divagazioni di Cristina Taliento
(illustration by Gregory Muenzen)
Mio fratello gioca a calcio con un gruppo di ragazzi neri che avranno vent'anni. Lui è il più piccolo e l'unico bianco. Se la cava abbastanza bene, anche se, come gli dico spesso tanto per ridere, è un pappamolle che gioca senza altruismo e senza fantasia. Lui è quello che porta la palla, quello con le scarpe.
"Non ti puoi mettere le scarpe se gli altri non ce le hanno" gli ho detto.
"Comunista"
"Rischi di fare del male agli altri, di conficcare il tacchetto nel metatarso di qualcuno"
"Vuoi venire a tifare?".
Dovevo studiare.
"Devo studiare".
Ha inforcato la bici e se n'è andato, con i pantaloncini azzurri e la maglietta a righe. Così ho guardato il libro e ho guardato il cielo; ho appoggiato la matita, mi sono alzata e ho iniziato a camminare verso il campo da calcio perché avevo bisogno di vedere qualcuno che facesse un benedetto lavoro di squadra, presa com'ero e come mi avevano insegnato a correre sempre e soltanto da sola.
Il campetto era un quadrato di erbetta sintetica sotto il sole con due porte di reti ai lati. Avevano già iniziato a giocare.
Mi sono avvicinata alla rete per guardare. Mio fratello si era tolto le scarpe. Gli ho fatto un cenno col capo.
Lì vicino alla rete c'era anche un cane che viveva in una cuccia di legno dove era appeso un cartello che vietava ai vicini di portare lì i loro avanzi. Avevano scritto: "Si prega di non dare cibo in eccesso al cane. Gli animali vanno nutriti il giusto". Ho concordato risentita.
Quei ragazzi facevano la loro partita di pallone in un campetto lontano da casa e io mi immaginavo le loro storie, distorcendole, caricandole di dramma ed eroico coraggio, non sapendo nulla, divagando alla grande sullo stato dei loro sentimenti. Scientificamente, invece, vedevo con maggiore realismo gastrocnemi contratti, adrenalina, iperattività ghiandolare, sudore, ventilazione nella polvere, urti sulla cartilagine, battiti, sentivo i loro cuori tachicardici urlare. No, in realtà, non potevo. Era di nuovo soltanto immaginazione. Magari erano bradicardici e io da laggiù non potevo saperlo. Com'era strano talvolta sforzarsi di considerare soltanto le evidenze, escludendo il resto, compresa l'esperienza, la supposizione. Dei ragazzi che tirano i calci a una palla sono quello e basta, nel momento in cui lo fanno, sono quello e basta. Il presente è potenzialità. Tutto quello che siamo non è ciò che abbiamo vissuto, nè l'idea di quello che verosimilmente potrebbe essere, accadere. La cosa che sei ce l'hai addosso, dentro, nei tuoi muscoli, nel polmone. A partire da questo, potenzialmente, possono eviscerarsi molteplici realtà, azioni, scelte, goal, cadute, triplette, fuori gioco, gioco sporco, gioco pulito. L'esame obiettivo ci dice: a partire da ora. Non importa cosa tu abbia fatto nel primo tempo. Osservazione presente, flash e tutto il resto è futuro.
"Senti, ti va di stare in porta con l'altra squadra?" mi ha detto mio fratello al di là della rete mentre la mia vista era appannata da queste divagazioni, pensieri buffi, senza molto senso.
"Non so" ho tentennato mentre ritornavo alla realtà.
"Dai, tanto la palla non ci arriva nemmeno in quella metà di campo".
"Okay va bene".
Ero una schiappa. Una vera schiappa anche a parare.
Ero una schiappa. Una vera schiappa anche a parare.
3 commenti:
E brava cara Cristina, come il solito mi stupisci sempre.
Ciao e buona settimana con un forte abbraccio.
Tomaso
Avercene, di "schiappe" così... :-))))
Grazie mille siete molto gentili
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