Una serie di delusioni fecero sì che nel giorno due agosto dell'anno millenovecentotrentotto, alle ore otto del mattino, il cavallo venisse abbattuto davanti allo sguardo attonito di piazza del Duomo per mano del suo severo fantino. Testimonianze annunciano che lo sparo rieccheggiò per tutto il quartiere e che ridestò dal sonno persino il figlio del marchese, il quale, abituato a campare con i soldi del padre, usava dormine fino a tarda mattinata; questi, dunque, si disse che si fosse affacciato alla finestra e avesse esclamato mezzo assonnato: <<>>. Ma egli stesso vide dall'alto il cavallo disteso, con un cerchio rosso nella pancia; a quella vista serrò le labbra in segno di disgusto e ritornò nel buio della stanza. Tra i mormorii di dissenso della gente radunata attorno alla scena il fantino diede ordini a quattro fattorini di portare il cadavere lontano da quelli sguardi e nel giro di tre quarti d'ora la piazza fu sgombrata.
Il cavallo in questione, noto alla borghesia leccese appassionata d'ippica, non si era azzoppato, nè soffriva di qualche ignota malattia, ma come dichiarò alla stampa il severo fantino mentre fumava il sigaro: "il cavallo aveva smarrito la voglia di vivere". Si dedusse quindi che la povera bestia era già stata abbattuta da una serie di sconfitte avvenute in data precedente al 2 agosto dell'anno millenovecentotrentotto.
Forse il cavallo aspettava solo che qualcuno gli dicesse: "Bravo, non mollare", forse il cavallo dopo una sconfitta non voleva trovarsi sbattuto in una stalla a catalogare i sensi di colpa, forse non ne poteva più di quella vita piena di gente che ti diceva cosa dovevi fare, forse egli sognava la sua famiglia, le corse libere nella campagna. La sua voglia di vivere l'aveva smarrita nelle assillanti aspettative della gente, nella polvere dell'ippodromo, nelle urla minacciose dei fantini. Si era stancato di recitare la parte del vincitore, della pedina puntata tra le scommesse; forse non ce la faceva più ad essere considerato dagli altri cavalli come il più forte, a sentirsi puntato col dito dai mercanti come merce inanimata. Sentiva di meritare di più del gentile ordine "corri, bello", sentiva che quello, che gli stavano imponendo con qualche carezza in più, non era il suo posto e, così, piano piano si spegneva da solo come una candela quando si consuma lo stoppino.E siccome questo mondo funziona che se finisci di dare il massimo te ne puoi anche andare anzi, ti mandano via loro con quattro o più calci nel fondoschiena, si sa già come va a finire. Uno sparo in pancia senza "buongiorno" o "buonasera", uno sparo in pancia e niente più.