22/11/11

Mutismo sentimentale del dottor Schiele - Prima stesura

di Cristina Taliento



Molto tempo fa nei campi si vedeva la figura di un uomo che camminava con in mano delle bende. Quello era il dottor Schiele ed i contadini lo riconoscevano da lontano per il suo passo incerto e gli occhi bassi. Talvolta capitava che insieme con lui si fermassero a giudicare le nuvole con le mani sui fianchi e poi egli se ne andava, perdendosi nelle pianure dell'orizzonte. Qualche altra volta lo si vedeva incidere parole nella corteccia ed allora qualche vecchio si avvicinava spazientito e diceva, avanti dottore dica a me, dica a me quello che vi sta passando per la mente. Questo albero non la ascolterà, avanti, parlate. Così il dottore lasciava appesa la mano all'albero e si girava a guardare stupito la faccia del suo interlocutore. Poi iniziava così: era marzo, i tedeschi stavano attaccando, oppure erano i francesi? Oh... non ricordo. E quando andava avanti nel ricordo si iniziavano a sentire da lontano il rumore delle bombe e degli acquazzoni, qualcuno che gridava "dottore! dottore!" e voci di pianto lungo la riva. Lui era lì, giovane, al centro dei ricordi suoi, con in braccio un ragazzo ferito, la pioggia che cadeva su tutto quel sangue di capodoglio. Il mare, dicevano, si era riversato sulla terra e le strade erano piene di pesce morto, e pezzi di grandi vascelli. E fu allora, di sicuro allora; in quel punto di un'Africa annebbiata e strana, egli conobbe quel dolore spirituale che la letteratura aveva cercato di insegnargli per lungo tempo e fu tanto forte in una sola volta che qualcosa in lui cambiò per sempre. Non fu tanto smettere di provare sentimenti, nemmeno di pensare, più di tutto egli smise di parlare di quello che provava, persino di come poteva essere bella una giornata di sole. Ma, invero, pochi se ne accorsero e, dopotutto, si dice che la guerra tenga gli uomini lontani dai pensieri per altri uomini. L'uomo si spegneva da solo. Una volta una donna gli disse che non era normale il suo modo di fare, di non parlare affatto. Egli aveva sbattutto il pugno sulla scrivania ed aveva preso a tremare. Poi aveva detto intervallando le parole con bruschi e disordinati silenzi: "No, se normale è chi piange, io non sono normale; se normale è chi accetta di farsi amare, io non sono normale! Se normale è chi vuole un abbraccio, io non sono normale! Se normale è chi teme la morte, io non sono normale!". Si era fermato mentre il suo cuore batteva sul ritmo di tutte le mandrie selvagge del mondo.

2 commenti:

Zio Scriba ha detto...

Premetto che siamo nel campo dell’opinabile (anzi, forse è proprio una mia fissazione…) eppure è un consiglio che mi sento di (ri?)elargirti, e che ovviamente sei liberissima di respingere: la tua passione per la scrittura, che emerge e brilla quasi in ogni sillaba, è così meravigliosa che mi pare un peccato rovinarla con l’inciampo delle “d” eufoniche quando non siano strettamente indispensabili. Perché “ed allora” invece di “e allora”? Perché “ed aveva” invece di “e aveva”? Le vocali, nella nostra bella lingua, non sono allergiche le une alle altre o nemiche fra loro!

Un grande abbraccio, sorellina nella Scrittura. (E non odiarmi per il consiglio non richiesto… :D)

Il Ballo dei Flamenchi ha detto...

no, macchè odio! Anzi, non sai quanto mi faccia piacere imparare! Io da questa vita voglio solo e soltanto imparare, pensa! Quindi, grazie, me ne ricorderò :)