30/12/11

Canto notturno sui gradini della Cattedrale

di Cristina Taliento


La notte era un bambino
con gli occhi di bruno stupore
nel viso due sguardi d'amanti
e corone di stelle sui fianchi.
Disilluse gambe, brandelli
di giacche camminano
per le strade con a fianco
la morte e schivano il giorno,
nel viso lo fuggono,
lo odiano fino a spezzarsi il cuore.
Ma nel sonno s'ammazzano
in faccia alla vita e piangono sangue
e punture d'insetti,
allungano i muscoli come
ghepardi digiuni affetti da noia
e dal delirio più nero.
Li ho visti baciarsi e
prendersi a schiaffi,
scottare nel corpo di
una febbre squassante,
chiedere acqua
con voce stremata, fumare
sui tetti dei treni e
morire. Morire, poi vivere
ancora come una giostra
notturna d'agosto,
cantando nel buio
ubriachi e prudenti
i vecchi canti del gladiatore.
E tutti li videro uscire
dal loro pallore
dilaniando le carni mosse
dal vento, buttarsi d'un tratto
nell'oceano d'inverno
ed urlare al mondo
ci sono.

29/12/11

Tribute to Holden Caulfield

by J. D. Salinger (Chapter VII)



[...Quando fui pronto per andarmene, con le valigie e tutto quanto, mi fermai un momento vicino alle scale e diedi un ultimo sguardo a quel maledetto corridoio. Stavo quasi piangendo. Non so perchè. Mi misi in testa il mio berretto rosso da cacciatore, girai la visiera dietro, come piaceva a me, e poi urlai con tutta la maledetta voce che avevo in corpo "Dormite sodo, stronzi!". Scommetto che svegliai tutti quei bastardi di tutto quel piano. Poi me la filai. Qualche idiota aveva buttato i gusci delle noccioline sulle scale e per poco non mi ruppi questo maledetto collo.]

28/12/11

Il ragazzo che piange

di Cristina Taliento


Questa specie di storia inizia al crepuscolo come altre specie di storie già state scritte; inizia quando i cuori infranti salgono sui terrazzi e fumano sigarette, quando si mettono a piangere e a riflettere sul passare del tempo. Il crepuscolo di questa storia vide molti cuori infranti. Alcuni di loro camminavano tra la folla con passo svelto e sguardo altero, emozionati dalla loro stessa resistenza alla sofferenza, altri scrivevano su taccuini mentre sedevano nelle sale d'attesa degli ospedali, altri ancora sorridevano ai bambini come per cercare un dialogo con il loro passato e poi, si accorgevano che non sapevano che dire e sorridevano per l'ultima volta prima di premere un pugno sulle labbra. "Papà, papà, perchè quel signore è triste?"; "Papà, papà, se è triste, perchè non piange?". "E che cosa vuol dire, decoro?".

Un ragazzo, invece, piangeva alla stazione e non nascondeva le lacrime, non si vergognava. Si chiamava Riccardo, ma lo chiamavano Narciso perchè la sua bellezza era così struggente che le persone non potevano sopportarla e pensavano che fosse giusto per la pace della loro anima attribuire un qualche vizio come la vanità, per esempio, a quel ragazzo che la vanità non conosceva affatto. "Tu piangi" disse a un tratto un uomo d'affari mentre si sfilava i guanti per stringergli la mano.

"Perchè piangi?" chiese piano mentre lo studiava come un raro fiore sbocciato tra i binari.

"Sono innamorato e mi ha lasciato e non riesco a studiare, non riesco a mangiare, non ce la faccio a vivere. Voglio morire, voglio morire..."

L'uomo d'affari lo guardò negli occhi e per un istante si emozionò. Capì che egli era un'opera d'arte e che tutti dovevano ammirarla. Era come un fiore bagnato dalla rugiada.

"E, dimmi, piangi spesso ragazzo?"

Il giovane alzò la testa per guardarlo e rispose: "Non è per colpa mia".

Pochi mesi più tardi il ragazzo era diventato una star. Tutti i telegiornali parlavano di quella perla del Sud che aveva fatto commuovere i re e le regine del mondo. Le persone del paese smisero di chiamarlo Narciso e iniziarono a chiamarlo Chiangimortu perchè era assurdo! impossibile! che qualcuno si guadagnasse da vivere soltanto col pianto. "Andiamo, Marietta, tu non sei bella come lui quando piangi, non essere cattiva...". "Ridicolo! Le persone serie lavorano, ecco cosa fanno!". In realtà le persone iniziarono a lavorare di più per guadagnarsi i biglietti dei teatri dove non si recitavano opere o musical, ma dove c'era la garanzia di poter vedere il vero Riccardo che piangeva per loro. Era un successo. L'uomo d'affari divenne ben presto l'uomo più ricco del mondo e dovette rispondere a diverse interviste, molte delle quali terminavano con la domanda:

"E cos'è che lo fa piangere?"

