(Max Ernst, Engel der Feuerstätte, 1937 ? )
Ho cercato a lungo un maestro; un Guglielmo da Baskerville in piedi vicino a qualche fermata dell’autobus, un Gandalf il Grigio del nuovo millennio seduto dietro un giornale; qualcuno che, in sostanza, fosse per me quello che Aristotele era stato per Alessandro Magno. Ho cercato nel mondo, nei libri e nella televisione il mio Virgilio contemporaneo e non l’ho trovato. In un periodo della storia italiana in cui l'istruzione è stata progressivamente depotenziata, dequalificata, privata in parte dei suoi compiti e delle sue virtù, io, tra risate carnevalesche e maschere di botox, ho cercato un maestro perchè non mi sembrava che ci fosse nient'altro di più necessario e importante. Ma non l'ho trovato. Mi sono incolpata di cecità e pregiudizi, quindi, per vedere meglio , ho allontanato il più possibile quelle reti di cui parlava Joyce, religione, lingua e nazionalità. Poi, mi sono messa all'ascolto. Sono salita sulla montagna più alta e ho sentito tutto il rumore del mondo, dopo sono scesa e all'orecchio mi è arrivato un brusio, ma della voce del mio mentore nemmeno una nota. Tutti laggiù a parlare. All'inizio ho pensato che dovesse avere qualcosa di rassicurante e di quasi poetico sentire quelle voci, le voci del mondo, dei miei simili, e ho pensato che, con quelle voci accanto, non fosse mai possibile sentirsi solo, ma poi mi sono detta: "Questo è solo un brusio che cresce, s'infittisce e non produce". Una conclusione arrogante, ho concluso, ma poi pensavo "o forse no". Anche per questo ho cercato un maestro: affinchè mi insegnasse a capire in che modo afferrare e con mano d'artiglio catturare, tra tutte le galassie di pensieri, quello giusto e, da qui, elaborarlo, perfezionarlo, potenziarlo fino a farlo volare da solo come un modellino d'aereoplano sulle teste stupite e sconvolte di una nuova umanità. Si... qualcosa di questo genere.
Sono andata a chiedere al poster di Dylan, non avendo altri nomi della lista che non fossero seguiti da epitaffi.
"Sii il mio maestro" ho detto.Sono andata a chiedere al poster di Dylan, non avendo altri nomi della lista che non fossero seguiti da epitaffi.
"Non posso. Io sono solo un menestrello stonato che canta della vita" ha risposto.
"Ti prego, Bobby, mi puoi insegnare un sacco di cose"
"Non posso, mi dispiace. Sono un artista, non ho le risposte che cerchi"
"Va bene, non fa niente".
"Aspetta…Quanti anni hai?"
"Diciannove"
"Oh be', nessuno è perfetto. E perché vuoi un maestro?"
"Per parlare dei dubbi che ho, parlare del più o del meno e imparare le cose che credo di sapere e che, invece, non so"
"Uhm. Che genere di dubbi?"
"Su questa società, quello che c’è e quello che non c’è. Facebook,la Palestina , la democrazia…"
"Su questa società, quello che c’è e quello che non c’è. Facebook,
"Mi spiace"
"Già, grazie lo stesso, scusami se ti ho disturbato. Continuerò a cercare".
Se ci fosse stato un fiume e non l'asfalto, probabilmente avrei lanciato qualche sasso sconsolato prima di andarmene. E se ci fosse stato un maestro vicino a me e non un ragazzino con gli auricolari nelle orecchie forse avrei parlato così: "Maestro. Non mi riesco a togliere dalla testa quel brusio di voci, semiminime e biscrome". E il Maestro avrebbe detto: "Parla più chiaramente, allieva". "Si, Maestro. Quello che voglio dire è che ognuno ha le sue idee e questo è un bene, perchè l' uomo dopo anni di rivoluzioni, ha raggiunto la sua libertà di parola, la sua libertà di pensiero. Ma a me pare che tutta questa libertà di pensiero ci sia scoppiata in mano come una penna che sporca d'inchiostro il collo della camicia e le guance e i polpastrelli. Siamo diventati i carcerieri delle nostre idee e dei nostri discorsi, i carcerieri del nostro libero pensare. Sosteniamo i nostri pensieri solo perchè ci appartengono e li chiudiamo in singole, isolate, torri d'avorio tutte uguali chiamate "profili Facebook" "Twitter Twoosh"... Non so se sto dicendo bene" avrei detto a quel punto. "Finisci il discorso, i dubbi alla fine..." mi avrebbe risposto il Maestro con lo sguardo chino sulle mani intrecciate.
