Il sabato mattina il Felicitiere camminava fino al parco percorrendo i viali alberati dell'ospedale, usciva dal cancello principale che dava su Via dei Gendarmi a Cavallo e da lì, svoltava a destra per prendere il marciapiede che correva lungo il fiume. A metà strada, si fermava all'edicola del signor Bettati, dava uno sguardo alle copertine delle riviste di moda, allungava il collo per leggere i titoli del Sole 24 Ore, poi, in un sorriso, chiedeva con tono risoluto, come si sarebbe chiesto un hamburger, il D di Repubblica con Repubblica, ovviamente. Ogni sabato mattina il signor Bettati le ricordava che non c'era bisogno di specificarlo, che gli allegati sono sempre assicurati insieme al giornale e lei rispondeva, prendendo le monete dalla tasca: "Questo lo so benissimo, la ringrazio!". C'era un punto fisso nell'abitudine, lei l'aveva sempre saputo. Le azioni, le parole ripetute, rimangono come un'impronta in quello che siamo. Sono puntelli della memoria, l'affermazione universale delle cose che ci piace fare.
Con i giornali sotto il braccio, raggiungeva il parco. Si fermava, constatava che le chiome degli alberi erano cresciute più in altezza che in larghezza dall'ultima volta che era stata lì, che le camicie del giostraio erano sempre meno stirate e che il Comune, a giudicare dalla media di mozziconi di sigarette per terra, doveva aver licenziato almeno altri due spazzini nel giro del mese di maggio. Poi, pensando ai figli degli spazzini, si sedeva sulla panchina costruita in memoria di un certo Mario Bussola, partigiano italiano, nato nel 1912 e morto nel 1993, "che amava raccontare a coloro che avessero voluto sedersi al suo fianco, storie d'amore e storie di guerra". Per questo, il Felicitiere non si sedeva mai al centro della panchina, ma soltanto a destra o a sinistra, di modo che, se a quel Mario Bussola fosse venuta la voglia di tornare dal suo viaggio, avrebbe non solo trovato libero il suo posto, ma vi avrebbe visto, lì seduto, anche un interlocutore con il giornale chiuso sulle ginocchia e la testa tra le nuvole. In realtà, "oh no, si fermi, cara narratrice- avrebbe detto Mario, da lassù, con la divisa da ufficiale e tre medaglie sul petto- quella lì non è una testa tra le nuvole! Guardi meglio, signorina! Non le pare che quegli occhi apparentemente persi, stiano, al contrario, fissando innumerevoli particolari traendone le più argute e men che mai evidenti considerazioni?". Si sarebbe potuto, in effetti, supporre di si. Con la testa inclinata leggermente indietro, le mani intrecciate sulla camicia a righe bianche e verdi, ad un osservatore poco allenato, quei pensieri nella sua testa si sarebbero potuti collegare, con facilità, a sogni. Tuttavia, un vero osservatore, vi avrebbe riconosciuto in quello sguardo, il vero sguardo degli uomini di scienza che guardano con curiosità e innocenza insetti, rughe e fili d'erba e, poi, con la stessa voglia di giocare, raccontano quello che hanno visto in formule, grafici, mappe del tesoro segnate da x e pi greco.
Pur amando i sogni, in quel momento il Felicitiere non sognava affatto. Guardava, invece, il palloncino a forma di zebra dell'uomo che da anni, sempre in quel metro quadro, curvo, sotto il sole, sotto la neve, vendeva elio, He, numero 2 della tavola periodica degli elementi. "Gas nobile" mormorò il Felicitiere e si ricordò, in un lampo, di un'estate di quindici anni prima, passata su una veranda circondata da alberi di limone, dove lei, sdraiata sul dondolo di sua nonna, preparava l'esame di chimica, lasciando il libro solo per scrivere, a testa in giù, qualche poesia sui pappagalli e sul Tempo.
Il venditore di palloncini non era stato sempre così triste. Il Felicitiere pensò che doveva esserci anche di lui, una foto di nozze, una risata ancora nel vento. Lentamente la sua schiena si era piegata e più l'elio lo tirava verso l'alto, più la sua gobba costringeva la sua testa a guardare in basso, a guardarsi le scarpe, mentre, in quel parco, le stagioni si susseguivano così distintamente l'una dall'altra. E non era tanto il non saper percepire la neve o la pioggia ad estraniarlo dal mondo, perché anche guardando in basso ci si poteva accorgere del clima, ma, tutt'al più, a mancare dalla sua testa e dalla sua bocca era quel vitale e presente "sta piovendo!" oppure "sta nevicando!".
Al centro del parco e al centro della città, lui era finito con l'essere fuori dallo spazio, prima di tutto, fuori da se stesso. Le rughe avevano seguito non l'andamento del sorriso, ma quello del broncio. Le guance, le spalle, le ginocchia sembravano tendere insieme verso il basso ed era curioso notare come quel mazzo di palloncini contrastasse in leggerezza e spirito con l'immagine di quel vecchio stanco dei colori e dei bambini.
"Posso avere il lupo?'" chiese il Felicitiere facendosi ombra sugli occhi con una mano, mentre con l'altra indicava il palloncino.
