29/10/17

Panco del Servizio Civile - Ritratti di persone

di Cristina Taliento


Panco del Servizio Civile lavorava ogni giorno con gli ex detenuti, guadagnava pochi soldi al mese, aveva ricominciato a fumare e non chiedeva mai per quale motivo quegli altri fossero finiti dentro.
Si era laureato in Medicina un giorno d’ottobre. Pioveva. Quel giorno non c’era che sua zia, il nonno e il vicino di casa. Gli avevano battuto le mani, poi  la zia aveva detto scuotendo impaziente l’ombrello: “Andiamo che fa freddo”. E Panco del Servizio Civile aveva guardato le foglie gialle e i coriandoli per terra. Comunque, nè la sua condizione affettiva, nè la mancanza di supporto erano i motivi per cui Panco avesse deciso -così, senza molte chiacchiere- di posticipare l’esame di abilitazione alla professione medica e dedicarsi per un anno, trecentosessanta giorni e venti di permesso, a lavori socialmente utili.
Tutto quello che doveva fare consisteva nell’aiutare l’ex detenuto a incontrare la sua famiglia o portargli vino, frutta, aiutarlo a reinserirsi nella quotidianità.
Alto, magro e senza amici, Panco non chiedeva di meglio che essere una spalla, discreta, silenziosa, qualcuno con cui zoppicare.

A dire il vero non so perché ora stia qui a narrare di Panco in modo così superficiale. Farei meglio a scrivere due versi. Tipo:
La cucina di domenica 
Brilla bianca
Sotto un raggio di nuvola
Mi domando come mai
I gatti siano 
Creature paragonabili
All’edera.

Ma non importa. Panco leggeva la Divina Commedia. Aveva in tasca un fazzoletto di stoffa.
“Cosa se ne fa un giovane di un fazzoletto di stoffa?” gli aveva chiesto un vecchio spacciatore.
“Non lo so, per asciugarmi il naso se cola” aveva detto.
E lo spacciatore si era messo a ridere.

“Perché lo fai?”
“Fare cosa?”
“Perdere il tuo tempo qui”
“Non perdo il mio tempo”
“Stai cercando qualcosa?”
Panco, seduto sulla poltrona di velluto verde di proprietà dell’Associazione, con la faccia mescolata come un impasto da un cucchiaio di legno, aveva risposto: “Non sto cercando niente”.

Diversamente dagli altri ragazzi del Servizio Civile, aitanti, energici e con una ottimistica soluzione per tutto, Panco spesso non sapeva che pesci prendere. La sua pasta al pomodoro era sempre un po’ scotta e non sapendo giustificarsi, mangiava gli spaghetti ascoltando quello che l’altro diceva.
Sparecchiava. Lavava i piatti. Alle 19 tornava a casa. Lo aspettavano la zia e il nonno che parlavano di guerre, disastri ambientali. La zia si riferiva sempre a situazioni attuali, come ad esempio il conflitto siriano, la Corea del Nord. Il nonno le dava ragione e aggiungeva qualcosa su Alsazia e Lorena.
Panco si sedeva a leggere il giornale o le nuove linee guida di una malattia.

Come ritratto questo non ha un finale, non nel senso catartico del termine. Se stesse o meno cercando qualcosa, una risposta, un segno, nessuno lo seppe mai, nè io, nè gli ex detenuti, tantomeno sua zia che iniziava ad avere, tra l’altro, un principio di cataratta.
Quello che so è che dopo il Servizio Civile, Panco iniziò a frequentare un ambulatorio di un medico di medicina generale.
Molti dicevano che fosse un tipo apatico, indeciso, senza vocazione. Io non lo so. Secondo me, era un  ragazzo tranquillo.




1 commento:

Tomaso ha detto...

Cara Cristina, che racconto che entra nel cuore sentendo una storia che di sacrificio è stata al massimo.
Ciao e buona domenica con un forte abbraccio e un sorriso:-)
Tomaso