"Dicevo... Il continuo, sistematico, cieco contraddire è diventato libertà d'espressione, la presunzione nei discorsi, invece, un atto di coraggio. Infiniti decibel di rumore sociale. Tunz tunz. Non c'entra il rumore della città, dei clacson giù per le strade! Io non me la prendo con il frastuono delle fabbriche come facevano Dickens e Parini. Nemmeno con la musica da discoteca, Maestro. A me spaventa il rumore di questo sottofondo di pensieri spezzati, un mormorare di sillabe brulicanti e frettolose, di ingranaggi che fluttuano in gel privi di sostanza. Temo, più dell'inquinamento e delle neoplasie, più dello scioglimento dei ghiacciai e della crisi energetica, la meccanizzazione della mente umana, lo svilimento dell'ascolto e il voler ridurre il pensiero a un pasto fugace imbustato come un Happy Meal, o peggio, un pranzo di pastiglie pseudo-proteiche e sali minerali. Perchè è proprio questo l'equivalente di tre righe scritte su Facebook per un limite massimo di otto. Circa...non so. Ad ogni modo, condividere un link non è appoggiare un'opinione; premere il tasto "Like" non è esprimere reale apprezzamento; dichiarare apertamente a "duemila" amici quali siano le tue paure, i tuoi desideri, non è mandare al diavolo il subconscio e liberarsi di esso. La nostra psiche è solo apparentemente compatibile con queste nuove forme di comunicazione, con i social networks, perchè si tratta di inscatolare metri e metri di un tessuto complesso dentro pagine bianche e blu che, sebbene siano chiamate Home, mai e poi mai potranno essere la nostra casa in quanto, prima di tutto, incorporee. A lungo andare si creerà come una "lettura sfalsata dell'immagine", ovvero quello che ci offre la connessione e quello di cui abbiamo veramente bisogno. E quando il sistema va in tilt, nascono i problemi, le dipendenze, gli attacchi di panico, i costanti mal di testa. Si parla a gran voce di droghe pesanti, delle droghe leggere eccetera e mai nessuno che gridi in tv, in uno di quei seguitissimi programmi del pomeriggio, che noi, signori, signore e signorine, curiamo lo stress a botta di paracetamolo, che siamo tutti drogati e nevrotici come i nostri discorsi e i nostri tic, che non dormiamo più la notte e che chiediamo a Google: chi sono io. Risposta: Babbo Natale".
Se questi pensieri li avesse letti un Maestro e non un lettore capitato quaggiù per via di Max Ernst, probabilmente mi sarei sentita dire: "Non posso credere che tu abbia chiuso questa riflessione con Babbo Natale. Hai annullato in due parole tutto il pathos, che, presumo, volevi ottenere". "Figo, eh?" avrei esclamato io. No... non è vero, non avrei detto nulla e non per paura o per umiltà, ma perchè mi sarei trovata stanca di sentire la mia voce. Anche adesso, mentre scrivo, non vorrei sentire la mia voce, nè le vostre voci, ma quella del Maestro.
