Il mio telefono memorizza le note con “Vuoto” e poi il numero. Probabilmente è perché non inserisco il titolo, non so come si fa e poi che titolo vuoi mettere a delle righe scritte a caso mentre cammino scoppiando palloncini di chewing-gum rosa alla cannella. Non dovrei scrivere e camminare, soprattutto su strade autunnali, scivolose, tra spacciatori spettrali, bici sfreccianti, cani randagi. Dovrei stare più attenta, tenere gli occhi aperti.
Invece, ho la memoria piena di Vuoti numero 1, 2, 3... che se ne farà il mondo e cosa mai me ne farò io. Però, in un giorno in cui non avremo nulla da dirci, nè da scrivere o pensare, in un giorno in cui la legna da ardere sarà terminata, io probabilmente ti leggerò il Vuoto 142 che fa più o meno così:
Quando la finirai di parlare e tremare
e scaldarti tanto per ciò che non hai
per ciò che sei e non sei
calciando lattine vuote e indecisioni
che hai la velleità di chiamare oceani,
abbi perlomeno l’accortezza di notare,
mentre cammini bofonchiando
col cuore in gola e la luna storta,
quel bambino a quadretti e jeans
fermo nel buio di una strada inospitale
ad osservare annunci di gatti scomparsi.
Qualcuno se ne dovrà pur interessare,
qualcuno li dovrà pur cercare.
E se hai tempo e ti è rimasto del silenzio,
puoi fermarti a leggere anche tu
per toglierti dal centro del mondo
dal centro del centro del mondo
e poggiarti con le ginocchia sull’asfalto
per vedere se sotto le auto parcheggiate
ci sia un persiano nero
o un chihuahua con cappotto blu elettrico
su cui compare la scritta “Bob”.