di Cristina Taliento
C'era un uomo, un vecchio, che abitava la Via di un tale Bertola, giù per le strade che portavano al cimitero. All'inizio non sapevo bene come chiamarlo: Antonio Genda oppure Antonio Genta. Non capivo bene il suono mentre le vecchiette sputacchiavano il suo nome e cognome dalle dentiere. Lo vidi camminare sul lungomare senza scarpe, con i capelli pettinati indietro, le bretelle, i pantaloni scuri ed una camicia a righe celesti. Le ragazze del catechismo mi salutavano e poi si giravano per guardare i piedi nudi di Antonio Genda e si mettevano a ridere tra di loro. Le sentivo dissolversi alle mie spalle nei fruscii dei loro capelli; io restavo con gli occhi appesi alla bocca morta mentre vedevo Antonio Genda allontanarsi barcollante e vecchio e pensavo che presto sarebbe crepato, morto e sepolto a due passi da casa sua e il giorno dei morti le persone avrebbero guardato il suo epitaffio: giace qui, Antonio Genda, colui che andava scalzo. "Matto furioso" avrebbero borbottato senza fermarsi le vecchie con le dentiere. Un'auto mi sfiorò la giacca di pelle, poi il lamento di un clacson. Mi spostai dalla strada tirando su gli occhiali con la mano e seguii lo Scalzo. Era come addomesticare un gatto selvatico e starlo a guardare per ore senza muovere un muscolo; portare cibo, acqua e qualche storia da raccontare senza mai avvicinarsi o accarezzare, accettando il compromesso di rimanere immobile e invisibile per la curiosità di studiare il suo linguaggio nascosto, di far venire alla luce il suo curioso segreto. Mi fece segno di sedermi ed io obbedii confusa dai libri sugli scaffali. C'erano libri ovunque: sul tavolo, a terra, su delle mensole che circondavano gli infissi delle porte. Pile e pile di libri accatastate sulle scale, dentro cassetti aperti completamente. Mi diede una tazza di tè e la presi bruciacchiandomi i pollici. La appoggiai a terra siccome il tavolo era lontano e alzandomi avrei spaventato il gatto.
"Tè bollente! Questa è la punizione per i giovani spioni come te!"
Tossii e mi riaggiustai gli occhiali sul naso. "Qualche volta la curiosità fa dell'uomo uno spione perchè non si possono cercare le risposte più difficili rimanendo al proprio posto, senza mostrare la minina sfrontatezza. Io odio chi se ne sta al proprio posto" conclusi fingendo disinvoltura.
"Avanti, chiedi allora!-brontolò camminando per la stanza- ma non pensare nemmeno per un santissimo attimo che otterrai delle risposte ogni volta che avrai deciso di spostare il sedere dalla dannata sedia!"
"Io non lo penso, ma voglio sapere perchè lei cammina scalzo. La gente la giudica pazzo ed anch'io l'ho creduto, ma poi tutti questi libri... non lo so". Antonio Genda mi squadrò come un padre che vede l'occhio nero ad un figlio e non ha le parole per chiedere come ha fatto per procurarselo. Poi chiese:
"Come hai fatto, come fate voi giovani ad essere così superficiali e bonaccioni! I libri non escludono un bel niente. Io posso benissimo essere pazzo ed aver letto un milione di libri e averne scritti la metà. Ma che domande!". Mi mossi sulla sedia e lo lasciai continuare.
"Personalmente-disse dopo una specie di rantolo o sospiro- personalmente, questo mio gesto è la cosa più normale che abbia fatto finora. Mi tolgo le scarpe, ecco. Io nella vita ero prima di tutto un avvocato, uno dei migliori di questo paese, stimato e certificato dalla gente con la garanzia di Normale Cittadino Onesto. E' strano che venissero considerate per normalità tutte quelle finzioni a cui mi sottoponevo: postura ritta e sorriso da miglior cane vivente, ricevimenti con mia moglie, viaggi all'estero con la comitiva dei cosiddetti amici, cartoline di Natale, passeggiata domenicale e successiva visita alle prozie, trisavole, suocere, club degli scrittori, club dei donatori di sangue. Un mucchio di fandonie che non mi rappresentavano affatto ed io mi lasciavo trasportare e più venivo sballottato in quel vento e più mi dicevo: te lo stai facendo fare bella, Antò."
Vuotò la tazza del tè in un fiato e poi schioccò la lingua.
"Alla fine mia moglie è morta e ho pianto perchè non mi veniva proprio da piangere, nemmeno a strizzare gli occhi. Così ho traslocato. Oh... la pena che mi facevo. Fa un po' schifo, parliamoci chiaro, scoprire che la propria vita trascorsa è stato un continuo recitare. Recitare per essere un bravo figlio, un bravo marito, un bravo avvocato, uno di quegli uomini che non si fanno mettere i piedi in testa, il mago del prato ben curato". Si mise a ridere. "Tu adesso hai sedici anni, quanti...?"
"Quasi diciotto" risposi destandomi dalle nebbie del suo discorso. "Tu adesso hai diciotto anni e che ne sai... che ne sai. Sei venuta per sapere perchè camminassi scalzo e te l'ho detto: per protestare. Per protestare contro me stesso, contro le bugie che mi sono ripetuto per tutti questi mesi, anni. Per- si fermò come se avesse visto se stesso bambino in uno specchio- per... ritagliarmi la mia parte di normalità, di vera essenza, come diceva Charles Morgan. Sono io scalzo e voglio che gli altri mi vedano così e se mi chiamano pazzo, va bene, che lo gridino fino a perdere la voce."
"Puoi essere te stesso e non dirlo a nessuno" dissi piano.
"No, sarai te stesso quando gli altri ti vedranno senza una scrivania, senza un paio di scarpe e ti vedranno in quello che sei: pazzo, bugiardo, vecchio, ricattatore, opportunista. E nei loro sguardi ti rivedrai per quello che volevi, credi, senti di essere. Nei loro sguardi confermerai che hanno visto quello che sei davvero e giurerai a te stesso di essere esistito."
"Giurerai a te stesso di essere esistito" ripetei mentre mi dirigevo alla porta, mentre in silenzio me ne andavo da quella stanza lasciandomi Antonio Genda alle spalle, mentre camminavo con le mani sudate in tasca, mentre passavo davanti le porte della gente e prendevo la via di casa mia, mentre al tempo stesso mi dicevo "non è vero, un mare di stupidate", mentre mi guardavo le scarpe con la gomma bianca sporca di fango.