di Cristina Taliento
La pioggia di fine maggio lascia un odore di adolescenza e di lacrime... e di zanzare. E di bambini che inseguono solitari il loro pallone perduto; forse sperano, forse no. Ci sono cani che escono dai loro rifugi, annusano verso il cielo e non si curano del pelo bagnato. I fiori, abbassati dalle gocce d'acqua, si risollevano timidamente alla luce del tramonto. Speravo di trovare le mie risposte nel vento, poi però la pioggia mi ha fatto capire quanto fossero stupide le mie domande.
L'aria trasporta il suono di una fisarmonica e le note si abbassano, poi si alzano e sembra quasi che stiano ballando per quanto sono belle da sentire, ascoltare, vedere, percepire. All'entrata del bar, il vecchio Lucio sorride anche se sfoglia il giornale e, una giorno, ho sentito dire che non sa leggere e fa solo finta, ma secondo me non è vero niente. Nella vecchia Renault grigia c'è la figlia dello spacciatore. Lei nemmeno lo conosce suo padre, però per tutti quelli del quartiere lei ha il sangue dei criminali e lei dice sempre che i giudizi della gente le scorrono sulla pelle come l'olio e dopo averlo detto alza sempre il sopracciglio e poi sbuffa, ma poi passa i pomeriggi nella macchina ferma sotto casa sua ad ascoltare Radio Capital e, questa volta, pioveva sul cruscotto e lei fissava le gocce sul vetro venire lentamente giù. E chissà a cosa pensava, chissà se, dietro la frangetta, piangeva.
La signora con la gonna nera non ha mai saputo cosa farsene degli ombrelli. L'acqua cade silenziosa sulle rughe e lei si ricorda di suo marito che nei giorni di pioggia faceva i solitari; quattro mazzetti da dieci e una tazza di caffè.
Due ragazzini si mettono a cantare De Andrè e uno dei due vorrebbe imparare a suonare uno strumento per dare un senso a quegli stupidi vuoti d'emozione, ma sua madre gli dice che non è in grado di pensare, figuriamoci suonare, e che farebbe meglio a trovarsi un lavoro come suo padre, suo nonno e un sacco di altri nomi che lui non ha mai sentito. Il ragazzino si passa velocemente la mano sul naso e poi dice "va bene", però lasciamo stare come si sente veramente, con l'anima frenata dai fallimenti che non sono i suoi.
E io mi chiedo cosa stia facendo il mondo mentre qui c'è la pioggia di fine maggio. Gente che nasce, che muore, che compra biglietti e che si licenzia. Forse qualcuno sta persino nuotando nell'oceano tra le balene oppure si diverte a incastrare l'ultimo sudato pezzo dell'interminabile puzzle da 1500 pezzi, 34 cm per 47. Mi chiedo cosa stiano facendo ora le star di Hollywood, le tribù africane, i barboni delle metropoli, i circensi francesi. Le loro vite...
Scrivere fu il suo unico modo di allenare il metacarpo e tutte quelle falangi
29/05/10
Sam Savage - Firmino
di Cristina Taliento
“Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”. Pensava così il personaggio di J.D. Salinger, il giovane Holden Caulfield e, anche se non sapremo mai quale sarebbe stato il suo giudizio su Firmino, io penso che non gli sarebbe dispiaciuto avere il numero di Sam Savage nella rubrica. Eppure questa non è una storia che toglie il fiato, una di quelle storie dal gran finale dove i personaggi scorrazzano sulle pagine di importanti ambientazioni. No, questa è una storia che nasce timidamente in un decadente quartiere di una Boston anni Sessanta e il protagonista è Firmino, un topo gracile e debole fin dalla nascita, tanto inadeguato e impacciato da non sentirsi in pieno diritto di poter stare al mondo. Calpestato e scalzato via dai suoi nerboruti fratelli, Firmino affonda disperato i suoi denti nella carta dei libri di Pemboke Books, la libreria dove sua madre lo aveva partorito, e per notti continua a masticare pagine, finché non si accorge che il vero nutrimento in quelle parole non sta tanto nel divorarle, quanto nel leggerle. Così l’impero dei libri riesce a dare un senso a quella che egli stesso chiama una <>. Attraverso i libri può indagare mondi che non sono i suoi, lasciare che Oliver Twist, le donne di Lawrence, Anna Frank facciano insieme il loro ingresso nei suoi sogni. Ma, quando le fiamme confortanti dei romanzi vacillano e si spengono, Firmino respira l’aria gelida della sua sfortunata situazione composta da pezzi di pellicola spezzata che non appartengono a nessun destino prestabilito.
