di Cristina Taliento
...e sarà dedicato ai terrestri soltanto
(Totten Bryce, Ninolou, Alexander Jansson, 2006)
Un giorno scriverò questa storia. E poi potrò prendere per sempre il mare oppure un super gelato con tre gusti più panna. Forse entrambe le cose se il capitano della nave che accetta nuovi marinai è anche il capitano della Grande Gelatiera Baltica. Ci sono buone possibilità che per quel giorno avrò superato i quarantacinque anni e i miei capelli si saranno abbastanza ingrigiti senza contare le rughe e una tosse cronica per via della pipa. Si, perché nel frattempo avrò iniziato a fumare, anzi a quarantacinque anni sarò già con un quindici anni di fumo alle spalle. Oppure con quindici anni di zucchero filato alle spalle. Non lo so, dipende. Però per quel giorno avrò scritto La Storia. Non una vera. Una finta. Questa qui di cui parlo, per l’esattezza. Titolo: Il Felicitiere.
Esistono diversi abbozzi di questa storia. Il primo risale a quando avevo nove anni. Si trattava di una serie di disegni che avevo fatto con i colori a cera. C’erano disegnate delle figure alte più o meno quanto la casa a lato e potevano essere la mia famiglia oppure un gruppo di quei saltimbanchi che mi piacevano tanto. Una volta venne per una visita un signore inglese e guardando i disegni con gli occhiali sulla punta del naso ripeté più volte “remarkable” indicando con il mignolo un piccolo gnomo che spuntava nei disegni, ora al centro, ora affacciato ad una finestra senza prospettiva.
“What’s his name?” mi domandò come per rubarmi un segreto.
“Il Felicitiere” risposi ad alta voce per far capire che non c'era nessun segreto.
“Il Fieliccittiere? The happy man?” chiese mentre mi osservava da sopra gli occhiali a mezzaluna.
“I just… Well, I think The Happinessier would be more appropriate, sir”.
“Remarkable” disse lui per tutta risposta facendo oscillare l’indice per aria.
Quello che non chiese e che probabilmente non sarei riuscita a spiegare in inglese era il ruolo di questa figura, questa specie di folletto con la pelle verde e il cappello viola. Le settimane successive a quella visita, tuttavia, mi concentrai sulla risposta che in un ipotetico passato avrei potuto dare con molta sicurezza e che, in realtà, non avevo dato. Così presi un quaderno a quadretti e scrissi:
“What’s his name, little girl?”
“Il Felicitiere, sir”
“Oh, how wonderful! And may I ask you a question? Who is him? You can certainly explain it in italian”
“Thank you, sir. Il Felicitiere è… quello che mette allegria al quadro e si assicura che va tutto bene e asciuga le lacrime a chi è caduto dalla bicicletta oppure ai grandi quando i grandi stanno male perché magari hanno quei problemi che i bambini non possono capire”.
“Very interesting, indeed. You should write about him”
“Non so se mi piace scrivere veramente”
“Okay. Now…Do you smoke?”
“Not very often, sir. I lost my personal tobacco plant....Can I have a pipe, please?”
“Obviously. Here you are, little girl”.
Non fu una presenza costante questo Felicitiere. Niente di nemmeno lontanamente simile a un amico immaginario o all’orso di peluche morto di infarto fulminante all’insaputa di tutti (tranne che della mia) il giorno del mio decimo compleanno. Il vecchio orso… credono che sia ancora vivo, lì, seduto rigido sulla spalliera del letto.
Il Felicitiere entrò per un certo periodo nelle storie che inventavo per i miei cugini, ma nemmeno allora aveva quelle caratteristiche fisse che servivano per identificare un personaggio. Anche il nome: non c’era mai una volta che fosse lo stesso. Per di più erano nomi russi dato che non facevo che leggere libri di scrittori russi. E poi mutava forma, di continuo. A tratti era un fantasma, poi diventava un moschettiere del re, poi ancora un pirata se, per esempio, in quel periodo avevo L’Isola del Tesoro sul comodino. E, a seconda di come mi girava, poteva stare dalla parte dei buoni o da quella dei cattivi. Se metteva la felicità per altruismo o per fare un dispetto, non contava. Non doveva mica essere per forza un timorato di Dio. Più crescevo, più la sua pelle da verde diventava come la mia. Desiderio di conformarsi alla massa, io credo. Ma io lo lasciavo fare.
