di Cristina Taliento
In un punto
imprecisato della sua vita, l’Adolescente Arrogante, come le piaceva definirsi,
si trasferì in uno strano posto di provincia, un luogo di villeggiatura, nella
fattispecie un centro termale per vecchi. C’è un insolito sobbalzo dell’Io quando
dalla Città ci si trasferisce in Provincia, è come se si ritornasse a guardarsi
dentro, in solitudine, più da vicino, in silenzio. Questo le fu chiaro fin da
subito, quasi. Negli ultimi anni l’Adolescente Arrogante si era appiattita
nascondendosi nel furibondo casino della Città. Non era Città solo quel denso
aggrovigliarsi di vite e finestre, strade, uffici, semafori, clacson; erano
Città le Voci, quel fitto, fittissimo vociare di opinioni, ordinanze, divieti, ammende,
programmi radio, dichiarazioni di guerra, titoli squillanti, le mode, le
consuetudini, la pandemia. A piano a piano l’Adolescente Arrogante non aveva
più voluto, potuto parlare né con gli altri né con sé stessa, dal momento che
tutto quello che si poteva dire era stato detto e non rimanevano altro che le
stelle sui tetti delle case.
L’Arroganza. Facciamo
un passo indietro. Che cosa era sempre stata per lei l’Arroganza: per lei, l’Arroganza
era ciò che per Eraclito era il Daimon, il demone che è in ognuno, l’argento,
la forza, quello che lasci agli altri di te.
“Siate prudenti
come serpenti e semplici come colombe”. Ma siate anche Arroganti come piccoli arrampicatori,
come quei vermi minuscoli che scavano interi imperi sottoterra pensando di
potercela fare, non soccombete, non accontentatevi della sola Logica, contestate,
andate dappertutto e chiedete, immaginate soprattutto e scrivete, raccontate, perché
non puoi donare il tuo Daimon se non lo sai raccontare.
Col tempo la sua
bella Arroganza aveva perso lucentezza per tramutarsi in una strana forma di
pacata Accondiscendenza. A voler trovare una causa, ciò poteva essere semplicemente
spiegato con il passaggio all’età adulta. Da Adolescente Arrogante era
diventata un’Adulta Accondiscendente.
L’Accondiscendenza.
Che cosa era per lei: osservare la realtà, ogni dettaglio e trovarlo,
effettivamente, al di là di tutto abbastanza giusto, diciamo ben collocato. Dietro
un bel paio di occhiali spessi, ascoltava le risposte del Mondo, tutte quelle
voci, senza avere nulla da obiettare veramente, quasi come se ogni frase, ogni
affermazione, in fin dei conti, avesse la sua Verità. Le Cose, le Opinioni, avevano tutta l’Arroganza
di stare ben fisse al loro posto. Era lei, a spostarsi, a piegarsi per cambiare
Prospettiva ed era come danzare, un fluido, continuo adattamento che finì, in quegli
anni, per venirle naturale, siccome, dopotutto, si compiaceva di essersi elevata
alla moltitudine delle cose, senza trovare mai barriere, ma solo correnti da
assecondare, osservare, ascoltare, capire, senza contraddire.
Tuttavia, le capitò
di rendersi conto che quell’Accondiscendenza non era il traguardo della sua formazione,
né la naturale evoluzione di quella acerba, impacciata Arroganza. Che cos’era, dunque.
Ragnatele, maledette ragnatele! Ecco cos’era.
Allora, dicevamo…
la Provincia. Per l’Adulta Accondiscendente tutte le province si assomigliano tra
di loro per le sensazioni più disparate che possono suscitare. Di seguito
alcune immagini comuni che si hanno in quasi tutte le province del Mondo con le
dovute differenze culturali: l’odore di polpette la domenica per le strade, i
ragazzini con lo zaino in spalla che vanno in stazione o alla fermata del bus,
i vecchi con la camicia azzurrina, le auto datate, i gatti che attraversano le
strade deserte. Tutte queste scene, questi odori, si possono avere anche in
Città, ma in Provincia è diverso. Lo sapete, è diverso.
Si trovò, dunque, in questa Provincia, che non era quella in cui era nata e cresciuta, ma aveva, per le sopra citate ragioni, un che di familiare. Era, come abbiamo già detto, uno strano posto, simile a un set cinematografico alla Wes Anderson: tra piccole case e viali alberati giganteggiavano vecchi hotel di lusso, alcuni ancora in funzione, altri abbandonati. La sera, al crepuscolo, le enormi scritte piazzate sul tetto degli hotel si stagliavano nel tramonto stellato, tra lo scarabocchio di una luna crescente e le antenne paraboliche, issando nel Cielo quell’audace gusto anni 90’ con nomi come “Metropole”, “Continental”, “Grand Hotel Des Bains”.
I gatti attraversavano schivi le strade deserte. Era tornata.
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