Una mattina
apro gli occhi e cerco l’interruttore
la luce del neon appena accesa
si intensifica lentamente;
i miei sogni
in un modo e in un mondo del tutto speculare
lentamente si dissolvono.
Così finisce l’Università,
non con la laurea,
ma una domenica mattina,
e le pantofole dove caspita sono andate a finire.
Sono finiti gli esami dentro le biblioteche dei reparti,
finiti i capitoli, finite le malattie,
finiti i professori vestiti da chirurghi
finite le camicie celesti, i jeans, le Superga bianche,
finiti i tramonti che famelici divoravano le strade di Parma,
finite le canzoni di Patti Smith: People have the power,
finito Bob Dylan che vinse il Nobel per la letteratura,
finita la radio che annunciò la morte di Bowie durante una laringectomia,
finite le briciole sulle magliette dei Pink Floyd,
finiti i discorsi sui gradini delle chiese,
finito il Battistero che se ci entri non ti laurei, dicevano.
Finito quel qualcosa di sinistra,
finite le corse sotto la pioggia,
finite le biciclette,
Finito quel campo di girasoli in cui ho voluto fermarmi a tutti costi,
in divieto di sosta, le quattro luci -proprietà privata-
per fotografare lui con la corona d’alloro e le voci e le luci.
Finito lo studio dopo il pranzo della domenica,
finiti i capotreni con tutte le stazioni,
finiti gli amori delle mie amiche,
finite le lacrime, il dolore.
Sono finiti i quadri di Picasso, i turni per lavare il bagno,
i gatti del teatro,
finite le rassegne dei film di Hitchcock,
le poltroncine rosse del Cinema d’Azeglio.
Finite le scritte scarabocchiate lungo il fiume
“ Balbo t’è pasè l’Atlantic, mo miga la Perma”,
finiti i ragazzi e le ragazze, i kebab, i venditori di rose.
Finiti i nostri capelli lunghi,
gli appelli di fine luglio e il ritorno a casa.
Finito il telo sul sedile posteriore che mia madre stendeva al ritorno dal mare,
finito il mirto sulle dune,
finiti i pomeriggi, le granite, le lezioni.
La sera stessa vado in discoteca.
Io e le mie amiche.
Nessuna di noi tre parte veramente domani,
ma c’è qualcosa che sta finendo
e sta cambiando o è già cambiato.
Così balliamo,
gli altri ci puntano
ma noi non spostiamo lo sguardo nemmeno per un secondo dai nostri giubbotti messi nell’angolo
E, ad ogni modo,
non avremmo molto da dire,
o molto da spiegare che possa essere compreso.
Non ci sentiamo un’isola,
ma siamo comunque Altrove,
oltre le dannate spiegazioni,
oltre l’esibizione dell’Io.
E qualcuno si presenta e dice:
“ma insomma ragazze, come siete serie”
noi tre vorremmo dire
arrivi adesso
ma che ne sai.