere rock" argomentò Rosita saltando più in alto per l'entusiamo
"Ormai è fuori moda" disse Valemax sbuffando anidride carbonica e altri gas.
"Perchè stiamo saltando? Che ne dite dei Beatles?" domandò Micco Gacco con il cuore in gola.
"Ma se sono morti e stramorti"  urlò Valemax a piccoli salti
"Che hai detto?!" Lemmo si fermò di botto.
"Ho detto che sono più che morti!"
"Ah... mi era sembrata una bestemmia" e riprendendo a saltare disse: "Sentite, a me pare che dobbiamo guardare il successo. Io se proprio mi devo ispirare lo devo fare con chi ci è riuscito".
"Non lo so, Gianni" mormorarono in coro i tre commedianti. Però eccome saltavano.
"Al tre dite okay se ci state". Boing boing boing.
"Okay" risposero acconsentendo. Ma poi capirono che c'erano cascati.
E caddero tutti giù per terra.

"Comunque...io faccio Joe Lemon" disse Gianni Lemmo senza voce.
"Ti devi imparare l'inglese, bello" disse Rosita girando la testa verso Micco Gacco.
"Signor Traduci" lo prese in giro Valemax. Ma Micco Gacco non rispose perchè tutto il sangue del suo corpo se n'era scivolato in testa.

11/08/12

Ritratto di Corta Malcavata

di Cristina Taliento


(Portrait of a young girl, Petrus Christus, 29 cm x 22.5 cm, Gemäldegalerie, Berlin)

Da tre anni che gironzolo in una di queste case di riposo della provincia. Sali sempre delle scale strette con il marmo bianco e la ringhiera lucida e in ogni angolo un centrino, un' immagine del papa, una radio accesa e qualcuno che chiama "Emma, Emma!" come se intorno non ci fosse che nebbia e fantasmi. Per certi corridoi una non smette mai di perdersi, ma poi eccola la porta, si è proprio quella. Senti le voci che salgono come suoni antichi e allora entri, che stupida cosa pensarci. No, non bussi, non lo fai mai, però davanti a quei trenta occhi ti viene spontaneo un cenno del capo, una specie di inchino dei quartieri bassi. Mani in tasca, buonasera sempre. Che sia per voi una splendida serata e chissà che effetto fa sentire buonasera per la centomilionesima volta, chissà se ci pensano mai all'assurdità di questa cosa. Ancora non l'ho guardata, so che lei mi sta guardando. La Corta Malcavata. Seduta sulla poltrona centrale come su una specie di trono, alta appena un metro e cinquanta, capelli bianchi e mascella dura, occhi di falco, mani di pietra, collo immobile, lei sta, domina. Si, io credo nell'esistenza di un filo cerebrale che la collega con le menti degli altri anziani. Questo filo lo può controllare solo lei e le altre sono ignare del suo potere. Molte almeno, fingono che non sia così. Ma è normale: se stai in una stanza con l'aria  consumata non te ne accorgi che non si respira finché non esci e poi rientri. Quella sera, entrando dopo una passeggiata d'autunno, capii che era ancora viva e per la felicità non riuscii a nascondere uno di quegli enormi sorrisi sformati che ogni tanto mi vengono e lei mi fece l'occhiolino perché, come al solito, la sapeva troppo lunga anche sul mio conto. Diceva di chiamarsi Corta Malcavata perché l'avevano chiamata così fin dai tempi delle suore e lei, in fondo, aveva un grande senso dell'umorismo. Raccontava che essendo nata brutta e malcavata si sentiva più libera di far scherzi e alzare il bicchiere. Così iniziava a parlare di quando si era messa un cappotto di una sua  amica e le anziane che sedevano intorno finivano la sua storia ridendo. Corta Malcavata ci prendeva a gusto quando erano in tanti a ridere di lei. Capitava che mi facesse intravedere dalla tasca la punta di un sigaro e che la signora Gina si alzasse con il bastone per andare a chiudere la porta. Allora parlavano dei mariti che avrebbero potuto avere e di certi schiaffi memorabili dati e ricevuti, di alcune risposte storiche e di quanto avessero vissuto per gli altri e alla faccia degli altri. Le guardi fumare queste anziane ragazze del duomo di Lecce e quasi capisci perchè si nasce e perchè vale la pena rimanere in vita.  Di solito le nostre serate insieme venivano interrotte dalle visite dei parenti. Io giovanissima, loro vecchissime e all'improvviso quei deficienti degli uomini di mezz'età a far tornare il silenzio. Era davvero ridicolo: file di sciocche nuore sicure dei propri cervelli che fingevano di assecondare bonariamente le richieste delle "care nonne" e polli, infinità di polli, con le mani dietro la schiena e un sorriso di convenienza al posto della faccia. Ehi, perchè non baffanculo, ah? Quello che mi faceva ridere di più era la loro convinzione di possesso del senno, la possiamo chiamare così. Si poteva leggere nelle loro pelli tirate e labbra rifatte tutto il disprezzo per la vecchiaia, per l'umanità e la vita. La Corta Malcavata lo sapeva che non li potevo vedere e mi stringeva la mano come per dire resisti, così resistevo e alla fine non era nemmeno per tanto tempo perchè quelle visite duravano meno di una sigaretta o poco di più. E quando se ne andavano, tutto ricominciava anche se io ad un certo punto dovevo andare, per via dei compiti o per un'idea che mi era venuta all'improvviso come una voglia inaspettata o uno starnuto.

