di Cristina Taliento
(Joan of Arc, Sir John Everett Millais, 1867, oil on canvas, Private Collection)
Nata nel 1975, figlia di Gianni e Vittoria Penna, si chiamava Isabella o Arabella Penna, non ricordo bene. Comunque, abbreviato: Bella Penna. E, in effetti, sapeva scrivere, la ragazza. Alle elementari i bambini la prendevano in giro canticchiando: "Mi passi una penna, Penna? Ah ah ah". Cose così. Ma alle medie qualcuno si accorse in un lampo di genio che poteva sembrare buffo quel nome, Isabella Penna, Penna Bella... Bella Penna! Una volta, non vi dico, la accusarono di aver copiato ad un compito d'italiano. "Bella Penna!- urlò la professoressa sbattendo sotto il suo naso un foglio con sopra un dieci infuocato seguito da un punto interrogativo- Questa non è farina del tuo sacco. Fin troppo evidente! Una ragazzina della tua età non scrive così, sei un'imbrogliona!". Era un tema di seconda media sull'animale domestico. Sua madre era allergica al pelo del gatto, così s'inventò tutto. Parlò di un certo siamese chiamato Dante, una specie di gatto pirata con un orecchio tagliato e l'indole poetica. In realtà il gatto di suo zio, Lucio, aveva un'infezione acuta (da stafilococchi, forse) che gli aveva mangiato le cartilagini, ma lei scrisse che si era trattato di un'amputazione volontaria per ostentare il potere sul territorio. Non pianse. Anzi, deglutì e poi disse: "Sono lusingata che lei, professoressa, la veda in questo modo perchè giudica incredibile che qualcuno della mia età possa aver scritto quel compito. Lei, così, mi eleva di ben 10 Fahrenheit sopra la media. La ringrazio, ma forse sta esagerando un pochino. Non sono poi questa grande penna". Jack Pavimento scoppiò a ridere andando indietro con la sedia. "Pavimento! Fuori, immediatamente!". Senza smettere di ridere si alzò e prima di uscire, si aggrappò alla porta e mandò un bacio a Bella Penna mentre la professoressa, girata di spalle, si sistemava i capelli che, per l'affanno, le erano scivolati sul volto.
A quattordici anni vinse quattro premi di concorsi di scrittura per adulti. I suoi genitori, Gianni e Vittoria Penna, come di sopra, incrociarono più volte le braccia annuendo stupiti. Bella non leggeva molto, ma si sparse la voce che fosse una scrittrice, un'intenditrice di parole, insomma, e allora non c'era compleanno in cui non le regalassero interi carrelli di libri nuovi e usati, bestseller e, per lo più, classici. Ma un giorno era appoggiata alla lavatrice e leggeva Voltaire ed era un giorno in cui aveva pensato troppo e guardò prima la lavatrice, poi Voltaire. Le parole... i pensieri. Poteva riempirsi di sole parole una vita? Si ricordò di Flaubert o di Proust. Intere giornate in una stanza a scrivere mentre i fiumi continuavano a scorrere sulla fiducia senza che la vista potesse affermarlo con certezza. Uno sguardo, invece, sempre chino sulla carta, sul riflesso della propria testa. Poteva una vita auto-costruirsi, auto-fabbricarsi? Non era speculazione, quella? Intanto, i vestiti venivano centrifugati e scorreva acqua nei tubi. Chum chum chum. Immaginò la sua lapide. Giace qui: Bella Penna, bel sorriso, bella scema. E se il talento, più che essere un dono, fosse una condanna? Gli incompetenti, pensò, sono liberi di provare ciò che vogliono e a furia di tentare, poi, finisce che provano tutto e muoiono felici, molto più felici di me che per anni non ho fatto altro che scrivere convinta di saperlo fare bene.
"Vabbè- disse Jack Pavimento che in quei giorni ce l'aveva sempre intorno- mica tu scrivi perchè credi di saperlo fare bene. Altrimenti laveresti sempre e solo piatti. Anche quelli li fai bene"
"Che c'entra- rispose Bella Penna appoggiando Voltaire sulla lavatrice- se è per questo non scrivo nemmeno per la gente o perchè la gente pensa che lo faccia bene"
"E perchè scrivi allora? Se ti fossi chiamata, che so, Gertrude Penna, avresti scritto?"
"Si. No. Boh. Forse. Dipende. Io scrivo per necessità. E non so cosa sia il dannato blocco dello scrittore perchè per me non è un lavoro, nè devo cercare gli argomenti. Io potrei parlarti per milleduecento pagine dell'amore che potrebbe nascere tra questa lavatrice e il libro di Voltaire e di tutti i problemi sessuali che si potrebbero creare data l'impossibile interfecondità tra questi oggetti. Beh, e se io ti dicessi che, alla fine, quest'ostacolo verrebbe superato? Se io ti scrivessi che il modo lo si troverebbe comunque?"
"E quindi, ti basterebbe addomesticare l'indole narrante" la buttò Jack Pavimento con disinvoltura.
"Ma prima...-Bella Penna sorrise- prima, quest'indole di cantastorie, dovrei accettarla e io non sono questa. Non sono il mio talento, Jack. Non sono il mio nome".
"Possiamo essere come Desmond e Molly Jones, se vuoi. E girare il mondo senza scrivere mai. Solo vita e attimi veri"
"Io non mi chiamo Molly..." disse Bella Penna alzando le spalle.
"Be', possiamo fare finta"
"Ma, poi, si finirebbe per vivere comunque di fantasia"
"Si, ma pensaci: si vivrebbe tante volte e tante persone in una sola. E in quella moltitudine saresti proprio tu, saresti sempre Bella Penna. C'è più identità nella totalità che nella singolarità".
"Si, ma pensaci: si vivrebbe tante volte e tante persone in una sola. E in quella moltitudine saresti proprio tu, saresti sempre Bella Penna. C'è più identità nella totalità che nella singolarità".
"Okay, va bene, allora" decise Bella Penna portandosi i capelli dietro le orecchie.
"Okay, Molly".
Quattro anni da Molly dopo e lei, in fondo, si era trovata bene. Era bastato che qualcuno l'avesse chiamata con un nome diverso, l'avesse liberata dal suo destino mostrandole sia le altre strade che quella stessa. E Bella Penna o Molly, qual dir si voglia, aveva camminato molto, aveva bevuto molti caffè piangendo, ridendo e poi si era detta, che, forse, c'era una certa coerenza nel talento di ciascuno. Per anni aveva considerato la scrittura come una malattia esistenziale, sfuggendo nel pragmatismo della matematica e delle scienze. Ma poi, proprio studiando il corpo e la logica, aveva capito che nell'uomo c'è più spazio di quanto si possa credere e che le limitazioni valgono, non tanto per gli incompetenti, quanto per gli uomini privi di fantasia. Ci voleva immaginazione, infatti, secondo lei, per accettare il pensiero che si poteva essere tante cose in una vita. Un essere tante cose che non aveva a che vedere con la divisione oraria del giorno, nè con la divisione delle personalità. Si poteva ingrandirne una sola arricchendola senza settorializzare le conoscenze. Bella Penna capì, con l'aiuto di Jack Pavimento, che avrebbe scritto ancora, ma avrebbe fatto anche le altre cose che amava. Smise di essere Molly. Tuttavia, non ritornò a chiamarsi Bella Penna. Scelse il suo nome intero, Isabella o Arabella Penna. Quale dei due non ricordo poichè quella non è la parte della storia che mi rimase impressa. In quella parte di storia (non che questa sia una storia...) la signorina Penna camminava già per la sua strada, troppo lontana perchè arrivassi a vederla.