di Cristina Taliento
Un titolo compatto come “legno per barche” toglie la paura ad ogni narratore indeciso che vorrebbe, ma non sa, accidenti, potrebbe, forse, scrivere qualcosa, per esempio stasera.
Qualcosa di descrittivo o soltanto poetico come un vecchio capannone a due chilometri dal mare con scarabocchiata a lato la scritta “legno per barche”. E non so nemmeno perché la mia mente mi abbia portato qui. Non lo so, mi immagino soltanto questo posto, pieno fino al soffitto di assi di legno, colorate, un po’ sbiadite, dove tutto è ancora da costruire, da inventare.
Il legname ha un odore che ti fa sentire stranamente a casa. E chissà perché.
Libera e miope
guido poco e male,
ma, inforcati di fretta gli occhiali
e ridotti gli occhi a fessure,
a tutto gas
per questa benedetta pianura nell’entroterra,
cercherò un posto
che venda legno per barche.
Seppur di polso molle,
porterò in spalla i miei quattro assi,
i miei quattro assi, fino al mare,
proteggendoli da chi mi dice che son marci,
difendendoli da me,
tutte le volte in cui vorrò farli a pezzi.
E una volta sulla spiaggia,
in mezzo alle nubi e a fantasmi di gabbiani,
in mezzo ai dubbi e alle paure,
butterò tutto sulla sabbia,
pensando che non deve essere facile,
ma nemmeno così difficile, puntare dei chiodi
e costruire una barca.