07/08/12

Storia di una bufera al largo dell'Adriatico

un racconto di Cristina Taliento



Salì sulla duna per il gusto di mettere i piedi nudi sul mondo. Poi si girò, quasi infastidita che si potesse trattar non del suo ego, ma del mare. Sopra la sua spalla correva dappertutto un immenso cielo verde e azzuro tanto grande ch'ella si meravigliò della straordinaria capienza della vista, dei suoi occhi. I cristalli brillavano da lontano come piccoli pesci fluorescenti e dall'acqua si stendeva in alto il cielo: era così che aveva immaginato da sempre l'ossigeno. E allora fu come se il tempo si fosse bloccato, il grande interruttore dell'umanità spento, il volume abbassato al minimo. Le voci dei bambini si disgregarono allontandosi come veli di nebbia dissipati dal vento e le linee ispide, gli angoli acuti prodotti dalle musiche della spiaggia divennero cerchi e semicerchi che, rallentata la loro velocità, scivolarono muti nel mare. Anna sentì la fissità di quell'attimo pesarle sulle braccia e sulle caviglie; vide le domande dei suoi sedici anni evaporare dalla sua testa e volare via nell'aria intorno. Aveva quelle sembianze l' Esistenza? Era un fluido nel quale spazio e tempo si annullavano e a sfiorarlo con la mano si poteva quasi sentirne il movimento. E che odore aveva l'Esistenza? Era come la luce, tanti colori e nemmeno uno, tanti odori e poi l'assenza di tutto.
Si poteva toccare l'Esistenza? Non si poteva pensare di farlo, no, era una cosa che non si poteva fare. Le sue domande presero a formare minuscoli spostamenti d'aria. Divennero foglie d'autunno turbinanti oppure spiriti di fantasmi che le ballavano intorno. Si addensarono in nembi via via più ombrosi. Di che colore era il Tempo? Un colore strano, sul grigio. Ecco, come il colore di quelle nubi laggiù. E il colore dei Ricordi? Come il colore...non lo so, come il colore del Tempo o quello della tristezza. Sei triste? Io... Anna trasalì. Un fulmine aveva infilzato il mare e questo, come un animale ferito ora si divincolava dagli sguardi fiammanti delle aquile in volo. Riesci a sentire quello che hai dentro? Le aquile, pensò, mi fanno paura. Non smetterei di guardarle, ma le odio più di qualunque altra cosa.

06/08/12

Giuramenti e vite

di Cristina Taliento

(Two women, Ron Mueck, 2005; polyester resin, fibreglass, silicone, polyurethane, aluminium wire, steel, wool, cotton, nylon, synthetic hair, plastic; Glenn Fuhrman Collection, New York)

"Io Flacco Squidegno, sul mio nome e sulla mia discendenza, GIURO che ogni mia azione, pensiero, sogno, parola avrà come guida ultima e primaria la virtù e che questa mia vita sarà pulita e onesta, il giudizio lucido sempre, ogni intenzione semplice. Giuro che mai offenderò, che lavorerò nel silenzio della mia coscienza e che questo mondo non mi corromperà, non mi ingannerà perché quello che giuro è di consacrarmi per tutta la vita al Bene come io lo intendo e che mai mi perdonerò se dovessi tradire quanto adesso ho detto, promesso per sempre, giurato su questa Terra e in questa stanza. ORA E SEMPRE."

Scese dalla sedia dopo aver annuito lentamente quasi a dare il suo definitivo assenso. L'applauso del matto Antonio Genda suonò come un rumore secco, due suole di scarpe battute sul balcone nel pomeriggio deserto del paese.
"Ora a chi tocca?" chiese Genda girando lo sguardo sulle poltroncine marroni della sala nascosta del Winsky Chocolate. I volti si nascosero dietro i liquidi verdi delle altissime bottiglie di vetro. Poi il dottor Tulp indicò in avanti e Genda si accorse della vecchia Dora che era salita sulla sedia e aspettava che le venisse data la parola.
"Zia! Per amor del Cielo, zia! Scendete da lassù, non vorrete rompervi un femore!" disse con tono agitato avanzando con le mani per aria.
"Allontanati, matto di un Antonio!- lo minacciò severa la zia con il bastone di legno- non ti permettere. Io devo esprimere il mio giuramento e mi sembra di non aver ancora incominciato".
"Molto bene, allora- la interruppe la moglie dell'autista battendo la mano sul tavolino e facendo urtare i bicchieri tra di loro- iniziate. Forza, silenzio tutti! Via!"

