Storie per spaventare i bambini quel tanto che basta per scrivere in silenzio altre storie
di Cristina Taliento
Gina Floow non era un gatto. Freya lo era, ma lei viene dopo. Gina rispondeva alle chiamate dello studio dentistico dottore Mauro Lauro. Dalle otto alle venti e trenta di lunedì, mercoledì e venerdì e dalle quattordici fino alle diciannove di martedì e giovedì, lei prendeva la cornetta e la soffocava nel cuscino di capelli rossi e senza neanche accorgersene blaterava: "Studio dentistico dottore Mauro Lauro, desidera?". Questa storia ebbe inizio quando Gina Floow stava strisciando le All Star verso casa con le mani buttate nelle tasche di un impermeabile di seconda mano. La luce arancione appesa nel mezzo di un filo d'acciaio illuminava le code dei topi che sfioravano i palazzi. Alcune finestre erano aperte e da una di esse sgattaiolò la voce di Marcello Mastroianni che stava dicendo: "Si, Sylvia, vengo anch'io, vengo anch'io... ma si, ha ragione lei. Sto sbagliando tutto. Stiamo sbagliando tutti". I grilli riempivano l'atmosfera con il loro continuo respirare e un gatto...eccolo! Un gatto grande come una pantera girava l'angolo come in un sogno. Gina Floow si ritrasse spaventata e poi strinse gli occhi per mettere a fuoco: non c'era più nessuno. Infilò la mano sotto la montatura pesante di occhiali Frank & Co simili a due televisori e si sfregò le palpebre stanche. Un miagolio. Si girò allarmata come un gatto. Annusò l'aria con le piccole narici e decise di spostarsi in un angolo buio di via 12° Reggimento Fanteria. Incastonò la testa tra le spalle intimorite e tra i rovi rossi dei suoi capelli. Dall'altra parte della strada qualcosa aveva mosso una bottiglia di vetro che ora aveva preso a rotolare sull'asfalto e prima ancora che Gina potesse girarsi a controllare, dieci, quindici, cinquanta teste di gatti si sporsero dai terrazzi ed insieme, in un unico coro, trascinarono un'assordante "Miiiiiiiao". Gina Floow, dal suo canto, non si scompose; rimase a guardare quelle teste di gatto che presto divennero gatti interi svelati alla luce della luna e nelle sue iridi gialle si specchiò il riflesso di file di felini che si riversavano verticalmente sui muri delle case. I gatti rossi inchiodarono i topi con i loro artigli e affondarono i baffi nella carne sudicia, il sangue grigiastro veniva sputacchiato sui muri e sull'impermeabile di seconda mano di Gina Floow. Ad un tratto le orecchie dei felini si rizzarono, i loro occhi di smeraldo appuntito guardarono un'ombra alta scivolare calda sul portone del conservatorio "Giovanni Pierluigi di Palestrina". I topi fuggirono nei tombini e nello stesso istante in cui la luna raggiungeva la sua massima estensione apparve Freya, il gatto gigante, padrone di tutte le zampe e gli artigli di questo mondo. Ogni gatto chinò la testa e Freya, con il collo sostenuto, diede ordine di montare delle scale infinite e puntarle alla luna. Nessuno si permise di fare domande, ma c'era un gattino nero tra le prime righe che con la testa chinata miagolò un flebile "perchè, regina Freya?". Allora la Gatta lo infilzò con stalagmiti di ghiaccio che fece uscire dai suoi occhi e il gattino morì dissanguato. Poi, ella ruggì: "Per vivere intensamente, sciocchi!". Ricevuto l'ordine finale, i gatti si disperdettero in cerca di legno, scardinarono le porte delle case, con i pali dei segnali stradali costruirono i pioli delle scale e le corde trovate nel porto le utilizzarono come funi per issare i collegamenti alla luna. Dopo un'ora le scale erano pronte e Freya per prima saltellò verso l'alto nel buio stellato come una scheggia nell'oceano scuro. L'impermeabile di seconda mano di Gina Floow, spalmato sul muro, guardava quello che accadeva. Quando i gatti approdarono sulla luna, Freya sotterrò la testa nelle polveri lunari, ma queste, presto, fecero starnutire tutti i gatti. Ecciù, ecciù. Ogni nuovo ecciù risuonava tetro come se fosse stato il primo. Allora Freya che voleva vivere intensamente si mise di colpo a saltare da una parte all'altra del satellite miagolando: "Mauro Lauro! Mauro Lauro! Mauro Lauro!". I gatti iniziarono a guardarsi con sospetto mentre continuavano a starnutire. Freya notò l'imbarazzo dei gatti e si ricompose, severa. Ma le polveri lunari erano già entrate nelle orecchie dei gatti e stavano causando curiose allergie: si grattavano, sanguinavano, sputavano palle di pelo lunare, lacrimavano, fumavano dalle narici. Freya capì che non poteva uccidere il suo esercito e decise di tornare sulla Terra. Come decine di operai sottopagati che tornano dalle miniere borbottando tra sé, così i gatti lunari scesero le scale da loro stessi costruite consapevoli del fallimento. "Vivere intensamente un corno!" miagolò violentemente un gatto rosso. "Vivere intensamente un fico secco!" rispose in lontananza un gatto nero. "Uccidiamola" propose un gatto grigio. "Ucciderla?" chiese onesto un gatto bianco e puro. "Ci comanda ed è solo schiava delle sue frenesie" sentenziò un gatto dotto di colore indefinito. E così i gatti azionarono gli artigli e con orrore colpirono Freya alle spalle come era accaduto miliardi di anni prima ad un vecchio umano chiamato Giulio Cesare. E mentre gli artigli affondavano nel pelo e nella pelle, l'ombra delle orecchie appuntite di Freya si arrotondò, la sagoma del corpo si slanciò e prima che Freya potesse accorgersene, gli occhiali di Gina Floow giacevano rotti sull'asfalto ed i capelli ricci erano più rossi del solito: verniciati di sangue illuminato dalla luna.
1 commento:
Non poteva non essere un racconto intrigante ...... parlano di felini ....... miaooooooo
Posta un commento