La vera “anima” di questo delicato romanzo di Sam Savane, dove insieme a lacrime e malinconia vorticano anche umorismo e sorrisi, sta in quel magico silenzio estatico della lettura, dove sgorgano immagini e parole che per anni hanno incantato i lettori di ogni generazione.
La vera “anima” di questo delicato romanzo di Sam Savane, dove insieme a lacrime e malinconia vorticano anche umorismo e sorrisi, sta in quel magico silenzio estatico della lettura, dove sgorgano immagini e parole che per anni hanno incantato i lettori di ogni generazione.
21/05/10
Signor Marciapiede
di Cristina Taliento
Quello che dovete fare è prendere un vecchio e piazzarlo bello e buono al centro dei vostri pensieri. Fate che sia pelato, scalzo e in mutande. Ci penso io a farlo diventare qualcuno.
Il tale ha una canottiera bianca e le spalle strette, una catenina d'oro si infila tra le rughe del collo. Ha calzini lunghi, grigi, che non cambia mai e non sono bucati sul pollice perchè lui dice sempre "poche cose, ma buone" ed è per questo che non sono bucati sul pollice. Ha una camicia bianca sopra la o quello che rimane di una camicia bianca tanto è rovinata da far piangere i cani, ma nessuno può dirgli di cambiarsi la camicia perchè lui dice di avere i suoi buoni motivi se non l'ha ancora gettata. I pantaloni erano di un certo Salvatore Detrono, nato a Lequile e cresciuto a Lecce, morto per volere non suo, no di sicuro. Fatto sta che i suoi pantaloni sono finiti, nuovi non tanto, sulle gambe del Nostro Uomo e, stando al parere di questi, là devono rimanerci per ancora lungo tempo. E sopra la camicia bianca c'è una giacca blu o marrone o blu davanti e marrone dietro. Roba d'alta classe e non si discute.
Quei pochi capelli fissati all'indietro formano striature bianche e, sul naso, gli occhialetti pendono a sinistra. Cammina con una mano in tasca e l'altra che stringe la custodia del violino e se avesse la forza di un giovane se la metterebbe direttamente sulle spalle, ma questo che c'entra... se fosse più giovane, non suonerebbe canzoni tristi ai gabbiani. Quando si mette a guardare il cielo sposta la bocca tutta di un lato e non puoi mai sapere quanta rabbia e rassegnazione, paura e stupore, ci siano in quel gesto. Lui rivolta la mano in tasca e macina gli spiccioli che gli servono per campare . Mica accetta compromessi... ogni mattina si promette che dirà sempre quello che pensa. Non ha fatto patti con lo stomaco e lo lascia morire di fame tutte le volte che è arrabbiato con la stupidità del tramonto. E nel suo grande zaino lui vorrebbe metterci il mondo, ma poi si impone di lasciare tutto il mondo fuori e nessuno può dirgli niente. Qualcuno l'ha tormentato per una settimana, poi si è stancato e chi l'ha più visto; qualcun' altro voleva mettergli la cenere nel cappello, si è stancato anche lui e chi l'ha più visto. Io, se potessi, gli canterei:
"Ehi signor Marciapiede, sono qui, signor Marciapiede
Accompagnami sulla brezza della tuo violino
E non essere preoccupato per il rumore del vento;
Ehi signor Marciapiede, resta, signor Marciapiede
Sento premere la stanchezza sugli occhi
Ma non riesco e dormire;
Ehi signor Marciapiede, hai mai sentito il fuoco sulla pelle?
Hai mai visto pezzi di cadavere spuntare dalle macerie dei loro sogni?
