24/02/13

Tredichanni

 Appunti per una canzone giovane

di Cristina Taliento

(Neptune; image captured by Voyager II, 1989)


Tredichanni è un paese di ragazzini, granai di sentimenti, nuvole salmone verso le ore cinque. Sguardi bassi, biciclette legate ai pali con nastrini verde muschio, ombrelli lasciati sulle porte, case avvolte dall'edera. Tutt'intorno ci sono piccoli boschi di salici e betulle e orti dove si coltivano carote, sedano e melanzane per chi ama il viola. Come le drag queen sedute sugli autobus lunghissimi che portano a scuola. Se sale a bordo qualche forestiero, qualche adulto, loro se ne innamorano all'istante e parlano ad alta voce per farsi notare, ma poi guardano fuori dal finestrino e decidono di avvicinarsi alle porte d'uscita. In fondo alla via c'è un edificio con la bandiera dell'Unione Europea e un'altra di colore rosa chiaro con la faccia di Avril Lavigne, oppure i Green Day che cantano con Avril Lavigne. Loro vanno matti per quella musica, per le chitarre elettriche, Complicated, le canottiere bianche sopra pantaloni larghi a cavallo basso, le caramelle alla Coca Cola e poi le scarpe Made in Canada, Made in Wonderland. Qualcosa così, sempre al confine. Mangiano anche cibi strani, chimica imbustata in sacchi stravaganti e sorridono felici dietro i loro frullati inglesi. Amano la fantasia, gli altri non lo capiscono. Tredici anni e parole a vanvera sui treni, sensibilità ferite e ferite di spada un po' ovunque. Starebbero ore a guardare gli squali nuotare negli acquari. Volerebbero. Le loro identità sono riflessi di aquiloni nelle pozzanghere. Tredici anni e non ancora corse a perdifiato, non ancora azione o melodrammi, ma passi lenti, sospiri slegati e pulsazioni anonime. Hanno parole da dire, una sottile rabbia concentrata nella dita, però non dicono niente oppure parlano d'altro. Ma quasi mai del tempo.  Talvolta gridano, stringono i pugni, mangiano senza rispondere alle domande dei loro grandi. Piangerebbero! Seppellirebbero tutte le loro bambole nel giardino e i gattini morti, i carillon dell'infanzia, le figurine Panini, le videocassette Disney. Le loro madri non vogliono che camminino strisciando i piedi, ma le loro spalle si curvano da sole come alcuni fiori che non riescono a sostenere la luce del sole. Perchè forse a vent'anni si ha un po' la mania, la voglia, di diventare girasoli sprezzanti, ma a tredici anni sono più nasi rossi che petali, sono mani screpolate e sopracciglia spettinate e sbadigli e saliva e tremori, amori, un paio di pattini, un gelato al pistacchio... A loro piacciono un sacco  le maniche tirate giù fino alle nocche, fermate da un pollice un po' introverso. Sorriderebbero. Tredici anni e pugni sotto il mento, quanto può far paura una sigaretta oppure un abbraccio un po' stretto? Quanto può far morire un amore seduto all'ultimo banco, vestito di bianco, truccato di nero?
E imparare a trovare lo spazio in una stanza. Forse è più di una stanza, se piena di gente, piena di occhi e di idee e tredici anni sono pochissimi, quasi quindici, che cosa vuoi che siano... a tratti passano in fretta, a tratti non passano mai. Girare sette volte per l'isolato a parlare di cosa, poi? Di Luca che esce con Alice e del corso D dove tutti sono belli e intelligenti e non sapere niente nè della bellezza, nè dell'intelligenza o di quel gatto nero che ha appena attraversato la strada. Ohu, ma quello non è Medoro, il tuo gatto? No. Perdersi tra i pensieri e ritrovarsi tre ore dopo a guardare una partita di pallavolo al palazzetto dello sport e lasciare gli altri tifare. Studiare la miopia, la vergogna. Riflettere su Nettuno. Mamma mia, una volta... "Sei per me come l'ottavo pianeta del Sistema Solare. Io amo Nettuno". O cose come: "Non bevo caffè. Però, se vuoi, chiamami per gridare insieme YAWP sopra i tetti del mondo. Per sempre tua". Tredici anni e lampi di tenera genialità, eternità, ma più che altro imbarazzo e cinematografici, impegnati devo andare. Oppure improvvise esclamazioni come, per esempio: "L'infinito!". Ma tutt'al più un sacco di citazioni e contraddizioni. Citazioni del tipo: "Mi riservo la facoltà di contraddirmi". Whitman? Yep. Si, loro dicono yep invece di yes perchè è come avere sempre una chewing gum in bocca e hanno sguardi puliti e coraggio, spavento. Stringerebbero la mano di qualcuno. Camminerebbero lungo i muretti che disegnano il fiume. Disegnerebbero loro stessi in un fumetto. Suonerebbero Suzanne con lacrime imbrattate di mascara e voce tremante.
Poi la voce di qualche professore li riporta nei loro corpi: "Generazione di presuntuosi... diventerete tutti dei drogati, bastardi, tecno-fuck!"

