(Illustrazione di Thani Mara)
Le finestre aperte era quelle che non poteva capire.
Le strade facili erano quellle che non le facevano battere il cuore.
Dentro la tazza di tè al mirtillo si rispecchiavano un finestrino piccolo e i suoi occhi irriverenti che da qualche tempo si guardavano nel solo riflesso restituito da zuppe fumanti e pozzanghere sporche.
Si era seduta un centinaio di volte per far uscire dai suoi oceani interiori una soluzione ai suoi respiri, sospiri. Ogni volta aveva trovato un riccio, una foglia danzante, un movimento nell'acqua che l'aveva distratta.
Perchè i sentimenti...
Perchè i.
Perchè i suoi sentimenti sarebbero rimasti chiusi per anni o per sempre in quella piadineria delle 23 e 05, dove lei mangiava una crepe con la forchetta di plastica e lui, ad un tratto, le aveva detto di tenere gli auricolari, le aveva fatto ascoltare una canzone. E lei non ricordava il titolo della canzone. Ricordava che erano seduti su sgabelli che la sua memoria aveva distorto e accresciuto in altezza: erano sgabelli altissimi. E lei aveva ascoltato con la forchetta in mano, ma senza mangiare, quella canzone che forse era una promessa, la sua promessa, o una scusa, la sua scusa mentre l'uomo alla cassa, di tanto in tanto, gridava sporgendosi in avanti: "167 rucola e crudo", "168, ricotta e pomodori secchi". Lei non la voleva una piadina, aveva già la sua crepe alla nutella con attorno dei fiori di panna, ma se quelli sgabelli non fossero stati così alti e le sue caviglie non fossero state così fragili, se scendere fosse stato semplice, lei sarebbe corsa via, lei avrebbe detto: "Si, è mia! Si, diavolo, 168 è mia!". E magari avrebbe scartato una Cinque dal portafoglio e il giubbotto ce l'aveva già. Magari bastava soltanto aprire la porta e andare via. Il giubbotto ce l'aveva già. Era uno di quei posti senza riscaldamento dove tutti hanno troppo freddo per mostrare il maglione nuovo. Uno di quei posti che mentre ci sei dentro lo sai già che, in un qualche ancora ignoto modo, ti segneranno.
Le finestre aperte le accarezzavano la fantasia. Se vi era qualcuno affacciato, lei sorrideva gentilmente, consapevole tuttavia che non avrebbe voluto, potuto, ascoltare nient'altro all'infuori di un imparziale mansueto saluto perchè, dopotutto, erano le finestre chiuse, quelle che il vento aveva sbattuto con rabbia alle sue spalle, quelle dove non si sarebbe svelato mai più nessuno, quelle da cui comunque sarebbe scappata, erano le finestre chiuse quelle sotto cui, come una volpe avvicinata, addomesticata e poi dimenticata, una, una volta ancora, si sarebbe, con disperata fedeltà, ostinatamente addormentata.
4 commenti:
Cara Cristina, bello questo tuo scritto, una riflessione reale che fa pensare di come è veramente la vita, complimenti cara amica.
Ciao e con un caro saluto ti auguro una buona giornata.
Tomaso
Ciao signor Tom!! Grazie sempre!
ora mi resterà il dubbio se si trattasse di una promessa o di una scusa, o di una promessa mentre si scusava, si probabilmente questo, una promessa mentre si scusava, e lo avrebbe fatto ancora
Potresti aver centrato completamente il punto o il bersaglio, Doc!
Posta un commento