di Cristina Taliento
Erano tempi difficili. J.D. Salinger era morto. Jose Saràmago era morto. Dicevano che ci fosse la crisi ed era vero, ma era una crisi che lasciava la gola arida di valori e di moralità. L’Italia, a dire il vero, mi sembrava come un vecchio carrozzone che arrancava nella nebbia di fine Novembre. Nessuno si chiedeva dove stesse andando, né se i suoi conducenti avessero bevuto o fatto tardi la sera. C’erano i telegiornali ed anche le radio, ma quelle parlavano d’altro ed era poca la gente che protestava dicendo: “ehi voi, parlate della nebbia! Non vedete com’è fitta?”. Così quelli continuavano a parlare d’altro. C’erano un sacco di persone che guardavano la televisione con un sorriso assente e con la testa piegata di lato e si facevano accarezzare il cervello da gialli mediatici o da bistecche da discoteca sedute sui troni degli studios. Ricordo l’ immondezza prepotente che si infiltrava nelle case e nelle redazioni dei giornali e poi tutto quel sudiciume si riversava nelle nostre vite, nelle menti di tutti, degli interessati e i non interessati. E il carrozzone errava, errava… e qualche volta, sbandava e si faceva un gran baccano, ma poi quasi tutti ritornavano a dormire e calava la nebbia, ritornava il silenzio. Ogni tanto, mi capitava di vedere dei vecchi nella nebbia; quei vecchi leggendari che giravano con la lanterna alzata e con lo sguardo miope. Alcuni li consideravano come dei santoni che parlavano senza capire quello che dicevano, ma, in realtà, soffrivano per la nebbia e nei loro borbottii di parole e tosse, nominavano concetti dimenticati come “cultura”, “informazione”. La cultura era potere, questo gridavano mentre qualcuno annuiva. La cultura ti faceva tornare indietro, ti spingeva a voltarti con un energico mezzo giro sui tacchi e ti lasciava dire “aspetta”. Le parole non avrebbero perso il loro valore iniziale perché esse sarebbero sopravvissute e poi ci avrebbero rischiarato la via. Sentivo signori imbellettati che non erano d’accordo e sbattevano i loro pugni sul tavolo, ribattendo che la cultura era un tremendo impostore capace di farti vedere tutto nero. Il mondo, in verità, era nero, anche i vecchi saggi lo pensavano e nemmeno io, nessuno poteva negarlo. Ma poi i saggi rispondevano che tutto era nero se non si aveva voglia di difendere il colore. Dicevano che solo esercitando la propria cultura con rispetto e con onore, si meritava di stare al gioco perché non si poteva negare che nel mondo si doveva combattere per vivere e che non ci sarebbero state mai abbastanza parole, giornali o voci che avrebbero dato voce alle urla d’ingiustizia così soggette ad essere soffocate sotto cuscini d’indifferenza. Lentamente capimmo che ogni cosa poteva essere discussa, ma ciò che annebbiava e feriva era l’indifferenza al dialogo, quel disinteresse malato sotto il quale dormivamo come cullati dal lento succedersi delle note di un carillon.
* Questo racconto è stato pubblicato sul giornalino scolastico Virgilio Taims, che ne mantiene i diritti.