Dimmi cos'è peggio
Non aver paura di ferirmi
Ti ho guardato, signor Marciapiede
e mi sono accorta di una luce che hai
tra la pupilla e il verde scuro,
è una luce di delicato stupore
troppo bella da sopportare
E ora dimmi, signor Marciapiede
credi di aver trovato la strada maestra
in quel sentiero di tuoni e fulmini?
Porta anche me, signor Marciapiede
so badare a me stessa
prometto che non ti infastidirò.
Nelle tue note di filo spinato
nella confusione del sole
ho trovato parole per te, signor Marciapiede.
Ehi signor Marciapiede, lo giuro, ho trovato
il respiro che avevi perso
su quella vecchia fotografia.
Quello che dovete fare è prendere un vecchio e piazzarlo bello e buono al centro dei vostri pensieri. Fate che sia pelato, scalzo e in mutande. Ci penso io a farlo diventare qualcuno.
Il tale ha una canottiera bianca e le spalle strette, una catenina d'oro si infila tra le rughe del collo. Ha calzini lunghi, grigi, che non cambia mai e non sono bucati sul pollice perchè lui dice sempre "poche cose, ma buone" ed è per questo che non sono bucati sul pollice. Ha una camicia bianca sopra la o quello che rimane di una camicia bianca tanto è rovinata da far piangere i cani, ma nessuno può dirgli di cambiarsi la camicia perchè lui dice di avere i suoi buoni motivi se non l'ha ancora gettata. I pantaloni erano di un certo Salvatore Detrono, nato a Lequile e cresciuto a Lecce, morto per volere non suo, no di sicuro. Fatto sta che i suoi pantaloni sono finiti, nuovi non tanto, sulle gambe del Nostro Uomo e, stando al parere di questi, là devono rimanerci per ancora lungo tempo. E sopra la camicia bianca c'è una giacca blu o marrone o blu davanti e marrone dietro. Roba d'alta classe e non si discute.
Quei pochi capelli fissati all'indietro formano striature bianche e, sul naso, gli occhialetti pendono a sinistra. Cammina con una mano in tasca e l'altra che stringe la custodia del violino e se avesse la forza di un giovane se la metterebbe direttamente sulle spalle, ma questo che c'entra... se fosse più giovane, non suonerebbe canzoni tristi ai gabbiani. Quando si mette a guardare il cielo sposta la bocca tutta di un lato e non puoi mai sapere quanta rabbia e rassegnazione, paura e stupore, ci siano in quel gesto. Lui rivolta la mano in tasca e macina gli spiccioli che gli servono per campare . Mica accetta compromessi... ogni mattina si promette che dirà sempre quello che pensa. Non ha fatto patti con lo stomaco e lo lascia morire di fame tutte le volte che è arrabbiato con la stupidità del tramonto. E nel suo grande zaino lui vorrebbe metterci il mondo, ma poi si impone di lasciare tutto il mondo fuori e nessuno può dirgli niente. Qualcuno l'ha tormentato per una settimana, poi si è stancato e chi l'ha più visto; qualcun' altro voleva mettergli la cenere nel cappello, si è stancato anche lui e chi l'ha più visto. Io, se potessi, gli canterei:
"Ehi signor Marciapiede, sono qui, signor Marciapiede
Accompagnami sulla brezza della tuo violino
E non essere preoccupato per il rumore del vento;
Ehi signor Marciapiede, resta, signor Marciapiede
Sento premere la stanchezza sugli occhi
Ma non riesco e dormire;
Ehi signor Marciapiede, hai mai sentito il fuoco sulla pelle?
Hai mai visto pezzi di cadavere spuntare dalle macerie dei loro sogni?
Dimmi cos'è peggio
Non aver paura di ferirmi
Ti ho guardato, signor Marciapiede
e mi sono accorta di una luce che hai
tra la pupilla e il verde scuro,
è una luce di delicato stupore
troppo bella da sopportare
E ora dimmi, signor Marciapiede
credi di aver trovato la strada maestra
in quel sentiero di tuoni e fulmini?
Porta anche me, signor Marciapiede
so badare a me stessa
prometto che non ti infastidirò.
Nelle tue note di filo spinato
nella confusione del sole
ho trovato parole per te, signor Marciapiede.
Ehi signor Marciapiede, lo giuro, ho trovato
il respiro che avevi perso
su quella vecchia fotografia.
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