"Egli ha il dono della sensibilità-rispondeva calmo, sebbene accecato dai flash- Le sue lacrime sono di rabbia, di tristezza. E ciò che le procura è il mondo, cari ascoltatori. Siamo noi, siamo noi che lo facciamo piangere. Sono le sue ragazze che l'hanno lasciato per Dio sa quale motivo! Sono le guerre, la sofferenza tutta, le morti infantili. Bene, e mentre noi ci indigniamo e sbuffiamo e bestemmiamo, egli, al contrario, piange".

"La ringraziamo. Da qui è tutto, restituisco la linea..."

Riccardo cresceva e viaggiava per i più grandi teatri del mondo, ma più diventava famoso e più il suo pianto perdeva del candore iniziale tanto che i critici avevano cominciato a scrivere recensioni negative sul suo conto. "Le sue migliori lacrime sono già state sparse" disse in tono solenne un critico con i baffi e il frac. L'uomo d'affari continuava a sorridere ai flash, ma, quando tornava a casa, se la prendeva con la moglie e gridava: "Al diavolo la Monnalisa con quel sorriso da ebete! Al diavolo la Ragazza con l'orecchino di perla e quell'altra con l'ermellino! Cosa sono loro al confronto del mio ragazzo? Niente! Mi fanno sbellicare dalle risate! Ma io, ma io... un giorno...!". Quel giorno arrivò senza che l'uomo d'affari potesse deciderlo. Lo decise, invece, una ragazza che studiava Storia dell'Arte e che una mattina volle poter ammirare il bell'Apollo, come lo chiamavano in Francia. La platea non era piena come una volta, così potè avvicinarsi al palco e si sedette al primo posto. Iniziò a parlare da lì seduta e Riccardo poteva sentirla. Disse:

"Hanno ragione quando dicono che le tue lacrime non sono belle come quelle passate. Non sono belle perchè stanno passando di moda, ma anche perchè tu sei passato di moda a te stesso. Voglio dire, prima piangevi e non eri visto da così tante persone. Il tuo pianto era tuo e basta, mentre adesso gli occhi della gente lo stanno seccando. Non lo sai che alcuni fiori si chiudono con la luce del sole? Sentimi, scappa. Vattene da questi teatri e piangi da solo perchè altrimenti la tua anima sarà corrotta e te ne accorgerai tardi".

Il ragazzo pianse meglio a sentir quelle parole, ma questo non bastò a cambiare l'opinione della critica. Partì. E la sua immagine cammina ancora nel tramonto, perchè è nel tramonto che finisce questa storia, se mai era cominciata. Questo ragazzo, infatti, che piange è un fiore, un momento ghiacciato dell'immaginazione dei cuori infranti. Ogni cuore infranto, infatti, sa che egli esiste o che la sua idea esiste. E' l'idea di un ragazzo triste che purifica il mondo con le sue lacrime.


FINE


P.S. Dispiaciutissima per averlo pubblicato. Dispiaciutissima, davvero.

21/12/11

Gli occhi marroni dell'autunno

di Cristina Taliento



(La dama con l'ermellino, Leonardo da Vinci, oil on wood, 1488)


Le strade d'inverno brillano per i riflessi delle luci arancioni. La mia ispirazione in questo momento vive nel cuore di questo ragazzo che vedo dalla finestra. Sta in piedi e aspetta e alza la testa ogni volta che una macchina lo abbaglia. Adesso batte il tempo con un piede; un ritmo lento come la noia. Ecco, un falcone si è posato sulla sua spalla. Il ragazzo non è più lo stesso. Ora sulla sua fronte vedo legata stretta una striscia di stoffa verde. Vedo i suoi occhi marroni d'autunno divenire grandi e cattivi, ideatori di sommosse. Vedo l'avventura e vedo la testa di un lupacchiotto che esce dalla tasca del suo giubbotto. Il libro di filosofia aperto sul comodino si dà una scrollata e tutte le parole cadono a terra: Stuart Mill, il pazzo Kant, Schiller... I filosofi prendono a ballare sopra i miei occhiali, il ragazzo della finestra salta a bordo di una nave che scivola calma sull'asfalto. "Ci imbarchiamo di mercoledì sera, giovanotto!" grida il capitano. "Sissignore, ogni giorno è buono per prendere il mare, signore". Allora Hegel si avvicina con gli occhi sognanti alla finestra e appoggia le mani al vetro freddo e vorrebbe prendere anche lui il mare. Ma la nave fischia già che sembra un treno. Mi viene da ridere in un modo pazzesco.


