01/02/11

Le ispirazioni maldestre

di Cristina Taliento
(Salvador Dali, Man with His Head Full of Clouds, 1936)



La strada in discesa che collegava la città con la casa di Eugenia non aveva i canali di scolo così, quando pioveva, si allagava fino a sembrare un oceano e il sindaco mandava a chiamare il vicesindaco per far avvisare il segretario comunale che i vigili dovevano assolutamente bloccare l’ingresso di quella strada perché se fosse successo qualcosa “il comune non aveva i soldi per pagare nessuno, eccheddiavolo”. I vigili andavano con fare svogliato sulla riva di quel pandemonio, bofonchiavano qualche ingiuria al governo, montavano due o tre segnali di stop un centinaio di metri prima dalla zona allagata e poi se ne andavano. E allora non s’accorgevano della bicicletta di Eugenia che svegliava le pozzanghere dividendole a metà e uccidendole all’istante. La pioggia rimbalzava sul manubrio e si incagliava tra le sue ciglia e tra quelle degli uccelli e delle bisce. Eugenia restava in piedi a guardare la strada-oceano mentre la sua mente si allungava a dismisura negli intrighi della filosofia e nell’odore di zolfo. “Ma a che cosa stai pensando?” chiedeva il pettirosso dalle piume umidicce. “Ah, uccellino, te ne prego, lasciami in pace”. Poi si sedeva su un masso e apriva un libro e restava a leggerlo fino a quando le gocce non scioglievano l’inchiostro delle pagine insieme al rimmel nero sui suoi occhi. “Stai, per caso, leggendo sotto questo tempaccio?” chiedeva ancora il pettirosso. “Oh, uccellino, sul serio, non t’impicciare”. Quando della carta del libro non era rimasta che una poltiglia, lei prendeva un nuovo volume dallo zaino e iniziava a leggere con voce maestosa, come una specie di Amleto a piedi nudi. “La teoria del bello, capitolo uno, paragrafo uno: la bellezza tra arte e tradizione” esclamava, soddisfatta. Intonava quelle parole al cielo, le lanciava in aria come confetti. Poi, più andava avanti nella lettura e più la sua voce si abbassava delusa, come se il tentativo di trovare una risposta fosse appena sparito insieme a tutti i suoi ombrelli fuorilegge. Allora, scrollava i capelli pieni di pioggia, mentre gettava con furia quel libro nella voragine silenziosa della strada allagata. “Ci risiamo” fischiettava il pettirosso. Ma Eugenia non lo stava a sentire. Presa da uno sfuggente principio d’ispirazione, ella si metteva in ascolto come un gatto che, captato il movimento di un topo, allungava il collo e le orecchie ma, avendo visto quella fugace idea perdersi nel nulla, aveva abbassato la testa come quello stesso gatto che faceva in tempo a scorgere la coda della sua preda per poi vederla scomparire per sempre dietro un vicolo buio. Le sue ispirazioni erano come starnuti che si dissolvevano prim’ancora di esplodere, erano mozziconi di sigari bagnati che nessuno avrebbe mai fumato; quelle specie di teorie luminose che abbagliavano i palazzi della sua mente la meravigliavano, la ammaliavano. Ma, quelle stesse teorie, morivano davanti all’autorevolezza del foglio di carta e della penna; si accasciavano vergognose con l’alta accusa di contorsionismo e plagio filosofico. Ella, allora, si alzava in piedi all’istante, rovesciava la sedia e correva in cerca di un’altra ispirazione che poi trovava nello scaffale dei trattati di Estetica o dentro le foglie del pero selvatico. Iniziava a scrivere un racconto e, dopo qualche ora o minuto, lo abbandonava per cominciare una poesia o uno sbadiglio, che anch’esso moriva nel mezzo. Eppure non smetteva di creare il suo nulla, non posava la penna. Preferiva atterrirsi davanti alla desolazione della sua inventiva, piuttosto che spegnere la lampada e rinunciarvi del tutto. Quindi sorgeva il sole che illuminava la sua testa coricata sul legno, e quei raggi rischiaravano con delicatezza i versi di una poesia. Senza delicatezza alcuna Eugenia inforcava gli occhiali e rileggendo la sua creazione, la rinnegava. Appallottolava il foglio con rabbia e lo gettava dalla finestra come un lanciatore di baseball. “Bella schifezza questi versi neoclassici più patatine fritte!” esclamava con sarcasmo. E dunque non replicava quando il pettirosso diceva: “Mia cara, non prendertela con le Muse, quando la colpa è di Cupido”.

7 commenti:

stealthisnick ha detto...

sbaglio o i sex pistols, qui a destra un po' più in basso, sono nuovi?
i clash, benedetta ragazza, non i sex pistols, i clash ci dovevi mettere

la prima metà è la perfezione fatta racconto
poi si perde un po', secondo me

Zio Scriba ha detto...

Bellissimo e tenero: mi ha bagnato come una pioggia ininterrotta di intelligenza... ora vado a darmi un'asciugata, ma anche queste gocce preziose, come molte delle precedenti, mi resteranno nel cuore. :D

p.s. solo una tiratina d'orecchie per la rottura della verifica parole: oggi, fra l'altro, il codice da digitare era quasi più lungo del mio commento...

amanda ha detto...

concordo inizio trionfale chiusa un po' debole :)

Il Ballo dei Flamenchi ha detto...

@nick: mi piacciono i Clash :)

@Scriba: non so come si faccia a disattivarla :)

@Amanda: ahahah gli adolescenti finiscono sempre per rovinare tutto :)

Zio Scriba ha detto...

dunque: bacheca-Impostazioni-Commenti, qui fra le opzioni trovi Verifica Parole: mettere no invece di sì e salvare.

(non sei obbligata, ovviamente, però ti segnalo recenti dibattiti da Alberto Cane e robydick, da cui è emerso ad esempio l'immenso disagio che queste cose causano ai bloggers non vedenti)

Adriano Maini ha detto...

Invece io apprezzo in modo particolare il finale. Che sia diventato un maniaco dell'estetica? Ma questo a te non può interessare. Vero é che sottili riferimenti di erudizione contribuiscono a tessere immagini di arcano mistero.

Il Ballo dei Flamenchi ha detto...

@Scriba: I'll do it! Thank you

@Adriano: almenuuu :) grazie infinite