18/02/13

Letteratura Anatomica


Io, Cristina Taliento, cantastorie e studente di medicina, figlia maggiore, classe 1993,  nel giorno 18 Febbraio 2013, con la più necessaria urgenza, tra risate carnevalesche, calici alzati e storiche lotte intestine, per la gloria del mio esuberante, riservato, ego,  per il ricordo dei miei cavallereschi sedici anni, nel nome delle conquiste dei miei più alti pensieri, in memoria della saggia infanzia e di questo ancor più sfuggevole presente, in accordo con gli innumerevoli, differenti, punti di vista, dopo lunghe meditazioni, pazienti studi e ritiri spirituali, forse per un Dio e quasi per gioco, all’età di diciannove imperituri anni, teatralmente, con le spalle dritte e un teschio in mano, ridendo 

FONDO

Il Movimento della Letteratura Anatomica  e mi dichiaro Responsabile degli stravolgimenti culturali, politici, sociali che questo movimento, indubbiamente causerà, ribaltando quanto i Movimenti del Novecento hanno fatto sinora. Nel più sentito rispetto del passato, con commossa ammirazione per le tombe dei poeti incantati, mi congedo dai letterati del secolo scorso e da quelli degli anni duemila e, trattenendo il fiato,  sposto per sempre, da questo momento, primamente per la tranquillità del mio animo e per la Verità che ho da sempre cercato nel mondo, l’asse intorno a cui tutto ruota e tutto verte. Decido, dunque, di compiere Io il dovere morale di dissezionare l’essere umano, non già nella sua psiche e nella sua interiorità, come già fecero i miei predecessori, quanto nella carne e nella sua anatomia. Voglio che nel fragore di specchi caduti dall'alto, l'uomo possa chinare la testa e riconoscersi, oltre il biancore dei suoi denti e il colore dei suoi capelli, nella contrazione del muscolo e nel colore del suo fegato. Voglio che, prima dell'individuo, arrivi lo scheletro. La mia stilografica sarà, a partire dal secondo in cui le mie falangi sigilleranno questo giuramento sui tasti- sarà il bisturi con il quale mostrerò all’uomo il suo vero volto, riportandolo alla sua intima, veritiera, umanità. Abolisco, quindi, sostituendo l’inchiostro al sangue, la diffusa paura dei visceri e apro, con le più nobili intenzioni, su questa scrivania i toraci dell’umanità intera.

Con coraggioso rigore, dimenticate le scuse, superate le promesse d'umiltà, salto qui, per la prima volta, nella mia, nella nostra, nuova Visione.