Il venditore di palloncini, senza guardare chi avesse parlato, cercò il filo dal mazzo, lo seguì dall'alto verso il basso e vide che quello che aveva in mano non era il filo del lupo, ma del gabbiano. Si passò un dito sotto il naso, storse la bocca. Il Felicitiere rimase in silenzio per un attimo, ma poi disse:
"Va bene anche il gabbiano"
Il vecchio non rispose, ma continuò a cercare il filo. Poi ne tirò uno. Il lupo si mosse:
"E' questo" mormorò.
"Si"
Prese la forbice e ci mise un poco per infilarvi le dita. Poi tagliò lo spago, prese il palloncino e lo diede al Felicitiere.
"Grazie. Quant'è?"
"Sono tre e cinquanta"
"Ecco qui" disse il Felicitiere allungando una banconota da cinque. "Sono le nuove banconote da cinque. Non le ricordano un po' il Monopoli?"
"Il Monopoli?" biascicò il vecchio.
"Ci giocavo quand'ero piccola..."
"Mmm! Quanti anni ha?"
"Trentaquattro"
"Beh, non ha tutta la vita davanti, ma quasi..." disse mentre rimetteva la forbice nel marsupio appeso alla sedia.
"Lei no?"
"No, io no"
"Perchè no?"
"Perchè ho sessant'anni, buon Dio!" disse il venditore di palloncini guardandola dietro la fronte corrugata.
"Winston Churchill a sessant'anni diventava primo ministro"
"Sciocchezze!"
"Esatto, aveva quasi settant'anni"
"Oh, signorina! Ma cosa vuole da me?"
"Lei crede che io non l'abbia notato questo male di vivere che si porta addosso come un peso al piede? Lei crede davvero di stare bene così ridotto, così corroso da tanto disamore?"
"E lei che cazzo crede?- chiese il vecchio gridando a bassa voce- Crede che si possa guarire dall'oggi al domani dai tanti Novembre passati in questo parco a vendere palloncini, dalle delusioni? E' una psicologa o roba simile? Beh io vi dirò che voi matti della gioia non siete molto diversi dai rappresentanti di pastiglie brucia grassi o, addirittura, dagli spacciatori di erba. Credete di vendere i vostri sorrisi, le vostre smancerie, invece non conoscete la vita. Non sapete quando l'abitudine vi mangia le ore e i mesi. E la chiamano abitudine, mentre per voi è la vostra morte e per gli altri soltanto un mazzo di palloncini di elio colorati".
Il Felicitiere guardò in basso.
"Non è strano che prendiamo a noia le cose che un tempo abbiamo amato così tanto?" chiese, poi al vecchio.
"No, non mi sembra strano. Per niente"
"Invece è proprio buffo" disse il Felicitiere con lo sguardo ipnotizzato tra gli alberi.
"La prima volta di tutto è unica e sola. Tutto, dopo, è assuefazione. Noia"
"Bisognerebbe introdurre, ogni volta, delle varianti"
"... O sbarazzarsi di ciò che non varia da tempo!" esclamò il vecchio e a quel punto un lampo di vita attraversò il suo sguardo e il Felicitiere lo vide. Lo vide, lo prese, ne fece l'antidoto, lo trasformò in parole e disse:
"Quanti palloncini sono?"
"Venti"
"Quanto fa venti per tre e cinquanta?"
"Settanta"
"Credo di averli!" disse il Felicitiere cercando nella borsa. "Ecco a lei!"
"Ma che diav..."
"Avanti! Tagli il filo! Tagli tutti i fili! Li tagli, subito!" disse mettendogli la forbice e i soldi in mano.
"Oh Gesù, ti prego... è una matta"
"Sarò matta, sarò colpevole pur di farvi cambiare idea. Su!"
Il vecchio, questa volta, si infilò le forbici più velocemente, tagliò il primo palloncino. Quello se ne volò via. Era una rana. I bambini lì intorno iniziarono a guardare in alto sorridendo e chiamando i loro fratelli.
"Li tagli tutti, non sarà difficile". Anche il vecchio sembrava un bambino mentre guardava volare tutti quei palloncini.
"Lei non era questi palloncini da parecchio tempo. Non erano la sua abitudine! Erano quello che la faceva restare di più a terra!"
"Ma... ma..." continuava a dire il vecchio, però le sue mani continuavano a tagliare i fili.
Quando tutti i palloncini volavano nel cielo e la rana era la più lontana, il vecchio si mise le mani in tasca, poi con una si grattò la testa. E fece per andarsene.
"Dove va adesso?" chiese il Felicitiere, che se ne stava ferma accanto alla sedia dove prima erano legati i palloncini.
"Vado a chiedere al mio amico Nino se per caso ha bisogno di una mano con la ferramenta..." rispose confuso.
"Ehi! Erano solo dei palloncini! Se vuole può ricomprarli e poi rinvenderli!" disse il Felicitiere per metterlo alla prova.
"Forse si. Forse no...- rispose il vecchio venditore e poi si avvicinò a lei e le ridiede i soldi dei palloncini- Credo che questi siano suoi perchè quei palloncini erano cazzi miei. Sbarazzarmi di loro, intendo"
"Grazie" disse il Felicitiere prima di tornare alla panchina in memoria di Mario Bussola.