"Dicevo... Il continuo, sistematico, cieco contraddire è diventato libertà d'espressione, la presunzione nei discorsi, invece, un atto di coraggio. Infiniti decibel di rumore sociale. Tunz tunz. Non c'entra il rumore della città, dei clacson giù per le strade! Io non me la prendo con il frastuono delle fabbriche come facevano Dickens e Parini. Nemmeno con la musica da discoteca, Maestro. A me spaventa il rumore di questo sottofondo di pensieri spezzati, un mormorare di sillabe brulicanti e frettolose, di ingranaggi che fluttuano in gel privi di sostanza. Temo, più dell'inquinamento e delle neoplasie, più dello scioglimento dei ghiacciai e della crisi energetica, la meccanizzazione della mente umana, lo svilimento dell'ascolto e il voler ridurre il pensiero a un pasto fugace imbustato come un Happy Meal, o peggio, un pranzo di pastiglie pseudo-proteiche e sali minerali. Perchè è proprio questo l'equivalente di tre righe scritte su Facebook per un limite massimo di otto. Circa...non so. Ad ogni modo, condividere un link non è appoggiare un'opinione; premere il tasto "Like" non è esprimere reale apprezzamento; dichiarare apertamente a "duemila" amici quali siano le tue paure, i tuoi desideri, non è mandare al diavolo il subconscio e liberarsi di esso. La nostra psiche è solo apparentemente compatibile con queste nuove forme di comunicazione, con i social networks, perchè si tratta di inscatolare metri e metri di un tessuto complesso dentro pagine bianche e blu che, sebbene siano chiamate Home, mai e poi mai potranno essere la nostra casa in quanto, prima di tutto, incorporee. A lungo andare si creerà come una "lettura sfalsata dell'immagine", ovvero quello che ci offre la connessione e quello di cui abbiamo veramente bisogno. E quando il sistema va in tilt, nascono i problemi, le dipendenze, gli attacchi di panico, i costanti mal di testa. Si parla a gran voce di droghe pesanti, delle droghe leggere eccetera e mai nessuno che gridi in tv, in uno di quei seguitissimi programmi del pomeriggio, che noi, signori, signore e signorine, curiamo lo stress a botta di paracetamolo, che siamo tutti drogati e nevrotici come i nostri discorsi e i nostri tic, che non dormiamo più la notte e che chiediamo a Google: chi sono io. Risposta: Babbo Natale".
Se questi pensieri li avesse letti un Maestro e non un lettore capitato quaggiù per via di Max Ernst, probabilmente mi sarei sentita dire: "Non posso credere che tu abbia chiuso questa riflessione con Babbo Natale. Hai annullato in due parole tutto il pathos, che, presumo, volevi ottenere". "Figo, eh?" avrei esclamato io. No... non è vero, non avrei detto nulla e non per paura o per umiltà, ma perchè mi sarei trovata stanca di sentire la mia voce. Anche adesso, mentre scrivo, non vorrei sentire la mia voce, nè le vostre voci, ma quella del Maestro.
Voglio che tacciano i risonanti tamburi e che il Maestro parli.
5 commenti:
Commovente il tuo desiderio, ma tieni presente che viviamo tempi in cui i Maestri sono spesso pericolosi, e in cui la parola "mentore" (mai come ora) rischia di suonare come "mentitore".
Oggi i pochi veri maestri non sanno di esserlo o non vogliono esserlo, mentre tanti pagliacci disonesti si spacciano per aristoteli e ti presentano pure il conto in euro... :)
Ma soprattutto l'esser maestri è cosa che, in quanto umani, si esercita part time, a sprazzi inconsapevoli: bisogna ricavare insegnamenti da poche, isolate e nascoste righe di romanzo, da un unico verso in una lunga poesia, dal minuto rivelatore dentro un film.
Ti abbraccio, carissima.
E non chiamarmi maestro o m'incazzo come una belva. :-))))
Io sono solo un bambino sperduto e pauroso.
una perla di post :)
In una società come quella di oggi, dove tutto gira vorticosamente, troppo, saper affrettarsi lentamente, indugiare, ascoltare, concedere e concedersi tempo, è raro, prezioso e importante, molto, moltissimo
e aver chiuso le tue riflessioni con "Babbo natale" io lo trovo originale e per nulla incredibile, in fondo la vita è anche questo, un pizzico di magia
Ciao Nicola, in realtà il mio maestro è quello che balla la gang gam style. Hai presente? "Seeexy laaady op op op".
Ciao Alba, Babbo Natale ringrazia.
ma oggi è pieno di maestri che indicano la strada: quella da non seguire!! o forse no... bo? Io stavo solo cercando Ernst su google immagini..
ahahha viva ernst! Viva il Grinch! Vivano i maestri grinchosi e stronzissimi, i miei preferiti nei secoli dei secoli
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