Parma, 18 Febbraio 2013

Cristina Taliento

04/02/13

Le vostre Norvegie psicosomatiche

di Cristina Taliento


(Storgarten, Haral Sohlberg, 1904) 


Il matto Genda, dopo mesi di assenza e di verande solitarie, tornò da quelli allievi che, nel frattempo, avevano colonizzato i sogni, galassie immaginarie, finendo per secernere le astratte tele di ragno in cui si erano ancora una volta avvolti. Disse "Basta, smettetela, cazzo, come fate a non accorgervi che sono solo Norvegie psicosomatiche che vi fanno bruciare lo stomaco per quanto sono lontane  e per quanto le volete."
Gli allievi, alti, magri, indaffarati nell'ozio, smisero di star distesi e si alzarono. Muti, ascoltarono.
"Non siete sognatori, non siete idealisti. Siete degli illusi che parlate  dei vostri austeri Mr Darcy e delle vostre irraggiungibili Eve Kant giocherellando con i lobi delle orecchie e massaggiandovi il collo.  Ogni volta a tirare in ballo questi benedetti fiordi scandinavi, metafora delle seghe mentali che vi fate senza soluzione di continuità . Vi ho detto: Andate piuttosto a Casalabate dove il mare fa schifo e  i granchi abusivi si sono mangiati le dune, ma non era per tagliarvi le ali, né per tapparvi la bocca, ma era per ridimensionare le vostre Norvegie, per placare i vostri mal di testa, era per dire, aprite gli occhi, guardate quegli alberi laggiù, non saranno mai tenebrose conifere nordiche, però guardate che belli che sono… sono gli ulivi. Vivete adesso, fatevi una corsa fino al palo della luce e poi tornate, lavatevi la faccia con la neve oppure compratevi un Calippo alla menta, prendete il sole sulle piattaforme petrolifere alla faccia delle Hawaii e di tutte le Galapagos, spegnete Internet, staccate i fili che vi inguainano il cervello o, se proprio insistete, fatevi un biglietto per Oslo e tornate a giugno, state via per cinque mesi, amicatevi un falco, un pinguino, poi tornate. E così potrete raccontare di lande sconfinate e vere, non nebbiose nazioni che magari non esistono nemmeno".

"Ma noi siamo cuori sentimentali che ci muoviamo come le alghe con la corrente, basta un ormone e noi non siamo più noi. Eh no, siete voi eccome. Voi non siete fantasia a comando, voi siete proprio testosterone, serotonina, siete enzimi, siete piogge di sinapsi, cascate di potenziali d’azione. Siete cespugli di cellule mezze buone, mezze marce. Voi avete frainteso il tramonto. Avete idealizzato l’alba, avete trasformato la letteratura nelle anguste cantine in cui vi siete defilati. E per questo amate chiamarvi scrittori, animi introversi certamente diversi da quella che definite “massa”, “gentaglia”, ma non siete scrittori proprio per niente perché siete lontanissimi dall’universale, perché fingete di guardare lontano, affacciati al balcone, rivolti verso le vostre mille Norvegie psicosomatiche, ma la verità è che non sapete niente  né di quello che vi circonda, né di voi stessi. Dite che non siete superficiali, che non guardate l’apparenza e poi, alla fine, siete così lontani dalla vostra umanità, però anche dalla spiritualità. Cosa siete? Non una poltiglia, ma un brodino di snaturati esuli mentali, un succo di contraddizioni disperse insieme ai pezzetti di frutta. Vi siete elevati troppo da quello che siete davvero e avete finito per abbassarvi ancora di più, finendo nel profondo, inconsistente limbo dei fantasmi con le occhiaie scure e catene di rimpianti, tasche piene di paracetamolo e auricolari nelle orecchie. Spero che al prossimo acquazzone abbiate il coraggio di allontanarvi dai vostri specchi interiori, gettare il pettine a terra e uscire in strada a bagnarvi i capelli, il naso, tutto. Di certo non vi cambierà la vita qualche litro di acqua piovana sulla lingua. Sicuramente rimarrete sempre degli illusi, dei sognatori snob poco consapevoli del metabolismo dell’intestino, ma forse vi verrà in mente che l’acqua della Norvegia non è poi tanto diversa e bagna allo stesso modo, ma soprattutto voi sarete gli stessi identici idioti senza ombrello". E così concluse il discorso, arrabbiato, la guancia segnata dalla linea dritta del disappunto. Se ne andò prendendo a calci qualche lattina rimasta accartocciata tra il marciapiede e l'asfalto.