"Perchè?" mi fa la Coscienza o l'Ispirazione. Questa voce potrebbe essere chiunque. "Che cosa perchè?". "Perchè finisci per raggirarmi?". "Raggirarti?" rido. "Si, raggirarmi. Tu, razza di giullare, finisci per trasformare questi esercizi di scrittura in grotteschi balli di corte dove ci si ubriaca fino alla morte!" grida la voce. "Oh... ma non ti arrabbiare. Non è mica mia la colpa" mi difendo. "Studio! Concentrazione!"; "Ma lasciami perdere, o benedetta Illusione, chè noi gente di poco talento ci divertiamo così e non sopportiamo i corsetti. Noi vediamo le cose che non sono perchè quelle che sono ci hanno escluso da tempo!" esclamo io e poi sto zitta, ma tutti i filosofi scoppiano a piangere per le risate così finisco per ridere con loro e se avessi in mano un bicchiere, giuro sulla mia testa, lo alzerei al cielo.

17/12/11

Non era il cuore, non era il cuore

di Cristina Taliento




Dove il vento inizia, lì c'è una casa. E' la casa della tua Convalescenza dove c'è un medico senza volto che ti lascia i farmaci sul comodino e dice: "Con queste ritornerai giovane. E riprenderai il mare". Dove il vento di due anni fa iniziava, lì c'era la casa della Convalescenza di un adolescente che adesso è cresciuto talmente da essere ringiovanito. Ha preso le medicine; ha detto di essersi trovato bene. Io, invece, andai a trovarlo, due anni fa, e dovetti avanzare controvento per duemila anni e, siccome sono miope, non distinsi la casa nella nebbia fino a quando non fui veramente arrivata. Può darsi che delle aquile imperiali stessero volando sul tetto e che in lontananza un cane si stesse lamentando... oppure fu un pastore tedesco che mi riconobbe e io gli abbaiai per tutta risposta. Ad ogni modo entrai nella casa e il vecchio adolescente era seduto su una poltrona con le pantofole, una giacca di lana e una sciarpa piegata doppia sul collo. Chiunque l'avrebbe scambiato per un anziano perso nel cielo di una stanza. Ma sapevo che aveva sedici anni, due anni fa.

Tossì. Tossii anch'io in piedi vicino alla porta. Le mani buttate nelle tasche del cappotto.

"Sei venuta a trovarmi" fece mentre si grattava la fronte.

"No, vi sbagliate, principe."

"E che sei venuta a fare? Perchè cavolo mi ami così tanto?"

"Un uomo onesto, un uomo probo tralalalallatralalallero s'innamorò perdutamente d'una che non lo amava niente. Gli disse portami domani tralalallatralalallero gli disse portami domani il cuore di tua madre per i miei cani" canticchiai con la voce profonda. Io faccio e dico sempre cose senza senso logico quando non so che dire e quando voglio divertirmi. L'adolescente fece un ghigno da vecchio scorbutico e tirò su con il naso.

"Vattene via, non mi serve la tua compassione, nè la tua superficialità" esclamò di botto.

"Non era il cuore, non era il cuore tralalalallatralalallero non le bastava quell'orrore voleva un'altra prova del suo cieco amore" continuai. L'adolescente fissava il pavimento.

"Fuori soffiava dolce il vento... vuoi una caramella?"

Presi una caramella e allungai il braccio senza muovere un passo.

"Se però non la vuoi, ti prego, non prenderla. Mi sono rimaste solo queste due: una alle erbe aromatiche dei boschi norvegesi e l'altra al miele rosso delle api del Timbuctu".

Aspettò un minuto e poi disse: "Norvegian Wood". Gliela lanciai sbuffando.

Entrò il medico per sorvegliare la situazione. Feci un cenno di saluto con il capo. Se ne andò guardandomi per l'ultima volta insospettito.

"Avrà pensato che sei venuta per rapirmi"

"E allora andiamo!" dissi subito.

"Non posso, sono malato" mormorò mentre si massaggiava gli occhi con i polpastrelli da vecchio.

Tirai fuori dalla tasca del giubbotto un foglio ripiegato in quattro. "Leggi. E' un racconto che ho scritto". L'adolescente guardò di nuovo in basso.

" Non posso leggere, lo sai. Me lo vietano. Altrimenti non ringiovanirò mai."

Mi arrabbiai: "Che maledetta stronzata! Giuro, è la cosa più patetica che abbia mai sentito. Dio, Gesù... voglio dire, ti rendi conto di quanto sei ridicolo?"

