(Gli scolari, Felice Casorati, 1928, olio su tavola, Galleria Civica d'Arte, Palermo)
Accadeva che barattassi la teoria per l'esperienza e che interrompessi gli astratti e pazienti studi per andare a trovare un chimico, una specie di saggio pelle e ossa con la barba bianca e la sciarpa intorno al collo anche in casa. Non aveva mai insegnato, ma io e gli altri lo chiamavamo professore perché a guardarlo non ci sentivamo di rivolgerci a lui nè con signore o dottore, nè solamente con prof. Professore, quest'esercizio che mi ha assegnato... Professore, questo passaggio, così. Questo punto qui, io non so come fare... ho creduto per un attimo... no, non poteva essere giusto. Poi un giorno- pioveva, i capelli umidi- dissi: "Professore, il risultato che mi ha dato è sbagliato, perché il mio procedimento è giusto e ho fatto i calcoli sette volte e ne sono stra-sicura" . Appena lo dissi mi pentii perchè lo conoscevo e anche se era girato di spalle in piedi alle mie spalle, io la vedevo quella metà di sorriso dove si sarebbe dovuta specchiare la mia faccia e pensai che doveva sembrare bella, a quel punto, lì riflessa, la mia arroganza. E allora aggiunsi per non sembrare troppo saccente che poteva esserci un piccolo sbaglio oppure uno troppo grande per essere visto nel suo insieme. Come suonava ancora più sciocca quella spiegazione davanti ai suoi libri, poi...
Silenzio. Scartò una caramella. Doveva essere una Rossana, carta rossa e scritta bianca, gusto miele. Non faceva che scartare caramelle Rossana durante quei lunghi silenzi in cui aspettavo un suo chiarimento e, non sapendo che fare, ricontrollavo io stessa. Guardavo la gigantesca tavola periodica incorniciata sopra la scrivania. Il mercurio. Simbolo: Hg. Mercury. Freddy Mercury. Freddy Hg Mercury. Freddy Hedgehog Mercury... Poi si avvicinò all'improvviso e restando in piedi, senza nemmeno aspettare due secondi, sbatté il dito indice su un punto preciso del foglio e disse: "Qua. Che hai combinato". Che non suonava proprio come una domanda. Avvicinai la testa al foglio e dissi: "Qui?". "Questo numero, si". "Ho approssimato".
"Uh!" esclamava e già si allontanava verso un mobile su cui erano impilati alcuni suoi fogli. Era un esercizio lungo che mi aveva dettato l'ultima volta che ci eravamo visti.
"Non è quello il punto. Me ne sarei accorta se il risultato si fosse avvicinato di un po', ma..."
"Ma! Ma! Stai sempre a dire ma, senza neanche sapere che dire. Ti devo chiamare La-comiziante. Hai fatto sessanta e passa approssimazioni su questi fogli e ti meravigli di essere in alto mare con il risultato! Che ti insegnano a scuola?"
Senza fiatare presi la matita e ricominciai a riscrivere daccapo numeri lunghissimi e, a mio avviso, inutili.
"Non mi piace che usi la matita. Correggi con la penna rossa altrimenti non imparerai mai". Feci come aveva detto senza mai alzare le sopracciglia anche se sapevo che non era un errore e nessun professore mi avrebbe mai abbassato il voto per quello.
"L'errore cresce al crescere delle approssimazioni e la Verità si allontana con le parole degli idioti".
Freddy Hg Mercury. Mi veniva da ridere.
"Gli uomini approssimano, non fanno altro che approssimare. E anche i migliori eh, non ti illudere! Approssimano un geoide a una sfera, approssimano l'individuo all'umanità, la paprika al peperoncino e se lo fanno, lo fanno per difetto oppure per eccesso. E se è per difetto sono atei, se è per eccesso evvivano gli angeli e i santi e il Paradiso! Ma io dico, non si potrebbero lasciare tutti i numeri dietro la virgola e tutt'al più comprare quaderni più spessi e teste tanto spaziose da riuscire a contenere la precisione senza tuttavia escludere il dubbio?"
Silenzio. Scartò una caramella. Doveva essere una Rossana, carta rossa e scritta bianca, gusto miele. Non faceva che scartare caramelle Rossana durante quei lunghi silenzi in cui aspettavo un suo chiarimento e, non sapendo che fare, ricontrollavo io stessa. Guardavo la gigantesca tavola periodica incorniciata sopra la scrivania. Il mercurio. Simbolo: Hg. Mercury. Freddy Mercury. Freddy Hg Mercury. Freddy Hedgehog Mercury... Poi si avvicinò all'improvviso e restando in piedi, senza nemmeno aspettare due secondi, sbatté il dito indice su un punto preciso del foglio e disse: "Qua. Che hai combinato". Che non suonava proprio come una domanda. Avvicinai la testa al foglio e dissi: "Qui?". "Questo numero, si". "Ho approssimato".
