18/04/14

Attitudini dei guerrieri

di Cristina Taliento


Ho iniziato a frequentare il Gruppo perchè volevo scrivere di loro, consegnare l'articolo all'editore e darmi alla macchia per tutta la primavera e, possibilmente, l'estate, chiudermi poi in una di quelle spiagge deserte dove la scogliera scende a lama sul mare e fare in pace il mio freddo, tranquillo, organizzato, lavoro dalla mattina alla sera, lanciando l'osso al pastore tedesco per cinque minuti ogni due ore, guardare le stelle, suonare il flauto ai granchi, infine dormire. 

Loro erano queste specie di guerrieri contemporanei che dopo un po' finisce che vuoi assomigliarli. Facevano tutti gli specializzandi in medicina per cominciare. Tranne Gianna; lei era una fisica, ventitré anni, laurea magna cum laude, le Converse strappate, gli orecchini di perla, english humor, un vocabolario arguto, innamoramenti frequenti, l'iride sensibile. 

Erano consapevoli della loro bellezza, intelligenza e giovinezza. Parlavano un lessico che li divertiva molto, che avrebbe fatto ridere soltanto loro e che, per un certo tempo, comunque, è rimasto anche nelle mie orecchie. Per esempio, usavano frasi come: "Non fare il cutaneo". Mi chiamavano, poi, Piccolo Omento. 
Avevano tutti la risata sicura dei grandi cavalieri senza paura. Bevevano birra e nessuno fingeva, nessuno voleva impressionare. 

Il pomeriggio di marzo in cui ho varcato la porta della loro veranda al sole, cespugli e cespugli di lavanda mi sono entrati negli occhi e nelle narici. Francesca stava leggendo ad alta voce qualcosa dalla Settimana Enigmistica.
"Mio Dio, è meraviglioso" gli faceva eco Marco.
"Avreste dovuto essere lì, giuro. Marta che risolve 'sto Quesito con La Susi, ritira il premio e lo rispedisce con il biglietto: questa merda rimettetevela nel culo. Ho riso fino al prolasso dell'utero". 
"Ah-ah certo" ha detto il Dottore premendosi il pugno sulla bocca come per trattenere un rutto. 

Io me ne stavo accanto alla lavanda con quel fare taciturno da sorella minore capitata per caso tra gli amici dei fratelli più grandi e annotavo sul telefono alcune delle uscite che sentivo da laggiù.
"Ehi, piccolo omento" mi hanno chiamata d'un tratto.
"Che fai?" ha chiesto Daniele.
"Niente"
"Come niente? Hai idea di quanti sforzi filosofici e tribolazioni fisiche, quante apnee, infarti, ci vogliano per ricreare anche un solo abbozzo di Niente?".
Ho riso. Avrei voluto avere con me la mia lista di domande. Quei guerrieri forse non avevano risposte, ma pacche virtuali sulle spalle a volontà. Così, li ho messi alla prova.
"In realtà, scrivo di voi. Sul cellulare. Devo scrivere un articolo per una rivista letteraria. Voi mi incuriosite".
"Più degli unicorni gay?" mi ha chiesto Riccardo.
"Come?"
"Lascialo stare-ha sospirato Angela- sta attraversando il periodo in cui formula battute sulla presunta omosessualità di animali mai esistiti per depistare l'ascoltatore. Conta i millisecondi del verificarsi della tua reazione per capire qualcosa della tua personalità".
"Tutti mi dicono che sono un libro aperto"
"Oh... - Gianna ha scosso la testa si rigirava una sigaretta tra le dita  - nessuno è un libro aperto. Chi dice di esserlo lo è meno di chi si proclama complicato".
"Voi siete libri aperti?" ho chiesto trattenendo il respiro.
"Siamo libri in volo, squadernati dal vento" ha risposto Angela appoggiando una mano sulla spalla di Marco. 

Così ho pensato che avrei potuto dare il meglio di me stessa per diventare loro amica, ma poi mi sono detta che chi è in volo, sosta da solo, per qualche attimo e poi riparte nel sole. Erano campioni del Pensiero e ci avrei scommesso che avevano avuto adolescenze solitarie e defilate nelle tane delle loro menti. Dovevano essere lettori di classici.  C'era un po' di Tolstoj nelle loro larghe spalle. Avevano nello sguardo la sicurezza infusa dall'alba il giorno dopo la battaglia e i movimenti dei coraggiosi che hanno esplorato emozioni e lande sconosciute, addii e nostalgie così forti da toglierti il respiro. Ma loro invece di uscirne abituati, immunizzati, secondo me, piangevano tutte le volte nel buio, digrignando i pugni nella carne per poi scendere le scale di corsa e sperimentare il nuovo e rivivere il vecchio come la prima volta. Si, ciò che mi metteva quasi a disagio non era la nudità del loro animo, ma la padronanza con cui maneggiavano quei loro grandi sentimenti, trattandoli come se fossero la cosa più importante, piantandola di archiviare e andare avanti nello stile prediletto da uomini e donne definitesi 'in carriera'. E li intuivo capaci, tuttavia, di dimenticare, con la stessa forza rapace, per una decisione più alta, sempre in memoria di loro, anni di battaglie cosiddette personali, guerre civili del proprio orgoglio e scommesse col destino. Vivevano nel lusso di essere consapevoli della vita e dei suoi giochi di luce. Tutte le montature, i trucchi della regia, erano stati svelati, dissezionati sui tavoli operatori, studiati sotto la lampada delle loro scrivanie, presi come soggetto delle loro battute e, intorno a un tavolo di birre, sinceramente derisi. Forse erano così perchè lavoravano di fianco alla Morte, sostando insieme a lei ai lati di letti d'ospedale, con in mano cartelle cliniche e fonendoscopi o, forse, il loro lavoro non c'entrava, ma c'entravo i motivi che li avevano mossi ad agire, le ragioni che li avevano asciugato le lacrime, fatto battere il cuore. 


"Ti unirai a noi domenica prossima?"
"Non lo so" ho detto strizzando gli occhi per il sole.
"Ti abbiamo già stancata?"
"No, è che vi preferirei da vecchi, ultrasessantenni". Ho portato la mano sulla fronte per farmi ombra.
"Perchè?"
"Siete guerrieri, anime immense, ma siete consapevoli e pieni di voi come sirene che si compiacciono del loro canto. Mi piacete molto, la vecchiaia vi renderà tutto quello con cui avrei piacere di trascorrere del tempo" ho mentito. In realtà, dovevo darmi alla macchia, suonare il flauto ai granchi. Quelle cose lì. 
"L'avevo detto, Francesca, che non era  un piccolo omento, ma un grande omento"
"Magari ti puoi unire a noi tra mezzo secolo"
"Chissà..."

Così me ne sono andata e avevo un articolo e tre soldi di dubbio e due di coraggio, tanto per dirla alla De Gregori maniera. 

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