a J.D. Salinger
(Morning, Caspar David Friedrich, 1821, oil on canvas, Niedersachsisches Landesmuseum, Hanover)
Le dissero che lo avrebbe trovato dietro la collina delle rose e che per arrivare doveva camminare attraverso quei sentieri battuti dai pastori. Si avvolse la sciarpa tre volte e non aspettò che il gallo cantasse. Il lamento di un violino malinconico si trascinava sulle rive del piccolo ruscello che attraversava la valle . Nei prati le foglie invecchiate dal tempo si rincorrevano come farfalle e lontano crescevano foreste di alberi atterriti dall'oscuro sentore della loro stessa ombra. Al centro della valle c'era un tavolo con una tovaglia bianca e due candelabri d'argento, due sedie poste ai lati e un uomo seduto su una di esse. La ragazza lo vide da lontano e con lo sguardo basso lo raggiunse. L'uomo seduto era cieco; il collo di una camicia bianca sfiorava il suo collo increspato, le mani strette intorno ad un bastone di legno. Un lupo dagli occhi colore del cielo aspettava vicino alle sue gambe.
"Vi ho cercato a lungo, maestro" disse piano mentre accarezzava il lupo studiando quegli occhi di cielo.
L'uomo non rispose. "Vostra figlia vi sta cercando. Dicono che siete impazzito, alcuni hanno detto che il vostro libro pubblicato a marzo è l'ultimo. Vi danno per morto".
"Potete rispondere che sono morto e sto bene, grazie. Se ne vadano al diavolo tutti quegli imbecilli che per anni hanno inchiodato la mia ispirazione in un piatto di spaghetti. Via! Via! Farabutti schifosi, che il diavolo se li porti!".
"Maestro, non potete vivere aspettando in silenzio per sempre, fermo a guardare il cielo invecchiare e le stagioni morire, gli alberi e le volpi crescere... Non era questa la vita. Non vi ricordate?"
"Sono triste, lasciami stare. La mia Convalescenza non è finita, forse la mia cura è quella di non guarire e rimanere in questa valle per sempre. La mia cura è stare qui seduto e nutrirmi delle ghiande che gli scoiattoli mi lasciano in queste porcellane e dimenticare il tempo con gli occhi chiusi per metà. La mia cura è restare sotto la pioggia a bagnarmi le sopracciglia e poi morire come se non fossi mai nato. Oh, per Giove, lasciami stare!"
La ragazza non aveva mai detto altre parole che non fossero prego, la ringrazio, si accomodi. Sospirò e si fermò a guardare l'Incantato Scrittore, il vecchio maestro che le aveva letto la poesia. Era invecchiato e lei lo sapeva, ma in quella valle soltanto le nuvole restavano uguali... e il vento e i sassi. Si mise a piangere strillando: "No, voi dovete venire con me, non mi lascerete sola! Non potete farlo, maestro! Mi chiuderò nella mia tristezza, smetterò di uscire, di amare il rumore delle onde, non leggerò mai più uno di quegli stupidi libri che voi amate tanto!" Singhiozzò e si pentì per aver pianto, tuttavia non riuscì a smettere. Indurì la mascella bagnata dalle lacrime "Sono solo carta da strappare per accendere il fuoco. Le parole non sono vere, i racconti sono meschini come le vostre promesse, i personaggi di cui vi siete servito mi fanno ridere tuttora, i consigli che mi sussurravate mentre mi esercitavo sul foglio bianco non erano che bugie! Bugie! Bugie!"
"Smettila di insistere per riportarmi nel luogo da cui sono scappato! Tu non mi piaci, il mondo in cui vivi insieme a quelle belve non mi piace" urlò scontroso mentre iniziava a tuonare.
"L'arte che cercavate di insegnarmi porta, dunque, a questo? Finirò come voi, vecchio brontolone che pretendete la solitudine matto come siete nel vostro egocentrismo idiota?"
"Vi ho detto- scandì il maestro-che questa è la mia dannata cura e tu devi rispettarla, ragazzina!"
"La vostra dannata cura è un lusso che non vi permette di vivere. Scrivere significa vivere, cosa produrrete seduto a questo tavolo vergine, in questa landa dei cuori spezzati?"
"Sono già morto, non lo vedi?!" urlò il vecchio mentre le gocce iniziavano a cadere sul manto del lupo, sulle sue spalle, dai suoi occhi.
La ragazza pianse più forte: "Maestro, maestro!" gridò più volte fino a quando il rumore della pioggia non divenne assordante. Il lupo ululò di dolore. Poi l'incantò svanì.
3 commenti:
che strana immagine questa tavola bene apparecchiata in una valle in cui il cielo muore e le volpi crescono.
Cosa ha fatto ammalare lo scrittore e cosa gli ha fatto decidere di non lasciarsi morire ma neanche vivere?
Ricordo un po' il vegliardo Tolstoj.
Il maestro ha fatto la sua scelta ma non è detto che il discepolo debba seguire anche quella.
Posta un commento