"Senti, tu! Questa è la mia Convalescenza! La mia Cura! E dovrebbe essere anche la tua! Leggere ti invecchia dentro e scrivere, scrivere è da megalomani ragni del buio..."

"Leggilo!-urlai- Leggilo immediatamente."

L'adolescente prese il foglio che gli stavo dando e lo dispiegò sulle sue ginocchia. Io rimasi a fissare le tende arrabbiata ed ogni tanto sentivo che tirava su con il naso mentre leggeva e mi dispiaceva.

"Bello" disse alla fine e me lo ridò.

"Bello un corno, è un lavoro da dilettanti"

"Non lo so. Ho smesso di intendermene" mi rispose con tono freddo. A quel punto nei film c'era sempre quel personaggio che si sedeva appoggiando i gomiti sulle ginocchia e intrecciando le mani. Poi con lo sguardo di chi crede che di te abbia capito tutto, iniziava la frase con "John, dobbiamo parlare. In questi giorni ti ho osservato...". Oppure "John, io lo so perfettamente che tu sei sensibile, ma c'è qualcosa che mi preoccupa...". John, io lo so perfettamente che tu sei un gradasso, pallone gonfiato, vanitoso e, pure, un pezzo di merda che rifiuta la sua natura e scappa da se stesso, che dice di essere un principe malato eccetera eccetera. Ma John, credimi, mi vergogno di te e della tua testa e della tua Convalescenza, della tua nuova noia che hai per i libri e del fatto che ti vergogni di essere nato vecchio e di essere nato e basta. Perchè a me piacevi così come eri e adesso vorrei che tu fossi qui per dirti di andartene via dalla mia vista, la quale vista non tollera gli idioti smidollati come te, vestiti da vecchi in punto di morte che aspettano il prete. Ti odio infinitamente come tu odieresti te stesso se fossi in te. E mi addormenterò ripetendomi che ti odio, che ti odio. Che ti odio. E che vorrei fossi qui per mandarti dal diavolo una volta per tutte. E vorrei tu fossi morto, John. Vorrei elevare il mio cuore ad una tale malvagità da riuscire ad esprimerti l'odio e la pena che provo per te.

"Sta nevicando" dissi invece.

"Non mi è permesso guardare la neve, lo sai"

"Lo so. Troppo poetica, immagino" dissi alzando le spalle.

Poi lo sentii cercare le parole. " Il tuo racconto non era male, ma io avrei messo un lieto fine. Qualche volta ce lo puoi mettere un lieto fine". Sorrise appena.

"Perchè dovrei? Non sono mica uno di quelli psicologi che dicono che va tutto bene. Non curo nessuno, io. E tantomeno me stessa. Quindi..." risposi risentita.

"Dico solo che il lieto fine nella vita non esiste, ma esistono i momenti di gioia e uno scrittore può decidere di far terminare le sue storie proprio in quei momenti. E così rimarrà l'illusione che quella gioia sia infinita e... per sempre" ripetè per sempre due volte. Proprio così.

Quello che più odiavo di quel vecchio adolescente era che le nostre conversazioni finivano ogni volta con io che avrei potuto abbracciarlo e che poi non lo facevo perchè avevo il cuore impacciato di una quercia e nessuno ha mai sentito di una quercia che abbraccia una betulla che si muove lì dove inizia il vento.

14/12/11

Cielo color del vino

di Cristina Taliento


(Monaco in riva al mare, Caspar David Friedrich, 1808-1810, Berlino, Alte Nationalgalerie)


Pensò che probabilmente viveva dentro scatole di cartone, di metallo, di legno. E che si respirava meglio con una mano sul naso. Scatole oppure edifici: disse che non c'era differenza. Il banco su cui sedeva aveva la forma di una scatola su cui appoggiarsi e le pareti di gesso si sbriciolavano sotto i temporali di dicembre. I treni erano scatole lunghe, come quelle degli alberi di Natale e il cielo era un cassetto grande come Dio e l'Universo. Invece i letti e i tavoli erano piccoli e lui aveva capito fin da bambino che a starci sotto si doveva stare attenti a non urtarsi la testa. Disse che il segreto stava nel non pensarci troppo. "Adesso che me l'hai detto, ci penso invece". "No, non pensarci troppo".