"Uh!" esclamava e già si allontanava verso un mobile su cui erano impilati alcuni suoi fogli. Era un esercizio lungo che mi aveva dettato l'ultima volta che ci eravamo visti.
"Non è quello il punto. Me ne sarei accorta se il risultato si fosse avvicinato di un po', ma..."
"Ma! Ma! Stai sempre a dire ma, senza neanche sapere che dire. Ti devo chiamare La-comiziante. Hai fatto sessanta e passa approssimazioni su questi fogli e ti meravigli di essere in alto mare con il risultato! Che ti insegnano a scuola?"
Senza fiatare presi la matita e ricominciai a riscrivere daccapo numeri lunghissimi e, a mio avviso, inutili.
"Non mi piace che usi la matita. Correggi con la penna rossa altrimenti non imparerai mai". Feci come aveva detto senza mai alzare le sopracciglia anche se sapevo che non era un errore e nessun professore mi avrebbe mai abbassato il voto per quello.
"L'errore cresce al crescere delle approssimazioni e la Verità si allontana con le parole degli idioti".
Freddy Hg Mercury. Mi veniva da ridere.
"Gli uomini approssimano, non fanno altro che approssimare. E anche i migliori eh, non ti illudere! Approssimano un geoide a una sfera, approssimano l'individuo all'umanità, la paprika al peperoncino e se lo fanno, lo fanno per difetto oppure per eccesso. E se è per difetto sono atei, se è per eccesso evvivano gli angeli e i santi e il Paradiso! Ma io dico, non si potrebbero lasciare tutti i numeri dietro la virgola e tutt'al più comprare quaderni più spessi e teste tanto spaziose da riuscire a contenere la precisione senza tuttavia escludere il dubbio?"
Lo ascoltavo con la penna rossa in mano, ma poi la penna cadeva sul foglio e mettevo le mani in tasca. Mi sentivo come una bambina di seconda elementare a cui è stato richiesto di trovare alcune parole contenenti il suono -gn e che, nel chiedere aiuto a un grande, si sente dettare esempi come agnostico, ignominia, gnoseologia, antesignano al posto di gnomo o, semmai, di agnello. Che cosa potevo saperne io.
"Ho paura che i quaderni di cui parla non siano in commercio, professore... e che certe teste..." mi permettevo di dire- che certe teste non siano state contemplate nella Genesi". E mi pentivo per averlo detto.
Sapevo, come si sanno alcune cose segrete mai dette, che era un uomo pieno di dubbi, un uomo nudo e viveva in quella sua stanza come per dire l'America. Un porto di mare: contraddizioni che urtavano le spalle a pensieri filosofici discriminati, ancore di ferro nero inchiodate sulle sue scarpe di scienziato stanco, talenti sospesi tra l'infinito e il limite, desideri di grandezza coloniale per grandi insicurezze, amori rinnegati in nome dello Studio, canzoni di cantautori, menestrelli stonati e poi di colpo Schubert, ombre di fede, Darwin, gli extraterrestri, i fullereni, la morte, il dubbio di nuovo, il non aver mai pianto, la collezione di minerali, il ricordo del primo pugno sul naso, il primo "niente", il primo "riprovo", il secondo "niente". E lui che passava le giornate sulle carte e lui che per le feste si trasferiva in biblioteca, che non accettava di non sapere, che imprecava nel sentirsi riconoscere la conoscenza. "Ma quale conoscenza e conoscenza... ". Per questo io non gli dicevo mai che era un grande o, nel mio lessico, una bomba. Però aspettavo che fossero gli altri a dirlo. Per esempio una volta venne alle sette un ragazzo alto con gli occhiali e aveva la lezione dopo la mia. Disse: "Professore, ho passato l'esame, lei è un genio, lei sa tutto, lei è la Scienza scesa in terra".
E sentivo che lui borbottava qualcosa, sempre girato verso il mobile dove erano disposti i suoi appunti. Il ragazzo con gli occhiali mi domandava a bassa voce che cosa avesse detto da laggiù e io alzavo le spalle. Ma lo sapevo che aveva detto a se stesso: "Un somaro... un somaro...".
2 commenti:
sono rimasta rapita da questo brano che ha un pò il profumo di un libro antico.....
il pasticciotto è buono.... ma vogliamo parlare dei rustici, calzoni e pucce?! gli altri se le sognano
proprio oggi ho accompagnato mia madre in tribunale e dopo abbiamo preso un rustico proprio di fronte l'anfiteatro, da Alvino. Il massimo!
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