di Cristina Taliento
Prima stesura
5.000 parole sull'uomo moderno, dalla caduta di Hitler al Progetto Genoma. Moderno, dunque: aerei, social networks, stress, telescopio spaziale Hubble, mentine senza zucchero, Obama, polmoni artificiali, tunnel della Manica, AIDS, Coca Cola light, Pistorius, floroclorocarburi, bosone di Higgs, Torri Gemelle, auricolari, lol, :-), : D, XD, -.-, :-p, questione adolescenziale, teoria delle stringhe, questione morale, teoria dei giochi, caramelle scoppiettanti, teoria del complotto, Super Mario, teoria dell'azione ragionata, Harry Potter. Nelle strade affollate incede-passo largo, postura eretta- l'uomo moderno, gioioso per la confortante illusione di essere non l'ultimo, ma il più lontano dal buio. Tu es, tu sei, homo novus, uomo moderno, eppure così inconsapevole e fragile e smemorato, tanto leggero, ma così pesante nel tuo costante, comodo, caparbio, ignorare. "Cosa?". "Come cosa?". "Ignorare che cosa?". Rise e poi, serio: "La morte". Per questo accorrevano. Parcheggi sotterranei nell'East End di Londra brulicanti di uomini, insetti, armi trafugate negli anni dai Musei Vaticani. Dicevano che il lavoro cieco e smodato aveva allontanato l'uomo dal buio e dalla ragione. Dicevano che c'erano luci al neon dappertutto e la notte quasi aveva finito d'esistere e che le persone si erano dimenticate di interrogarsi sul senso della vita per potenziare così una super paura, la paura della morte. Gli uffici erano pieni di insicuri, uomini chini sui loro computer, pugni sotto menti rassegnati, occhi stanchi appesi a bocche morte, oppure si trattava del contrario e allora vi erano canini che mordevano 170 volte al minuto la parte interna della guancia, ginocchia vibranti sotto la scrivania. "Perché lo fai?". "Cosa?". "Far vibrare la gamba". "Ah, non me ne accorgo. Un tic". Eccellenti, straordinari, pregevoli lavoratori che ignoravano quale destino gravasse sui loro colli di camicie, che rifiutavano di ammettere che non è tanto quanto lavori, quanto produci, ad attestare che sei in vita. Magnifici, assidui lavoratori che amavano così tanto il loro lavoro da prendere il venerdì sera e il sabato sera come gli ingloriosi momenti della sbornia in cui tutto veniva dimenticato e perso e confuso ad altri ricordi e... sbiadito... allontanato. Era il modo, si, Seymour, il capo dei gladiatori, diceva sempre che era il modo in cui si aggiustavano gli occhiali sul naso che smascherava le loro paure. Il modo in cui fissavano il muro la sera una volta tornati a casa. Per questo accorrevano e urlavano nei parcheggi dell'East End e si tagliavano il petto a vicenda come i gladiatori di Ottaviano Augusto. "Loro erano schiavi, non avevano scelta". "Noi l'abbiamo?". "Si, voi l'avete". "Non è vero". Un uomo aveva due lingue o una divisa a metà. "Che ti è successo?". "La lingua?". "Si". "Me l'hanno intagliata. Tre anni fa". Avevano paura della morte. Qui non insegniamo a vincere la paura della morte, qui la facciamo ricordare. Perché è giusto che un uomo ricordi dove deve andare, è giusto che se lo ricordi, sempre. "Ma, mio Dio, è violenza questa. Voi ferite la carne". No, è comprendere l'uomo. Per noi l'insicurezza e le guerre nascono dalla falsa interpretazione che gli uomini danno alla definizione di interiorità. Pensano che sia la psiche, tutto quel girotondo emotivo, i sentimenti. Balle. Interiorità è quello che sta dentro. "Quello cosa?". Ossa e viscere, per Bacco! Gli uomini pensano a loro stessi in termini di capelli e denti bianchi quando dovrebbero vedere con i loro occhi la persistente forza del loro cuore o l'aspetto dei loro reni. "Che cosa c'è, avanti dimmi, dietro quella tua pelle liscia?" Le mani, le braccia, le vene come ricami blu sulla tela. I gladiatori gridavano. Un rumore assordante rinchiuso tra muri e muri di cemento armato metri sotto terra e sopra le loro teste si sentivano passi di tacchi veloci, tacchi alti e neri, tacchi con la suola rossa, tacchetti artigianali, a spillo, di pelle, aperti davanti, con il laccetto, di alto design, con brillanti applicati, rivestiti di seta, sneakers frettolose con i lacci, senza lacci, colorate, solo bianche, con la gomma bianca sulla punta. Erano i passi di chi andava e andava nelle strade della vita. Era strano e così vero, allo stesso tempo, che negli stessi metri quadrati di spazio, quello stesso spazio venisse diviso in due: sopra chi non ha mai tempo, chi compra il caffè e scappa via, chissà dove, chi guarda nelle vetrine e, per qualche attimo, non riconosce (ricorda) il riflesso di se stesso; sotto, invece, c'è chi, appoggiato al muro fumoso di un sotterraneo, aspetta il suo turno per colpire, lacerare, dilaniare, mordere, tirare via, vedere dentro la macchina di tutto, la chiave della sveglia e spegnerla, sbatterla a terra e sentire che è così, in fondo, è così che si muore e il sangue scivola via e si potrebbe ridere adesso. Ridi, adesso! Si... ridi, adesso...
"Alla gente e anche a me sono odiosi quei gladiatori che combattono per salvare a tutti i costi la loro vita. Infatti facciamo tutti il tifo per quelli che già nel volto portano scritta l'indifferenza per la morte". Seneca. De tranquillitate animi. "Posso?". "Prego". "Se mi lasciate spiegare, io non sarei d'accordo. Voi, gladiatori moderni dell'East End, siete dei viziati! Qual è la vostra rabbia? Voi siete arrabbiati sul serio per l'alienazione dell'uomo contemporaneo, per la frenesia delle metropoli, il vuoto d'emozione, la distorsione dell'identità umana? Mi viene da ridere. La verità è che siete i figli di chi ha vissuto il boom economico, di chi se l'è spassata a Woodstock, ma al contrario dei vostri genitori, voi non sapete un cazzo della guerra, perché se la fate, non la fate a casa vostra, no, ma la cosa più ripugnante è che avete preso a cercare l'adrenalina calpestando il rispetto per chi è stato ucciso e speculando sulla morte".
Ma la mia voce non era che una voce nella bufera e sebbene parlassi così duramente contro di loro, in nome dei miei valori e del mio carattere, comprendevo troppo bene le ragioni che avevano avuto e continuavano ad avere.
FINE
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