di Cristina Taliento
(Illustration by Hannah Müller)
Se ne stava lì, seduta su quell'isola come su una panchina. Seduta muta con le braccia intorno alle caviglie. Talvolta si avvicinavano dei pescatori mandati da me affinchè non morisse di fame, ma lei immobile come un osso di seppia guardava il mare e i gabbiani e i giochi del sole sulle creste delle onde. "Devi mangiare, signorina" le dicevano. Nessuna risposta. E poi si alzava e si metteva a correre con la mascella stretta e più sentiva il cuore scoppiare più accelerava il passo. Saliva sugli alberi e voleva gridare, ma il pensiero istintivo di non avere voce la bloccava e da quel ramo poi ridiscendeva graffiandosi le mani con le spine. Quasi rideva di un riso isterico perchè trovava strano di esistere senza avere un carattere, respirare e non essere nessuno. Il suo persiero andava all'esistenza, a chi esisteva, a chi poteva farlo. "Vatti a coricare" era quello che pensava di se stessa. Ella era la tomba del suo ardente spirito. La sua spada, la sua grezza fierezza e l'urlo che sentivo crescerle dentro morivano nell'inconsistenza di ciò che ben sapeva di essere e non era. La vedevo correre con il passo di un ghepardo digiuno e la fame sragionata di quella vita che non spettava ai personaggi come lei. Vedevo come spietata sbranava le sue lacrime. Vedevo i suoi occhi rabbiosi alzarsi dalla polvere e accusare l'orizzonte, accusare me, io che per gioco l'avevo creata.
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