16/08/11

L'educazione degli ammutinati

di Cristina Taliento



(Il giuramento degli Orazi, Jacques Louis David, 1784, Louvre, Parigi)


Venimmo accusati d'ingratitudine perché lasciavamo in disordine i nostri cassetti e dubitavano della nostra educazione, pur essendo giudicati allo stesso tempo come uomini e donne senza capacità di giudizio, privi d'analisi critica, inutili, dicevano, al miglioramento delle condizioni sociali del Paese. "Il dubbio non porta a niente! Lavoro! Lavoro!" ci gridavano alle spalle, dalle bocche dei tunnel in cui vivevamo. C'erano anarchici, intellettuali, spacciatori e antichi esattori delle tasse e nessuno, nessuno, che sapesse fare il caffè. "Ehi Francè, questa poltiglia mi fa schifo". Bleah. Ci trovavamo al centro esatto del mondo senza sapere che cosa fosse davvero il mondo, ma noi stavamo tra presente e passato con la testa bassa, l'aria tenera dei briganti, il mento sulle nocche, il freddo negli occhi. "Siete puliti, voi?". "Come ti permetti? Noi siamo gente apposto. Siamo gente apposto, noi. Ehi, come ti permetti". Quelli che ci guardavano ci dicevano vagabondi, bugiardi, ma non c'è bugia nelle mani di chi sbuccia un'arancia, di chi col naso cerca di sapere da che parte tira il vento, nelle mani rugose d'un vecchio che ti rispondono "non so, figlia mia, non so". E muti riuscivamo a camminare nell'incendio della Biblioteca d'Alessandria, assistevamo al suicidio di Lady Macbeth, all'attentato alle torri gemelle, cercavamo di mettere i libri in salvo dall'Arno in una giornata del '66 e facevamo tutto questo pur dovendo nascere mesi, anni e anni dopo. La grandezza della vita ci portava a studiare la sconfitta di Cartagine, la presa della Bastiglia, l'assassinio a Cesare, il processo a Giordano Bruno, ma poi finivamo attorcigliati come serpenti ai bastoni della filosofia e nessuno voleva questo. "Non voglio farti del male, avvicinati". "No, ti prego. Ho paura di te". "Hai paura di me?". "Si, ho paura". "Di cosa hai paura?". "Ho paura che tu mi possa confondere, prendere e uccidere ora". La filosofia non ha mai contato molto per noi, né per i nostri cani o per il nostro gregge. Dicevamo di essere innamorati dei campi, di Oliver Twist, Jane Eyer, delle barchette costruite con la carta, dei coleotteri, di Caravaggio, un quadro in particolare, di alcuni popoli decaduti nei secoli, della pioggia, di maggio e novembre, di una balalaica lontana di cui non ricordavamo il nome, ma, invero, l'amore non l'avevamo mai conosciuto e talvolta lo ignoravamo come fa una cattiva madre coi suoi piccoli. Scrivevamo poesie d'amanti che parevano filastrocche per bambini, ninna nanne cadenzate da ritmi infantili e noi fuggivamo la fanciullezza, quel sapere ancor meno, e per questo inventavamo d'essere cresciuti, così, all'improvviso, sotto un albero di oleandro, prima che il sole tramontasse, prima che venissimo chiamati per cena. "Dio è amore e il suo amore in noi è perfetto". "No, questo amore io non lo conosco". "Giuda! Traditore! Tu non sai quello che dici". L'amore era immobile, statico, qualcosa che rivestiva la religione e noi correvamo come tori e ragni, proiettili e fuochi d'artificio. "Vossignore- mi dice ad un tratto la Silvia-vossignore, ho da obbiettare. Che obbietti? dico io, qua tutto è lindo, fresco di bucato. No-dice e ripete-vossignore ho da obbiettare sulla vostra condotta di ciarlatano. Ciarlatano a me? Io tramando la mia conoscenza, ma che discorsi. Stai capendo la gravità di cotale irriverenza?". Molti di noi non credevano, parlavano nel sonno, ma mi avevano raccontato di qualcuno che pregava ogni sera, in ginocchio. Sentivamo il peso del nostro dovere e contraevamo i muscoli per simulare un affermato senso del rigore. Ed era per quello, io credo, che alla fine caricavamo i nostri bagagli sulle navi o sopra lunghissimi treni a due piani e poi qualcuno andava in guerra, altri prendevano a fare il medico, altri ancora diventavano marinai delle ultime file o bracconieri oppure scrittori, ma tra questi nessuno, nessuno, che sapesse fare il caffè. "Ehi Francè, questa poltiglia mi fa schifo". Bleah.

2 commenti:

Adriano Maini ha detto...

Si', perche' attraversare secoli di grande letteratura e di storia, merita un caffe' come si deve.

Il Ballo dei Flamenchi ha detto...

Io, vabbè, non ne bevo :) Ma questo non cambia la storia!

Grazie per essere passato anche questa volta, ciao.