tratto da Le petit Chaperon Rouge di Charles Perrault
Tanti e tanti anni fa in una casa ai margini del bosco non c'erano che rampicanti schifi ossessionati dalla voglia di allungarsi fino all'infinito per succhiare dalle pareti ogni briciolo d'intonaco e di buon costume. Dentro quelle stesse pareti una madre spudorata cresceva le inquietudini della figlia cucendo abiti di colore non bianco, non rosa, ma curiosamente rosso. Quel rumore del telaio a tutte le ore svegliava Cappuccio dai suoi sogni confusi; la madre la vedeva scuotersi piagnucolando in quel mantello rosso e faceva il verso che si fa per chiamare i gatti e la bambina riprendeva l'incubo dove l'aveva lasciato.
"Cappuccio, oggi porti queste cose alla nonna." disse un giorno la mamma mentre infilava nell'ago dentro filo di cotone rosso. "Ma mamma... " "Fai quello che ti ho detto" "Ho paura nel bosco, non mi hai mai insegnato qual è la strada giusta" "Bugiarda! La strada te l'ho indicata milioni di volte" ribatté la mamma pungendosi con l'ago e dal suo polpastrello prese a sgocciolare sangue rosso. "Non me l'hai mai mostrata di persona..." disse piano Cappuccio. "Ne vogliamo fare un problema?" chiese con tono freddo la madre. "No mamma... io..." "Bene, adesso vai. Oggi passa il cacciatore per prendersi la tassa sulla sorveglianza del bosco. Devo accoglierlo come si deve." Cappuccio intese quelle parole come forse nessuna bambina della sua età avrebbe fatto. E forse era per rabbia o per ripicca che quel giorno, in quel bosco, lei non prese la strada che sua madre le aveva soltanto indicato con indifferenza dall'uscio di casa. Quel giorno, in quel bosco, Cappuccio volle sperimentare un'altra strada che a lei parve più sicura perché sconosciuta. Si disse: "Voglio andare". Mentre camminava nel buio dei cespugli fitti si ripeteva "voglio avanzare ancora". Più andava avanti e più guardava in faccia la sua inquietudine; rivedeva l'incubi delle sue notti, della sua ingenua vita così tanto macchiata da quel costante, infernale, spaventoso colore rosso. "Non ti muovere" ringhiò alle sue spalle un lupanare. "Non ti ho fatto niente" prese a piagnucolare nuovamente Cappuccio. "Stai ferma, sciocca, voglio solo farti domande" ripeté il lupanare. Cappuccio annuì fingendo tranquillità. "Dove stai andando?" "Da mia nonna, mio signore, è m-m-alata" balbettò la bambina con timore. "E' forse questa la retta via per andare a trovare la nonnina?" chiese il lupanare alzando il muso con sospetto. "Ho smarrito la retta via da molto tempo, mio signore" "Oh... non devi sai?-disse con un ghigno- Vedi, è buona cosa prendere sempre le strade note perché qualora noi volessimo imboccare quelle sconosciute, sarebbe giusto o necessario chiedersi cosa ci spinge ad abbandonare la luce per l'ombra, il noto per lo sconosciuto, il sentiero per il bosco." Cappuccio fece un inchino con la sua mantellina di colore rosso e si congedò aumentando il passo per allontanarsi da quelle domande così scomode. Arrivò a casa della nonna e chiese di entrare. Qualcuno rispose e un brivido le corse sotto la mantellina di quel perseverante colore rosso. "Vieni avanti" La bambina riconobbe la voce del lupanare, senza tuttavia riuscire ad avere il pensiero di scappare, fuggire dalla finestra con le scarpette in mano, catapultarsi nel bosco urlando. Quel che fece fu avvicinarsi al letto con passo silenzioso e impacciato. "Ciao nonna" mentì Cappuccio "Bambina mia" borbottò il lupanare da sotto la cuffia di seta bianca. Cappuccio fece un passettino sul posto e studiando il colore della sua mantella disse: "Nonna... che occhi grandi che hai quest'oggi" Il lupanare rispose: " Sono per guardare meglio le tue debolezze". Cappuccio deglutì. Poi disse: "Nonna... e che orecchie grandi che hai quest'oggi" "Sono per ascoltare meglio le tue ultime suppliche" "Nonna... -disse conoscendo già il suo destino- che bocca grande che hai quest'oggi" Il lupanare si tolse la cuffia bianca e affondate le zanne nella mantellina rossa, disse: "E' per dilaniarti definitivamente, meglio di tutti gli altri messi insieme. Puoi fidarti, bambina mia".
1 commento:
Un autonomo, coeso drammaturgicamente, ispirato ritorno ai crudeli significati, sottesi alle fiabe che venivano narrate in ambiente nobiliare all'epoca del Re Sole.
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