09/12/11

Montaggio di un Personaggio

di Cristina Taliento



(Bindo Altoviti, Raffaello, 1515, oil on wood, 60 x 44 cm, National Gallery of Art, Washington)


La stanza dei Personaggi era grande quanto una scatola di bottoni ed era buia, più buia della notte. Quando andai a prendere il matto Genda, lo tirai per un braccio e mi diressi verso la scrivania per nominarlo cavaliere della prossima storia, ma mi accorsi che in mano avevo solo il suo braccio e che il resto si era staccato del tutto. Glielo riattaccai con dello scotch e un po' di colla. Feci un pasticciaccio, ad ogni modo. "Avanti, siedi" dissi come avrebbe detto mio nonno. Ma quello non si sedeva e mi disse che non voleva lavorare perchè aveva il morbillo. "Perchè?". "Perchè ho il morbillo". "E quali sono, secondo te, i sintomi del morbillo?". "Una tristezza metafisica". Il matto Genda non era uno di quei Personaggi da licenziare per niente, da strappare a pezzetti per un morbillo immaginario. Decisi, perciò, di sbuffare e basta. Lo rimisi nella stanza e stavo per rimmettere a posto il coperchio quando la luce della candela illuminò un angolo della scatola dove era rannicchiato un Personaggio che non avevo mai visto. Lo presi come se fosse stato un uccello moribondo e lo lasciai sulla scrivania. Appoggiai la candela sul piano e stetti a guardare quel Personaggio che chiudeva gli occhi e iniziava a lamentarsi come in un sogno. "Ehi?". Si lamentò. Pensai che fosse per la luce e così misi la candela a terra. "Fiuuuuu" fischiai. Si lamentò e smisi di fischiare. "Macchietta?" lo chiamai con il nome con cui di solito si chiamavano i Personaggi senza nome. Ma quello si lamentava ancora. Allora capii che quella doveva essera la sofferenza di chi vive pur non esistendo e mi ricordai che mai gli avevo dato un nome, un'età. Mi sentii in colpa e subito esclamai, non sapendo cosa esclamare: "Ionio!". Il Personaggio rallentò i suoi lamenti e mi guardò sofferente, con sospetto. "Ionio..."dissi con meno entusiamo. Il Personaggio fece una smorfia di dolore e parlò con una voce da bambino. Disse: "Il nome di un mare?".

"Se vuoi possiamo cambiarlo. Non ti piace?" ma poi mi ricordai che non era possibile cambiare un nome dopo averlo esclamato a quel modo perchè l'idea di quel nome era ormai parte della sua vita.

"Ionio" ripetè a bassa voce il Personaggio per ricordarselo.

Nascosi il sollievo nel vedere che gli piaceva aprendo il terzo cassetto a destra in cerca di un foglio e di una penna.

"Ionio, di', parla" dissi come avrebbe detto mio nonno.

Il Personaggio deglutì e alzò le spalle. Sembrava confuso. Così gli spiegai:

"Io di solito ascolto le storie dei Personaggi e le appunto sulla carta. Certe volte le modificò un po' soprattutto quando si tratta di cancellare episodi che quasi tutti gli scrittori chiamano binari morti. Ma io non sono uno scrittore, per intenderci. Nemmeno una scrittrice, non pensarlo proprio. Il mio ruolo sarebbe facilmente sostituibile da un registratore, ma ogni volta che posiziono uno di quegli aggeggi vicino ad un mio Personaggio, quando poi vado a riascoltare scopro che non ha registrato un bel niente. E questo è davvero scocciante per chi trova più semplice scrivere e non perdere tempo. Comunque se non vuoi che levi i binari morti della tua storia possiamo lasciarli, non fa alcuna differenza. Bene... come iniziamo?"

Il Personaggio riprese a lamentarsi. Non sapevo come calmarlo.

"Senti, senti, senti. Va bene, okay? Il tuo nome è Ionio e vivi in una casa in riva al mare, anzi no, sul fiume. Vivi in una casa vicino a un fiume dove sulle sponde crescono cespugli di rose rosse e tutt'intorno ci sono salici sotto ai quali ti piace piangere perchè.... perchè piangere è il tuo mestiere. La gente ti paga per vederti piangere."

Il Personaggio si mosse appena.

"La gente ti paga per vederti piangere perchè quando piangi sei bellissimo e vederti piangere è come vedere Madama Butterfly oppure stare per ore davanti a un Picasso. Senti, non sto dicendo che sei triste o Dio solo sa cosa, ma tu adesso hai una ragione per vivere e non dovresti lamentarti. Anzi, si, dovresti farlo perchè è il tuo lavoro adesso e se ti piace potrà esserlo per sempre...". Mi morsi il labbro poichè non si poteva cambiare nulla anche se il Personaggio non avesse gradito.

"Sono bellissimo quando piango" ripetè il Personaggio a bassa voce per vedere che effetto faceva.




(Continua...)