Ascoltava attento e divertito con lo sguardo profondo della terra brulla. "La tempesta ha benedetto i miei marittimi risvegli. /Più leggero di un sughero ho danzato tra i flutti/ che si dicono eterni involucri delle vittime, /per dieci notti, senza rimpiangere l'occhio insulso dei fari...". All'improvviso si alzò. La sedia di ferro cadde sul pavimento della classe. Milioni di spalle curve sussultarono e si girarono verso di lui; lui, che dall'ultimo banco, dominava il mondo. "Professoressa-esclamò guardando fuori dalla finestra- la leggo io, vuole? E, scavalcato il banco con un salto felino, si diresse verso la cattedra e prese il libro dalle mani della donna. Nella sua voce sbarbata di giovinastro epico si udivano i ritmi di tutte le mandrie selvagge del mondo: c'erano le marce forzate di uomini armati che valicavano le Alpi, diecimila o più ragazzini che battevano i tamburi in un campo di segale, orchi affamati in preda alla furia più nera. Leggeva con una mano che pareva inforcare l'aria e tutto l'universo, si fermava quando gli uditori credevano che avesse accelerato, urlava le parole "Mare!", "azzurrità!", "antichi drammi!", avvicinava il libro ai suoi occhi come se avesse voluto fondersi con esso e diventare carta, poesia, eroe. Quando ognuno di quei ragazzi si fu ripreso da quell'esperienza, quando il vento smise di turbinare tra i fogli e le cartine geografiche dell'aula, egli aveva già sceso le scale e dalla finestra lo videro attraversare la strada con il passo sfacciato di chi ha accettato la morte. Da quella prospettiva da cui gli altri lo osservavano e invidiavano, egli appariva, tuttavia, più alto e più vicino al cielo di tutti loro e fu per questo allora che sentirono un sinistro bruciore nelle loro pance, una sensazione attorcigliata di triste ammirazione e, sconvolti, ritornarono a sedersi.
Non si era mai fermato a riflettere sulla vita, sul tempo che fugge, ma aveva sempre detto di conoscere la risposta: "Ragazzi miei, bastardi, finitela di fare i balletti col vostro santo cervello! Calmatevi, io ho la chiave di tutto. Voi ignorate la filosofia che c'è dietro questo mondo, ma io la vedo nitida davanti ai miei occhi ed è così nitida che potrei dipingerla, ma non li fabbricano quei colori lì o quelle tele così grandi. Non esistono manichini a cui ispirarsi e voi, dopotutto, non capireste. Quindi battiamo le mani tutti insieme e finiamo questo benedetto torneo di scacchi". Se qualcuno gli chiedeva di descrivere quello che diceva di vedere, egli faceva credere di non aver sentito; ad esempio capitava che stropicciasse il giornale con foga ed esclamasse: "Quel matto di Paul McCartney ci gode a sputtanarsi!". Oppure, mentre era assorto in qualche faccenda, recitava incantanto con gli occhi giganti appesi alla bocca morta: "Cantami, cantami, cantami o diva, del Pelide Achille, l'ira funesta, funesta. Oh... funesta!".
Aveva diciassette anni, ma aveva visto e provato da solo le stesse situazioni di una catena di uomini lunga tre millenni. Tuttavia lo scambiavano per un dodicenne perché rideva con la bocca aperta muovendosi tutto e alle volte, invece, aveva i modi di una ragazzina di prima comunione. La curiosità lo spingeva verso sentieri popolati da etnie di uomini mai classificate, nelle tane buie delle miniere, nelle bocche dei cetacei e fuori da ogni confine terrestre. Ma nella banalità, in quella che altri uomini avevano definito banalità, lui combatteva sprezzante battaglie sopra battaglie e guerre e più maestose disfatte. Si chiedeva come quegli uomini chiamassero banali, scontati, degli esempi di conformismo, di vita quotidiana. Si fermava a guardare dubbioso il quadrato illuminato di una casa e dentro vedeva un uomo che mangiava e in quella visione gli pareva di vedere un saggio leggendario, una sorta di profeta. Però rimaneva a mormorarsi dentro la parola "banale" e più la pronunciava più si domandava se esistesse davvero. Banale. Banale? Ba-na-le. Bana-le. Banana? Bamale? Gli sembrava ora una parola strana e prese a ripetere il suo nome ottenendo lo stesso risultato. Si insinuò il pensiero che le parole si sarebbero potute sciogliere al sole ed evaporare sotto forma di coriandoli. Le persone si sarebbero scambiate due coriandoli. Rise e siccome aveva sentito il nascere di un pensiero profondo, iniziò a correre velocissimo tra i palazzi. Le persone che lo circondavano, le giornaliere umanità, credettero che tra breve avrebbe perso il treno oppure un appuntamento, ma lui, consapevole dei loro pensieri, sfuggiva dai suoi che nessun altro si era mai azzardato ad avere.