(Giorgio de Chirico, Ettore e Andromaca, pittura metafisica, 1973)
La notte era un ratto grigio che mordeva i polsi entrando nelle vene e risaliva il tubo di sangue fino ad arrivare al cuore. Quando il ratto arrivava al cuore, ogni cosa moriva nel suo intento d’essere e si trasformava secondo una ragione febbrile che ne mutava le forme ed i colori.
Immobile, Apollo, guardava dalla finestra i palazzi assonnati; la sua sagoma scura totalmente preda del ratto e dei suoi morsi. I ricami delle tende intagliavano la luce rossastra del lampione che tinteggiava il tavolino rotondo con le due sigarette e un orologio.
Fuori i gatti miagolavano sulle lattine schiacciate di Coca Cola mentre le falene prendevano a calci la luna e se ne andavano sulle insegne al neon del negozio di fronte. Sugli alberi infestati c’erano pipistrelli che guardavano capovolti la fine di un amore e, abituati a ribaltare quel che vedevano, pensarono di assistere all’inizio. Come uno squalo che avverte il movimento dietro di lui e famelico mostra la bocca demoniaca alla sua preda così Apollo scosso dal suo stesso sussulto si voltò di scatto e, scese le scale di marmo, andò dove il suo pensiero soltanto poteva guidarlo.
Dafne -smalto rosso e unghie corte- aspettava il treno delle 3 e 45. A pochi passi da lei c’era un uomo con una camicia strappata che cantava tip-tip-pa-ri-ra-ra e si teneva il tempo schioccando le dita. Dafne si avvicinò con il rumore irriverente delle sue scarpette di vernice e gli snocciolò qualche centesimo annerito. I topi indugiavano lungo i muri e forse aspettavano che il semaforo diventasse verde un’altra volta ancora.
Santi peccatori confessavano i loro segreti sulle pareti di un motel mentre il proprietario del bar guardava gli ubriaconi che si alzavano dai suoi sgabelli unti e mentre se ne andavano indecisi verso nuovi bicchieri, lui si gettò lo straccio sulla spalla sinistra e pensò che forse stava bene con quella vita e che, ad aver avuto un po’ di fantasia, sarebbe diventato un domatore di leoni.
E la strada correva sotto Apollo il Bell’ immortale e le luci della stazione ronzavano nel buio. Dafne non si era mai voltata dietro, ma questa volta la paura le gridò di scappare e lei rispose girando i bei capelli e le labbra mortali. Vide Apollo e si vide riflessa nei suoi occhi dove bruciavano insieme amore e frenesia. E lì, tra le fiamme di quel riflesso, si sentì prigioniera per sempre di un sentimento che il ratto della notte aveva trasformato in brama smodata. Dafne, allora, salì sul treno e si nascose tra i sedili vuoti, con il capo chino. Apollo fece in tempo a salire e il treno si mosse, poi partì veloce. E nelle luci al neon Dafne piangeva in silenzio e nella sua mente rimbalzavano piccoli cristalli di pensiero che le ricordavano tutte le altre notti in cui lei aveva amato senza amore. Si accorse che mai nella sua vita aveva dato il suo cuore a qualcuno, eppure, un cuore, sentiva di non averlo più comunque e si rispose che forse si era sgretolato a sua insaputa oppure era scomparso come uno scoglio che era diventato sabbia senza che nessun pescatore si fosse poi ricordato che pur lì c’era stato uno scoglio e non soltanto il mare.
Quando Apollo arrivò, sentì il suo odore, ma quel che vide di lei fu una farfalla rossa che si lanciava nel buio dal finestrino aperto del treno in corsa.
Immobile, Apollo, guardava dalla finestra i palazzi assonnati; la sua sagoma scura totalmente preda del ratto e dei suoi morsi. I ricami delle tende intagliavano la luce rossastra del lampione che tinteggiava il tavolino rotondo con le due sigarette e un orologio.
