di Cristina Taliento
"Quest'estate l'idea era quella di scrivere un romanzo", ma mentre scriveva questa frase finì la penna. Era una penna in cartone, molto particolare e lei era andata in cucina in cerca di un'altra penna, aveva guardato nel cassetto dove c'erano la guida telefonica e i foglietti di carta, ma non aveva trovato nulla. Mentre continuava a cercare, si diceva che, come incipit, quello non era poi questo granché e bisognava cambiarlo. Le toccò andare fino al negozio vicino alla scuola elementare per comprare un mucchio di penne. La commessa le aveva messe in un sacchetto di plastica. Non ce ne sarebbe stato bisogno, poteva anche tenerle in mano senza troppe storie perché le Storie, in fondo, non c'erano, non c'erano mai state e quelle penne facevano bene a starsene in un sacchetto come qualsiasi altra cosa acquistata, un oggetto come un altro, mica un attrezzo per creare, da vivere, soltanto inchiostro, pennello senz'arte.
"Quest'estate l'idea era quella di scrivere un romanzo", ma mentre scriveva questa frase finì la penna. Era una penna in cartone, molto particolare e lei era andata in cucina in cerca di un'altra penna, aveva guardato nel cassetto dove c'erano la guida telefonica e i foglietti di carta, ma non aveva trovato nulla. Mentre continuava a cercare, si diceva che, come incipit, quello non era poi questo granché e bisognava cambiarlo. Le toccò andare fino al negozio vicino alla scuola elementare per comprare un mucchio di penne. La commessa le aveva messe in un sacchetto di plastica. Non ce ne sarebbe stato bisogno, poteva anche tenerle in mano senza troppe storie perché le Storie, in fondo, non c'erano, non c'erano mai state e quelle penne facevano bene a starsene in un sacchetto come qualsiasi altra cosa acquistata, un oggetto come un altro, mica un attrezzo per creare, da vivere, soltanto inchiostro, pennello senz'arte.
Così, tornata a casa, buttò le penne sul tavolo. Un tavolo di mogano perfetto per storie con un certo carico di dramma. Ma le Storie, come dicevo, non c'erano, non c'erano mai state... Dunque, si alzò, mise della cannella nel thè appena fatto, mentre il tramonto pitturava d'arancio l'oleandro e nell'aria si sentivano canti di messa. Cantavano: "Resta con noi, Signore. Resta con noi, Pietà". Era domenica. Lì vicino c'era una chiesa.
Il thè era troppo caldo, le rondini erano ferme sulle antenne delle case, l'unica cosa a cui pensava era cogliere l'estate, come l'attimo del mondo, per mettere su carta quella farfalla verde azzurrina con cui ella raffigurava da sempre il suo blues, il suo narrare variopinto. Quell'estate poteva essere l'estate giusta. Abbastanza ventilata, non molto calda e lei aveva spesso il cuore in gola. Durante l'anno aveva incontrato tante persone e alcune di loro le avevano chiesto di scrivere. Non ci aveva mai sperato. Anche quella volta, quella domenica, ci credeva poco, la sua strada era un'altra. Voleva più che altro studiare per diventare Astronauta.
Allora chiamò i suoi amici per vedere se avessero la voglia di andare al mare. Le risposero che non sapevano, una era incinta, un altro aveva un gatto di nome Lucio, morto da due giorni di leishmaniosi. Ella non si era mai effettivamente soffermata sul fatto che la leishmaniosi potesse arrivare a provocare conseguenze così estreme. Disse che le dispiaceva. L'amico rispose, non preoccuparti, però al mare vacci te. No, non disse proprio così, ma a lei parve di sentirlo. Ad ogni modo prese la macchina e lei non guidava quasi mai, anche se aveva la patente e tutte le carte in regola. Guidò fino all'ultima spiaggia del litorale che poi non era che il punto più lontano che fosse in grado di raggiungere, siccome teoricamente l'ultima spiaggia non esiste. La campagna si rabbuiava e comparivano le stelle. Spesso gli scrittori di ogni genere andavano in riva al mare a cercare le loro storie, ma secondo lei tra mare e montagna non c'era differenza, contava invece molto che razza di talento fossi o non fossi. Infatti, all'inizio il mare di notte servì soltanto a metterle la paura che, da un momento all'altro, potesse comparire un bandito d'altri tempi così dal nulla chiedendole cibo e silenzio. I giunchi sussurravano le solite storie che non c'erano, non c'erano mai state e lei le ascoltò tutte. Aveva portato con sé, in un barattolo di vetro, un pezzo di torta con fichi, mandorle e miele. Aveva trovato la ricetta su un blog tedesco. La mangiò al buio con la schiena appoggiata allo sportello della macchina, tra la paura d'esser rapita e l'odore del mare. In un momento respirò l'idea di aver creato, all'interno delle sue paure, uno spazio confortevole, buono anche per scrivere, ma, che diavolo, di quel mucchio di penne, ricordò di averne portata manco una.
Così salì in macchina senza l'intenzione di mettere in moto, accese la radio, stavano facendo un sondaggio su quale fosse il miglior regalo da fare per un diciottesimo compleanno. Chiamò il numero. Aveva intenzione di dire: "Un cappello". Tuttavia, le linee erano tutte occupate.