"Ehm ehm. Io giuro!". E tutti risero. La vecchia Dora non ci badò. "Io giurò che questa mano- disse alzando il bastone- non ucciderà e che se lo farà sarà in buona fede!". L'ingegnere Antonio Genda, matto per fama e per sventura, temette che quel gesto avesse potuto sbilanciare il baricentro della zia, ma non potendo avvicinarsi accese il ventilatore di modo da causare uno spostamento d'aria capace di raddrizzare la zia sul proprio asse. "Giuro, inoltre, che non parlerò mai più male della Gina, anche se molto spesso è proprio vero quello che si dice a proposito dei suoi amanti, e che camminerò dritta senza mettere il naso negli affari altrui. Per i giorni che mi restano e nel rispetto di quelli che ho già vissuto, premetto che la vita è breve e che talvolta si sbaglia e che i mariti non sempre sono quelli giusti e i figli non ne parliamo e i gatti figuriamoci se sono come li volevi tu, un po' come le badanti o le mele del mercato..."
"Va bene, zia, abbiamo capito, continuate..." disse annoiato il dottor Tulp mentre fumava il sigaro.
"Insomma io giuro che non mi lascerò frastornare per queste cose! E che mi risposerò, che cavolo!".
Tutti applaudirono divertiti e qualcuno addirittura si alzò in piedi, qualcun'altro fischiò. Intanto Antonio Genda si metteva d'accordo con la zia Dora su come farla scendere dalla sedia. Poi, con i capelli arruffati per quell'impresa e il nodo della cravatta allentato, annunciò: "Bene, amici, adesso, non vorrei sbagliarmi, ma è arrivato il turno di Madama La Maria, ovvero la vostra cara, amatissima, adolescente. E ricordate: lei è superiore". Sorrise ancora confuso e andò a riempirsi il bicchiere.
Il suo vero nome era Marie perchè sua madre era francese, ma siccome non rivolgeva la parola a nessuno e ripeteva di odiare tutti e il mondo intero, gli amici dei suoi genitori, ovvero quelle figure di cravatte e gioielli lì riunite, l'avevano definita con quel nome da snob e a lei, in fondo, faceva piacere.
Salì sulla sedia con un gesto veloce e il taglio dei jeans sul ginocchio si aprì di nuovi millimetri.
"In primis vorrei dire che secondo me voi non siete normali" iniziò masticando chewing-gum rosa fluorescente. "Degli scoppiati, per l'esattezza. Ma vi fomentate e basta se vi dico che siete degli scoppiati perciò se farò il vostro gioco, scommetto che vi divertirete di meno. E questo mi fa un sacco comodo. Quindi... -indugiò guardandosi le scarpe nuove e poi parlò con la velocità di uno scioglilingua sottotono- giuro che non crederò a chi vorrà minare alla mia personalità, ai falsi, ai bugiardi bla bla bla, giuro che questo mondo schifo, alla faccia sua, non mi avrà nel suo esercito di smidollati erotomani e che preferirei meglio passare la mia vita con voi pazzi di manicomio piuttosto di buttare il mio tempo su Facebook, Twitter e quelle prigioni moderne di sfollati o simili. Fatemi pensare... - simulò una riflessione coinvolta- ah si! Giuro che mai fumerò e mai mi drogherò, ma giuro che se dovessi farlo non me ne farò poi questo gran complesso".
Suo padre, che stava bevendo un succo giallo canarino, quasi si soffocò. Madama La Maria gli fece un sorriso lampo, un po' ironico, un po' annoiato.
"E poi volevo dirvi... che per quanto mi riguarda potete essere inghiottiti tutti da un grosso pesce o da una nuova razza aliena tanto non mi importa un bip delle vostre vite. Perché giuro che non me ne frega niente!!". Poi masticò sul microfono e alzò il dito medio senza espressione.

"Oh... sono così permissivi i suoi genitori" commentò la direttrice del Winsky Chocolate alla signora Vanna. "Se fosse mia figlia... un bel ceffone, altroché!".
"Eh... ma è così da quando è nata. Alcune volte è il carattere, non ci si può far nulla- sospirò la signora Vanna mentre giocherellava con la collona di pietre rosse- e poi meglio lei di molti altri, eh...".

Seguirono altri giuramenti.