21/01/12

La metamorfosi idiota (V)

di Cristina Taliento


(Illustation by Hannah Muller)



Quella notte si svegliò nel buio scheggiato dalle luci aranciate che entravano dalla finestra. Le polveri del sogno si disgregarono per far posto al saggio Orazio Flacco che, con tono perentorio, le disse: "Carpe Diem, dovrai morire". Sapeva fin dall'inizio che alla fine di tutto c'era la morte, ma quella notte, nel buio, capì che ci sarebbe stata davvero. E allora prese a sudare nel letto, a deglutire spaventata, a respirare forte e desiderò di non essersi mai svegliata e di non essere mai nata. All'improvviso decise che a ventisette anni si sarebbe suicidata e poi si chiese perché ventisette e non trenta oppure quaranta. Allora pensò al gas, poi al mare, alle pistole dello zio Luigi, alla morte teatrale di Petronio, alle droghe, alla guerra. Poi si mise a pregare. Recitò il Padre Nostro a bassa voce, intensamente, con gli occhi strizzati e sofferti, le mani intrecciate sulla fronte. Sia santificato il Tuo nome, adveniat regnum tuum, fiat voluntas tua. Quella notte, a diciotto anni, capì. Come in cielo et in terra. Capì. Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Capì che un giorno sarebbe davvero morta. Ma liberaci dal male. Morta. Sed libera nos a malo. Divenne adulta. Sed libera nos... adulta. Amen.


"Perché non hai imparato a memoria la poesia?" urlò l'indomani sbattendo il cartoccio di giornale sul tavolo. "Questi sono impegni! Non è importante il voto, ma tu hai ignorato un dovere. Mamma, non la stai educando!- disse, poi, con tono sprezzante- Tu devi studiare, hai capito? Perché non si tratta di questa poesia o del voto, ma della tua testa grezza che non avrà un posto nella società. E tu, tu, mamma, non la devi giustificare!". Si alzò da tavola mentre sua sorella piangeva. E si domandò come mai lei, lei che prima era stata così giovane e illuminista, tutta rock e Giovanna D'Arco, come mai lei che prima aveva criticato la scuola inneggiando nel nome di poeti drogati, avesse poi inscenato quel discorso tanto adulto e severo. Si domandò se avesse davvero pronunciato "società" come qualche mese prima avrebbe gridato "infinito". Aveva negli occhi il rispetto di suo padre che non l'aveva ribattuta, nè cacciata, ma soltanto ascoltata e quasi approvata. E forse l'aveva sentito mormorare "Bene, ascolta tua sorella". Era una sorella maggiore; poteva essere uno di quei passanti dalle spalle sempre tese e sicure sui cui si appoggiavano i figli. "Società" aveva detto società. Lei, che l'aveva sempre odiata, la società.


Disse che doveva uscire con gli amici e poi deviò per la casa di riposo perché voleva guarire e credette che quella poteva essere la cura. Anna Frank aveva scritto che i giovani, alle volte, erano più soli dei vecchi e, stando a questo, lei era giovane, era vecchia, era sola due volte. Ma andare verso i vecchi era anche come andare incontro a Dio, al senso della vita. Si stupì del modo in cui si sedeva ad ascoltare in silenzio quegli antichi discorsi vani, quella canzone che faceva -Vivere... senza malinconiaaaa, vivere... senza più gelosiaaaa- e di come anche lei continuasse piano - senza rimpianti, senza mai più conoscere cos'è l'amoooore, cogliere il più bel fiore, goder la vita, far tacere il cuoooore-. Con i vecchi ritornava ad essere giovane perché essi avevano pensieri leggeri e se li avesse disegnati li avrebbe dipinti seduti su enormi poltrone volanti. Alcuni di loro avevano dimenticato la società, altri avevano confuso i novant'anni con i trentadue e non c'era niente che con loro fosse lineare, ordinato. Il nome con cui si era presentata alcuni di loro non lo ricordavano più nemmeno dopo due secondi ed era per questo che il tempo, in generale, il ricordo, arrancava nella sua limitatezza. E allora giovane, vecchio, vita, morte, felice, triste, sano, malato smettevano di esistere ed era un valzer di pianti, di urla isteriche, canti e persone da soccorrere. A lei piaceva sorvegliare da lontano quelle voci e pian piano sentiva la sua poltrona di velluto blu alzarsi oltre il lampadario, sfondare le pareti e volare sopra i tetti illuminati delle case. Si metteva a piangere quando qualcuno di quei vecchi moriva, ma imparava osservando la calma di chi rimaneva. "Perché piangi, giovane?" le chiedevano gli amici più intimi del defunto. "Perché piangi, perché?". E lei rispondeva: "Ma come perché...". E loro pazienti le spiegavano: "Non si piange per una nascita, non si piange per una morte. Questa è la vita, tu ancora non lo sai..."; "Si piange solo finché c'è vita eh eh eh"; "Lei ancora non lo sa!"; "Si, lei non ha ancora capito". Allora ella concluse che non aveva ancora capito e che non avrebbe probabilmente mai smesso di capire. Eppure rimase zitta, contemplando il vuoto.

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