Al momento non esiste lo “scheletro della storia” perché è tutto molto invertebrato, ovvero formato per gran parte di idee evanescenti e sentimenti di molluschi marini. Però a tratti ho come delle visioni del suo carattere, di questo personaggio, intendo. Per farvi un po’ capire il tipo, lui è quello che riproduce il rumore della pioggia con le dita sulla carta quando non piove da settimane, quello che balla il tip tap davanti alla televisione quando siete molto tristi o molto soli. Oppure immaginate di essere ad una cena importante di lavoro e state facendo una gran bella figura impressionando tutti con la vostra brillante conversazione quando all'improvviso vi va del cibo di traverso e gli occhi vi iniziano a lacrimare. Gli altri ancora non se ne sono accorti, ma il Felicitiere, seduto a uno dei tavoli a fianco, si alza e simula un abbraccio ridicolo prendendovi alle spalle, ma in realtà vi sta facendo la manovra di Heimlich che, a quel punto, riesce con successo. Tutti si girano, lui sorride, voi siete un po' confusi, ma anche all'incirca salvi. Un altro esempio potrebbe essere quello dell' etichetta. Già, l'etichetta dei vestiti. Capita di camminare da lottatori vincenti su ring-marciapiedi, del tutto ignari di avere l'etichetta della giacca ancora appesa al collo. Beh... lui, il Felicitiere, in quei momenti arriva con una forbice e con un veloce movimento del polso taglia il cartoncino. E il punto è che non vi accorgete di nulla. Così come quando una cosa sparisce, ma come mai...eppure era lì, coma ha fatto a nascondersi. Poi, riappare. Il Felicitiere, che non deve essere per forza un angelo custode o un fantasma, l'ha trovata e siccome non sopporta i ringraziamenti, ha preferito lasciarla sul tavolo, sul punto più visibile della casa. Lui è fatto così.
Io credo che il Felicitiere sia un personaggio di larghe vedute, se così si può definire, perché non è come quei personaggi impazienti che ti assillano una notte intera per avere una storia e quando gliela scrivi, anche abbastanza male, poi se ne vanno ignoranti e soddisfatti e non li vedi mai più, nemmeno nel cestino della carta straccia.
Il Felicitiere sa che forse adesso non ho l’esperienza giusta per parlare di uno come lui perché devo ancora dormire sul dorso di una balena, devo curare i canini dei lupi, devo prendermi un husky, coltivare ortaggi geneticamente modificati. Si chiama Propedeutica dell’Esperienza dello Scrittore Serio, abbreviato P.E.S.S., è un trattato, non è la panencefalite sclerosante subacuta. Molti pensano che sia una scusa inventata da certi scrittori per prendere fiato dalla scrittura e da loro stessi. Infatti, si sa benissimo che se c’è l’immaginazione non serve altro, solo una penna, ma questi scrittori che hanno inventato questo trattato si danno un cinque anni circa di vita vera: si tuffano dai ponti, se ne vanno in giro per il mondo, fanno figli, diventano medici. Ciascuno ha il suo programma personale di studi. Così poi ritornano a scrivere belli e vissuti con un sacco pieno di esperienza e scatole di sentimenti intercambiabili. Ma la verità è che hanno ingannato la loro indole e sono piuttosto contenti del fatto. E il Felicitiere questo trattato lo conosce benissimo. Vuole essere scritto da una quarantenne o da una sessantenne perché gli piacerebbe essere scritto talmente bene da essere riadattato per il teatro addirittura. Già se lo immagina: Atto I, Scena I.
Questa storia inizierà così:
un giorno scriverò questa storia e poi potrò prendere per sempre il mare oppure un super gelato con tre gusti più panna. Forse entrambe le cose se il capitano della nave che accetta nuovi marinai è anche il capitano della Grande Gelatiera Baltica…