Fuori i gatti miagolavano sulle lattine schiacciate di Coca Cola mentre le falene prendevano a calci la luna e se ne andavano sulle insegne al neon del negozio di fronte. Sugli alberi infestati c’erano pipistrelli che guardavano capovolti la fine di un amore e, abituati a ribaltare quel che vedevano, pensarono di assistere all’inizio. Come uno squalo che avverte il movimento dietro di lui e famelico mostra la bocca demoniaca alla sua preda così Apollo scosso dal suo stesso sussulto si voltò di scatto e, scese le scale di marmo, andò dove il suo pensiero soltanto poteva guidarlo.
Dafne -smalto rosso e unghie corte- aspettava il treno delle 3 e 45. A pochi passi da lei c’era un uomo con una camicia strappata che cantava tip-tip-pa-ri-ra-ra e si teneva il tempo schioccando le dita. Dafne si avvicinò con il rumore irriverente delle sue scarpette di vernice e gli snocciolò qualche centesimo annerito. I topi indugiavano lungo i muri e forse aspettavano che il semaforo diventasse verde un’altra volta ancora.
Santi peccatori confessavano i loro segreti sulle pareti di un motel mentre il proprietario del bar guardava gli ubriaconi che si alzavano dai suoi sgabelli unti e mentre se ne andavano indecisi verso nuovi bicchieri, lui si gettò lo straccio sulla spalla sinistra e pensò che forse stava bene con quella vita e che, ad aver avuto un po’ di fantasia, sarebbe diventato un domatore di leoni.
E la strada correva sotto Apollo il Bell’ immortale e le luci della stazione ronzavano nel buio. Dafne non si era mai voltata dietro, ma questa volta la paura le gridò di scappare e lei rispose girando i bei capelli e le labbra mortali. Vide Apollo e si vide riflessa nei suoi occhi dove bruciavano insieme amore e frenesia. E lì, tra le fiamme di quel riflesso, si sentì prigioniera per sempre di un sentimento che il ratto della notte aveva trasformato in brama smodata. Dafne, allora, salì sul treno e si nascose tra i sedili vuoti, con il capo chino. Apollo fece in tempo a salire e il treno si mosse, poi partì veloce. E nelle luci al neon Dafne piangeva in silenzio e nella sua mente rimbalzavano piccoli cristalli di pensiero che le ricordavano tutte le altre notti in cui lei aveva amato senza amore. Si accorse che mai nella sua vita aveva dato il suo cuore a qualcuno, eppure, un cuore, sentiva di non averlo più comunque e si rispose che forse si era sgretolato a sua insaputa oppure era scomparso come uno scoglio che era diventato sabbia senza che nessun pescatore si fosse poi ricordato che pur lì c’era stato uno scoglio e non soltanto il mare.
Quando Apollo arrivò, sentì il suo odore, ma quel che vide di lei fu una farfalla rossa che si lanciava nel buio dal finestrino aperto del treno in corsa.
3 commenti:
Dafne e Apollo personaggi della mitologia greca trasportati ai tempi attuali. Mica male immaginarli modernamente.
Io dico che sei brava ed è molto importante esserlo alla tua età.
Grazie :)
Beh, io vorrei creare un misto di mito antico con l'atmosfera della metropoli. Ma anche lo stile, vorrei che fosse un misto tra l'eleganza aulica e la parlata dei bassi fondi. Vorrei scorticare il mondo greco e la società contemporanea fino a trovare l'osso comune. Ti faccio un esempio :
Immagina Eurialo e Niso che aspettano l'autobus con il pugno premuto sul mento rassegnato.
Loro combattono contro la mafia, mettiamo. E moriranno tra breve.
Tu ci metti i valori greci e quelli attuali. Puoi ricavarci qualcosa di bello. Difficile, molto. Non so nemmeno se riuscirei a fare una cosa simile....
Tu credo proprio di sì.
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