di Cristina Taliento
(Jeune fille se coiffant ses cheveux, Pierre-Auguste Renoir, 1894-Lehman Collection, New York )
Quella domenica mattina dell'anno 1993, in via Auguste Renoir, mi accorsi di essere cambiata. Stringevo nei denti un bastoncino di liquirizia e mi arrotolavo le maniche della camicia maschile che era appartenuta a mio padre o a mio nonno, non ricordavo. Una cascata di luce inondava la poltrona di velluto ed i miei capelli castani si illuminarono di riflessi aranciati. Ogni cosa mi apparve diversa, come se all'improvviso mi avessero liberato gli occhi da una più profonda miopia. Lasciai che le mani mi cadessero abbandonate sulle ginocchia e, appoggiata la testa allo schienale, iniziai a risalire il fiume di quel cambiamento e, quando trovai la sorgente, chiusi gli occhi per la meraviglia e li riaprii soltanto per liberare alcune lacrime che erano rimaste incagliate tra le ciglia e i ricordi.
Quella mattina, in quella stanza, io non ritrovavo più il mio vecchio essere e sapevo che, anche se l'avessi cercato sotto ogni letto della casa, avrei visto Amore. Nessuno, in quei quattordici anni di vita, mi aveva mai parlato di quel sentimento tanto forte e mi piaceva immaginare che la mia fanciullezza si era smarrita nel vento dell'innamoramento. Perciò cercavo di ricordarmi di Argo, il Ragazzo Grifone, perchè volevo gettare la mia àncora nel fiume della vita in modo da ricordarmi per sempre che fu il suo amore a farmi cambiare e non gli altri, non la gente.
Argo aveva sedici anni ed era il principe dei rapaci. Non c'era poiana, falco o sparviero che non rispondesse al suo richiamo. La prima volta che lo vidi nel bosco era circondato da una moltitudine di ali battenti e lui cantava una canzone antica che io non conoscevo. Pensai subito ad un sogno poichè non mi era mai capitato di vedere nella realtà tanta perfezione, ma rimasi ferma su quella terra che tante volte mi aveva deluso e che, invece, questa volta mi incantava. Argo mi venne incontro con le braccia occuppate dai rapaci e non indietreggiai, anche se avevo paura. Nei suoi occhi vidi la Bellezza e lo smarrimento per lo stare a terra e non nei cieli.
"Un giorno volerò con loro" mi disse ed io capii che stava dicendo la verità. Pensai che se mi avesse chiesto di volare con lui, nel cielo, con un paio d'ali, io non avrei fatto domande e l'avrei seguito, ma prima che potessi annuire arrivò il Grifone, l'uccello che più nell'indole gli assomigliava. Nell'occhio del rapace vidi l'anima di Argo, ma abbassai lo sguardo perchè non potevo sopportare le emozioni che quella perfezione riusciva a scatenare. Fu come se quel pomeriggio io, in piedi, con le mani gelate nelle tasche del cappotto, avessi amato qualcuno con ogni probabilità di fallimento. E in quel momento capii che sapere il suo vero nome, quello di sua madre o del suo paese, non sarebbe servito a nulla. Niente che coinvolgesse la superficilaità del mondo apparteneva a quel legame. Del pomeriggio di sole restò un mozzicone bruciacchiato di tramonto. Il Grifone se ne andò girando lentamente il collo ed io non dissi niente. Poi lo vidi volare incontro al tramonto e nella strada del ritorno guardai il bosco con uno sguardo che, se all'andata, puntava il sentiero, dopo, si perdeva in dettagli che rifrangevano la bellezza del mondo per farne colori, suoni ed alberi.