E i corpi smisero di incontrarsi,
arti inferiori sconnessi, lontani gli uni dagli altri.
Continuarono da soli i discorsi
iniziati insieme, poi lasciati a metà,
e tu danzando ti allontanavi
e io restavo in un teatro vuoto che si faceva sempre più buio,
mentre lì fuori grida di rondini libere
rendevano paradossale
il tuo, il nostro, distacco.
I corpi smisero di sentirsi,
annusarsi, sollevarsi,
provare quei loro pas-de-deux,
estendere i tricipiti attorno al collo,
dimenticarono il ricordo del movimento,
divennero arbusti isolati, rigide statue di marmo.
Smisero persino di sentirsi artisti,
tramutati nell’oggetto statico della paura,
l’immobilità,
un raggio di sole sull’addome,
sulla clavicola che da pietra angolare
divenne un osso, un osso soltanto.
E tu ti domandavi che senso avesse
riguardare i video dei vecchi spettacoli,
urlare le antiche glorie sul web,
dal momento che il vento era morto
e la tua danza non sarebbe esistita più.